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Ricordo di Moretto

Nel 1921 nasceva a Roma Pacifico Di Consiglio, detto MORETTO.

Le giovani generazioni, che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo ed il privilegio di collaborare con lui per la difesa della nostra Comunità, forse ne hanno sentito parlare. Il libro “Duello nel ghetto” di Maurizio Molinari ed Amedeo Osti Guerrazzi, edito da Rizzoli nel 2017, (prima era uscito “Il Ribelle del Ghetto”), racconta delle sfide di Moretto lanciate contro le bande fasciste che collaboravano con i nazisti durante l’occupazione di Roma, ma poco è stato scritto sul suo impegno negli anni del dopoguerra ed in particolare degli anni ’70. Vogliamo quindi, con il figlio Alberto, ricordare lo spirito che animava il padre in quegli anni.

 

Moretto non si è mai piegato ai fascisti, che ha sempre combattuto prima e durante la guerra. Con la liberazione di Roma, Moretto smise di combatterli?

Direi proprio di no. Il 14.04.1948, alla vigilia delle prime elezioni politiche della Repubblica, ci fu la prima incursione in Piazza di una colonna di attivisti del MSI che pensavano di poter entrare nel quartiere ebraico e farla da padroni. Trovarono, invece, mio padre ed i suoi amici ad aspettarli; vi fu una vera e propria sommossa popolare, li cacciarono e li inseguirono fino a Corso Vittorio dove c’era la loro sede. In quell’occasione si avvicinarono alla Piazza anche gli ebrei che vivevano nei quartieri bene della città. Si avvicinarono anche i giovani Renzo Gattegna, Enrico Modigliani e Luciano Tas. Le incursioni andarono avanti fino al 1962, quando i nostri andarono dentro la loro sede e la distrussero. Mio padre, quindi, continuò a difendere la Piazza ed inseguire i fascisti. Mi duole vedere che quella fiamma, che era sulle loro bandiere e che portavano con loro durante le aggressioni, ora costituisce il simbolo di un partito italiano erede del MSI.

Nel 1967 Israele vinceva la Guerra dei Sei Giorni e dava al mondo intero la dimostrazione che era ormai nata una nuova e diversa generazione di ebrei. Che cosa rappresentava Israele per il gruppo dei suoi ragazzi?

Gli ebrei di Roma, e non solo, temevano di poter assistere ad una nuova Shoah. Molti nel 1948 non capirono fino in fondo quanto fosse importante per gli ebrei della Diaspora la nascita dello Stato di Israele, ma con la Guerra dei Sei Giorni ci fu un grande risveglio dell’identità ebraica e del legame verso lo stato di Israele. Dal 1968 molte cose cambiarono in peggio. In quel periodo si manifestò il dissenso degli ebrei che volevano lasciare l’Urss ed ebbe inizio una violenta repressione da parte del governo sovietico verso gli ebrei che volevano lasciare il paese. Nello stesso periodo assistemmo al terrorismo palestinese che iniziò a colpire in Europa e in Italia ed alla nascita dei primi violenti gruppi di estrema destra e sinistra, che manifestavano antisemitismo ed antisionismo, che spesso portava a criminalizzare lo stato di Israele. Così i nemici raddoppiarono. Mio padre cominciò quindi ad organizzare le manifestazioni davanti alle Ambasciate in favore degli ebrei russi, ma anche per quelli che vivevano in Siria ed in Iraq. Ogni occasione era buona per manifestare una presenza attiva dell’ebraismo romano. Ovviamente in questo contesto la sicurezza delle istituzioni ebraiche, dalle scuole alle sinagoghe, divenne fondamentale.

Nel 1969, con la strage di Piazza Fontana a Milano, inizia quel periodo storico caratterizzato dalla “Strategia della tensione”, seguito dagli “Anni di Piombo”, che ha portato alla nascita della stagione del terrorismo di destra e di sinistra. Per dirigere un gruppo di giovani occorreva tanta autorevolezza, ma anche regole precise. Quali erano le regole che erano state impartite?

Questo movimento di volontariato si andò organizzando sempre meglio. Si diede una struttura e delle regole interne. La prima era il rispetto reciproco per tutti, al di là delle personali convinzioni politiche e condizioni sociali. La sua capacità era quella di saper trovare le parole giuste per parlare con le persone più umili ma anche con quelle più colte. Parlava con la Piazza ma interagiva continuamente con il Consiglio della Comunità. Il compito principale era quello di occuparsi della difesa della Comunità dai pericoli esterni e di sostenere Israele senza entrare nel merito di ciò che accadeva all’interno della Comunità. In quegli anni inoltre Moretto prese i primi contatti con il mondo tripolino, giunto a Roma nel giugno 1967.  Non fu semplice…ma riuscì ad includerli e coinvolgerli nelle attività di volontariato del gruppo. Un grande contributo giunse dall’instancabile lavoro del Prof. Elio Toaff con cui mio padre lavorava a stretto contatto fin dal suo arrivo a Roma nel 1952.

In quegli anni in Israele si sono alternati diversi governi di destra e di sinistra, più o meno disposti al compromesso per ottenere la pace. Questa alternanza si riverberava sulle attività del gruppo?

Assolutamente no. Il sostegno era allo Stato di Israele e doveva essere indipendente dal colore dei governi che lo rappresentavano.

Il gruppo aveva anche una funzione sociale? Quale era la filosofia che lo animava?

Vi era un forte desiderio di inclusione. Nessuno si doveva sentire più ebreo di altri, non si dovevano dare giudizi o etichette di legittimità agli altri ebrei. Potevano far parte del Gruppo religiosi o laici, di destra e di sinistra. Nessuno doveva essere escluso e non c’era ostracismo verso chi la pensava diversamente.

Ritieni che negli ultimi decenni il gruppo abbia continuato a lavorare nel solco tracciato da Moretto?

 

Gli obiettivi rimangono gli stessi, il gruppo è sempre presente e pronto ad intervenire quando le situazioni lo richiedono. Cambiano naturalmente le modalità. Rispetto ad allora oggi c’è molta più professionalità. I legami con le istituzioni nazionali sono molto più strette e strutturate. Quello che mi pare cambiato è il clima comunitario. Mi sono formato con una leadership che includeva, nonostante le differenze politiche o culturali, e vigeva un grande rispetto reciproco. Adesso mi sembra che ci siano ambienti che tendono a dividere, a dare etichette di ebraicità e di sionismo e i social ampliano questi atteggiamenti negativi spesso con una estrema aggressività. In quel periodo storico, alla fine degli anni ’60, si cercava di avvicinare gli ebrei lontani, anche attraverso l’attività di volontariato, affinché si sentissero parte di una comunità. Ora temo che molti, che sono vicini o che vorrebbero esserlo, vengano in qualche modo allontanati o messi da parte. Questo ci rende tutti più deboli e più esposti ai rischi esterni. E non ultimo la diversità di opinione è un elemento che arricchisce, lo è sempre stato, il pensiero unico è una sconfitta per tutti e non fa emergere persone che potrebbero contribuire con nuove energie, proposte e idee che sarebbero utili per la comunità nel suo insieme.

Che cosa è rimasto della filosofia di vita che aveva Moretto?

Il suo testamento spirituale lasciato in punto di morte a cui erano presenti Maurizio Molinari, Riccardo Pacifici e Renzo Gattegna è stato: “FATE BAVELLE!!!”, ovvero non abbassare mai la guardia nei confronti dei rischi e dei pericoli esterni.

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