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Dall’ombra della Mole alla Grande Mela, passando per Israele

Simone Somekh, 26 anni, giornalista, scrittore, autore di ‘Grandangolo’ (Giuntina, 2017, Premio Viareggio Opera Prima 2018), mi parla dalla sua casa di New York, fresco di vaccino, dove vive ormai da 5 anni e dove insegna comunicazione al Touro College e fa consulenza per due affermate società che sviluppano software. Eppure, la sua strada è partita da una piccola e antica comunità, come quella di Torino. Insomma, la sua storia ha tutti gli ingredienti per essere un esempio di “self made man”.

Simone, mi parli delle motivazioni che ti hanno spinto a lasciare Torino e l’Italia?

A spingermi sono stati tanti motivi. Innanzitutto ha molto inciso la mia esperienza liceale, quando passai un anno a Boston. Lì ho capito quanto sia fondamentale imparare l’inglese, una porta che apre tante strade, anche economiche. Inoltre avevo desiderio di orizzonti più ampi, volevo cogliere opportunità professionali che purtroppo in Italia non sono offerte. E poi, naturalmente, c’è la mia identità ebraica: che è fortissima, e che avevo voglia di rinsaldare all’interno di comunità più ampie, più aperte. Avevo curiosità di confrontarmi con riti diversi, con costumi diversi, con abitudini diverse. Dopo il liceo ho studiato all’università di Bar-Ilan, e poi mi sono specializzato a New York, dove ho trovato quello che cercavo.

Come vedi l’ebraismo italiano dall’altra parte dell’oceano?

Non vorrei dare giudizi superficiali. Quello che mi colpisce è la grande vitalità dell’ebraismo italiano, soprattutto in campo culturale. Giuntina è una casa editrice unica in Europa. Il progetto Talmud, anche dal punto di vista informatico, è eccezionale. E poi i festival, i libri, e le tante comunità sparse per il paese. Tuttavia ha anche dei problemi: i numeri indicano una comunità piccola, in cui a fronte di un’immagine ortodossa che offrono le istituzioni, esiste una realtà molto più articolata e varia, che però non trova ancora sufficiente rappresentanza; a mio avviso, occorre che l’ebraismo italiano trovi più coraggio, ad esempio nel riconoscere una realtà che pure esiste in Italia, come quella dell’ebraismo LGBT.

Hai dei suggerimenti da darci?

Suggerimenti no, però vedo che l’emergenza economica colpisce soprattutto i più giovani, gli impedisce di farsi strada. E invece i giovani meritano fiducia, oggi come sempre. I giovani, in Italia come altrove, hanno voglia di fare, e hanno diritto a vedersi riconosciuto più spazio.

Insomma, nessuna nostalgia dell’Italia?

Ma certo che ho nostalgia! L’Italia e il mondo ebraico italiano sono sempre la mia prima attenzione e curiosità del mattino. E poi resto legatissimo alla mia famiglia, ai riti di casa. Ogni Rosh hashanà uso il libro del seder di Cuneo curato da mio padre, per il Seder di Pesach uso un’Haggadah di rito italiano. Sarò sempre un ebreo italiano, seppure dall’altra parte del mondo.

 

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