Attraversare il mediterraneo e trovare casa
Nir Sivan è un giovane architetto che per lavoro viaggia per il mondo, con progetti in Italia, Israele e Brasile. Da tempo ha deciso di trasferirsi in Italia, dove infine ha acquistato la cittadinanza. Il suo percorso, un po’ “controvento” rispetto a molti ebrei italiani, è un altro modo di progettare il futuro.
Dopo tanti anni in Italia, ci spieghi perché una scelta ormai definitiva?
Mah, che vuoi che ti dica. È vero, sono in Italia ormai da tanti anni, qui lavoro e ho messo su famiglia, fino a diventare cittadino italiano. Perché l’ho scelta’ Ho imparato nella mia vita che non tutto dipende da noi. È capitato, e va bene così. Come ha detto John Lennon: “è nel percorso che trovi la tua strada”.
Ti manca Israele? E cosa, di più?
Certo che mi manca! Specie adesso, che non posso più tornarci almeno 2 volte l’anno per vacanza e per lavoro, come facevo prima del Covid. Mi mancano molte cose di Israele, ma soprattutto due: la mia famiglia, e i felafel, perché quelli israeliani sono davvero unici!
Tu sei architetto, dopo aver lavorato in un grande studio ora sei un affermato professionista: come vedi il futuro dopo questa lunga pandemia?
Credo che questa pandemia stia cambiando il modo con cui guarderemo alla nostra comunità. Il Covid ci ha fatto comprendere che siamo connessi all’ambiente e al mondo in cui viviamo, e che dobbiamo rispettarlo. E poi ci sono i cambiamenti quotidiani. Nel mio lavoro, se progetto una casa ormai prevedo uno spazio comodo per lavorare, così come, quando progetto un ufficio, riservo uno spazio per un momento di pausa e di convivialità. La scelta di vivere in Italia, e diventare cittadino italiano, è anche una scommessa per il futuro.
Che futuro immagini per le nuove generazioni di questo paese?
Nonostante questa pandemia ci abbia abituati a restare lontani uno dall’altro fisicamente, la nostra vulnerabilità ci ha insegnato che non importa chi siamo e dove viviamo, siamo tutti essere umani, in certo senso, uguali. Per questo credo che dovremo occuparci meno della nostra individualità. Il futuro sarà all’insegna della maggiore responsabilità, verso gli altri e verso il mondo.
Visto da Roma, come ti sembra il rapporto tra gli italiani e gli ebrei? Hai mai avvertito diffidenza?
C’è molta confusione nei termini e bisognerebbe fare chiarezza. Occorre capire che essere “ebreo”, “israeliano”, “religioso”, indicano realtà diverse. Quando sono arrivato in Italia, ho avvertito a volte la diffidenza verso chi era semplicemente uno straniero, a prescindere dall’origine.
E tu, dopo tanti anni, in cosa pensi gli italiani potrebbero imparare dagli israeliani? E gli israeliani dagli italiani?
Gli italiani dovrebbero imparare dagli israeliani la capacità di essere più semplici e veloci nel fare qualsiasi cosa. Gli israeliani invece dovrebbero imparare dagli italiani a godersi il momento e la vita un po’ più lentamente.