In ricordo della Notte dei Cristalli (tra il 9 e il 10 novembre 1938).
Perché i tedeschi, perché gli ebrei? La domanda di sempre, la questione che tutti tentano e cercano di analizzare è il titolo ed il cuore del libro di Götz Aly.
Götz Aly, storico e giornalista tedesco, nato ad Heidelberg nel 1947 e professore all’università di Francoforte. Se è vero, come ricorda nell’introduzione lo stesso autore, che nel 1910 gli ebrei che vivevano in Germania erano più del doppio dei residenti in Inghilterra e cinque volte più numerosi dei correligionari in Francia, è anche vero che l’odio scoppiato negli anni Trenta non può essere esorcizzato relegandolo ai nazionalsocialisti, agli effetti nefasti del revanscismo e della crisi economica del 1929.
Quando la Germania fu obbligata a cedere la provincia di Poznan alla rinata Polonia, gli ebrei tedeschi che vi risiedevano fuggirono precipitosamente verso Berlino “in preda ad un terrore patologico dei polacchi”. Gli ebrei si sentivano protetti e liberi nella nuova Germania e non a torto. La comunità ebraica approfittava dei vantaggi del nuovo mondo e del progresso della Germania del dinamismo tedesco di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento. Possiamo dire che sfruttava appieno la situazione favorevole affamata com’era di riscatto sociale. Compressa come una molla scattò verso le mete più alte della società borghese, più abituata allo studio e all’alfabetizzazione sebbene solo grazie allo studio obbligatorio del Talmud-Torah, come è stato in modo originale argomentato e documentato nel libro I POCHI ELETTI – IL RUOLO DELL’ISTRUZIONE NELLA STORIA DEGLI EBREI, 70-1492 di Maristella Botticini e Zvi Eckstein per le edizioni dell’Università Bocconi.
Così nella Germania unificata i ragazzi cristiani si diplomavano otto volte meno dei loro coetanei ebrei all’inizio del secolo scorso alimentando una ascesa sociale più lenta della classe subalterna tedesca cristiana e soprattutto cattolica, cosa che contribuì a fomentare invidia e gelosia. Si iniziò a sostenere la necessità di proteggere i cristiani e non gli ebrei, un ribaltamento della realtà generato dalla frustrazione, sintetizza in sostanza Aly.
Già nel 1902 il pedagogista Friedrich Paulsen affermava, si legge nel libro, che “le ragioni della forte prevalenza ebraica tra gli universitari sono evidenti: la popolazione è quasi esclusivamente urbana, in genere benestante, e si caratterizza per un forte desiderio di migliorare la propria posizione sociale”.
Il libro è documentato e minuzioso nella costruzione della risposta a questa domanda che certo scientificamente nessuno potrà mai davvero esaudire. In ogni caso l’analisi dell’autore è ad amplissimo raggio e a chi pensava, per esempio, che alcuni toni antisemiti della sinistra appartengano solo alla moderna posizione di alcuni esponenti o partiti in merito al conflitto arabo-israeliano trovando motivazione nell’inesistente differenza tra antisionismo e antisemitismo c’è di che riflettere.
Benché la maggior parte dei socialdemocratici tedeschi non operasse in senso antisemita, infatti, “i toni del loro programma anticapitalistico – scrive Aly- facilitavano il diffondersi dell’idea che gli ebrei, porzione particolarmente dinamica della classe borghese fossero abbastanza forti per difendersi da soli dagli attacchi e potessero sopportare una pressione più o meno forte da parte degli antisemiti piccoloborghesi perché nella stragrande maggioranza erano agenti del capitalismo”.
Da questo ne consegue una interessante analisi dello scrittore tedesco: “Sostituendo all’idea del proletariato privato dei diritti quella del popolo tedesco delegittimato e minacciato, concetto che entrò nell’immaginario collettivo dopo il 1918, non si era più tanto lontani dall’utopia nazionalsocialista”. Il processo di cambiamento e il travaso di milioni di voti e adesioni da sinistra al nazismo era in atto. L’autore confuta punto per punto ogni passaggio che ha originato il vilipendio e l’odio razziale, dal censimento degli ebrei al fronte nel 1916 dopo le accuse sulla loro effettiva difesa ‘attiva’ della patria germanica. Mette in risalto come la repubblica nata il 9 novembre 1918 poggiasse da subito su basi deboli, su idealità non condivise nel profondo ma soltanto per motivi contingenti e di spaesamento. I punti di appoggio erano poco sicuri ancor prima dell’onda d’urto della crisi economica generata nel 1929. Nel frattempo l’indebolimento economico assottigliava le differenze di benessere a favore degli ebrei, l’assimilazione, l’ascesa sociale – ora molto più dinamica e demograficamente maggiore dei cristiani – contribuì al vero e proprio odio razziale verso i diversi, compresi i mischlinge, i mezzi ebrei o i convertiti.
“I tedeschi erano consapevoli degli infimi motivi che alimentavano il loro odio antiebraico. Se ne vergognavano e questo li rese permeabili alla teoria razziale. La scienza biologica nobilitò l’odio trasformandolo in presa di coscienza, offrì una giustificazione alle misure legislative. In tal modo milioni di tedeschi delegarono allo Stato la violenza di cui si vergognavano perché nasceva dal loro senso di inferiorità”. Insomma, è il motivo alla base dello sforzo dell’autore, “le autorità statali poterono alleviare il peso della responsabilità del singolo e trasformare la malvagità individuale nella necessità universale di giungere alla ‘soluzione finale della questione ebraica’”.
Non c’è spazio per l’ottimismo, purtroppo secondo questo resoconto storico e sociale di Aly che lo spiega in modo incontrovertibile: “Caino uccise il fratello Abele perché si sentiva rifiutato e trattato ingiustamente da D-o; chi desidera ridurre il pericolo dovrebbe analizzare i complessi sentimenti umani che ne costituiscono il presupposto e non credere che gli antisemiti di ieri fossero persone totalmente diverse da noi”.
Una risposta
Molto interessante ??