Lo scandalo in Europa è appena agli inizi
I (tanti) soldi pagati da alcuni Stati arabi per condizionare la politica europea scuotono da giorni il mondo della politica. Renato Coen, inviato per Sky a Bruxelles, esamina le implicazioni dell’ “Italian job”, tra pressioni delle lobby e lotte tra servizi di Intellicence
Renato, lo scandalo scoppiato nel Parlamento europeo, sulle centinaia di migliaia di euro passati dal Qatar e, sembra, dal Marocco a ex eurodeputati (Panzeri), assistenti (Giorgi), l’ex vice presidente Kaili (subito destituita) e altri sta scuotendo i palazzi della politica europea. Che clima si respira a Bruxelles?
Si avverte un’aria pesante, molto brutta. C’è in generale una grande paura, soprattutto da parte dei parlamentari europei; probabilmente si attendono nuovi sviluppi dell’indagine, quindi altri nomi coinvolti. Sono stato a Strasburgo nei giorni scorsi, per la plenaria del Parlamento europeo, e ho parlato con molti eurodeputati. La delusione, la paura e la tensione è molto alta. Molti temono di essere accostati allo scandalo senza avere responsabilità, magari perché si sono fatti accertamenti sui loro assistenti; e poi c’è ancora da assimilare l’effetto sorpresa, praticamente uno shock, perché davvero nessuno si aspettava uno scandalo del genere. La paura, come ti dicevo, è che lo scandalo non si fermi al Parlamento europeo, e che vada oltre, perché in molti da giorni si chiedono: possibile che siano stati pagati solo gli eurodeputati, cioè i rappresentanti dell’organo che ha meno peso politico in Europa?
Dello scandalo c’è un aspetto purtroppo da non trascurare: i soggetti coinvolti sono tutti italiani o riconducibili a italiani, al tal punto che la stampa europea parla di “Italian Job”.
È vero. È un dato che hanno notato tutti. Media e osservatori sono tranchant, del resto è un’evidenza che salta agli occhi. Per quanto riguarda i commenti degli europarlamentari, però, devo dire che sono ancora tutti molto prudenti; per ora sono coinvolti solo parlamentari italiani del gruppo socialista, però noi sappiamo cosa successe nel 1992: si partì da una piccola tangente e poi si arrivò a travolgere tutto il sistema dei partiti. Per questo c’è molta prudenza: nessuno sa ancora cosa succederà, Tangentopoli insegna.
Questo scandalo, paradossalmente, non è anche una risposta a chi sostiene che le istituzioni comunitarie valgono poco nel campo internazionale, in un tempo che vede il ritorno dei nazionalismi?
Posso dirti che la narrativa secondo cui l’Europa non conta nulla sul piano internazionale è finita con la pandemia, che ha mostrato invece quanto sia importante e cosa possa fare. Del resto, guarda le ultime campagne elettorali, compresa quella in Italia: ci sono state certo delle critiche alle politiche europee, ma non abbiamo praticamente più sentito dire “usciamo dall’Europa” o “usciamo dall’euro”. Chi veramente è addentro i lavori europei, compresi i servizi segreti degli Stati stranieri, sa che l’Europa è un mercato di 450 milioni di persone, che ha un peso molto forte.
A proposito di servizi segreti: l’Unione europea ne ha uno tutto suo?
No, non ce l’ha. È una mancanza di cui si parla da tempo. Inoltre c’è da dire che, storicamente, le varie Agenzie nazionali di intelligence collaborano malvolentieri; anche se ora la situazione è migliorata per l’effetto del terrorismo, specie nella fase più acuta dell’azione dell’Isis. In questo caso specifico, a quanto pare, le informazioni sono arrivate da 5 servizi segreti. Direi però che la notizia è un’altra.
Quale?
A imbeccare l’intelligence europea sarebbe stata quella degli Emirati arabi uniti, forti competitor del Qatar; guarda caso, in questo momento proprio gli Emirati sono alla guida dell’Interpool. Insomma: pare proprio che ci sia stata una forte influenza straniera anche nel dare il via all’indagine.
È attendibile la voce che parla di circa 60 parlamentari europei coinvolti?
Credo che, al di là dei numeri, il numero degli indagati certamente si allargherà. Però non credo che verranno coinvolti solo eurodeputati; il timore è che si possa arrivare alla Commissione europea.
Lo scandalo ha mostrato anche la realtà delle tante lobby che operano in Europa. A questo proposito, Israele ha uffici di rappresentanza? e l’Autorità palestinese?
Conosco bene più la realtà israeliana. Sai, qui in Europa Israele, sul piano istituzionale, è molto attiva e presente, anche se ha un solo rappresentante sia per i rapporti con la UE che con la Nato. Gli israeliani sono molto interessati all’Europa, hanno continui incontri istituzionali. Per quanto riguarda invece il rappresentante palestinese, posso solo dire che anche loro cercano molto una sponda, che trovano trasversalmente, per gruppi parlamentari, con cui tentano ad esempio di ammorbidire le prese di posizione più dure europee nei confronti del loro governo. Ad esempio, si attivano per bloccare delle risoluzioni sgradite, come ogni lobby.
Allarghiamo un po’ il campo: il nostro commissario, Gentiloni, come sta operando in Europa?
Direi bene. Gentiloni si sa muovere politicamente, ha acquisito rispetto anche per il suo sangue freddo. All’inizio scontava il fatto di rappresentare un paese che non eccelleva nei conti pubblici [Gentiloni è commissario all’economia, n.d.a.], ma in questi anni non ha mai subito critiche e accuse di favoritismo.
L’Europa da quasi un anno vive con la guerra in casa. Come si vede a Bruxelles il conflitto in Ucraina?
Anche su questo fronte tira una pessima aria. La realtà è che l’Europa si è resa conto che più di così non può fare. È in attesa che le sanzioni alla Russia facciano effetto e che succeda qualcosa. La vera preoccupazione è la tenuta della propria opinione pubblica, da parte di tutti i governi, perché ogni Stato sa che non ci si può permettere un’altra crisi energetica per altro anno. Invece la guerra ha suoi tempi, la Russia non ha fretta, l’Ucraina non molla, e intanto l’inflazione sale, e con essa i tassi di interesse e il costo dell’energia.
Veniamo all’Italia. Il governo Meloni che reazione ha provocato in Europa?
Distinguerei. La premier Meloni sul piano personale sta facendo in generale buona impressione: ha modo di porsi, sa approcciarsi bene ai suoi interlocutori, al primo impatto risulta anche piacevole. Umanamente tutto ciò aiuta. Il fatto che il primo viaggio all’estero è stato fatto per venire in Europa è stato un segnale positivo. Poi, politicamente, rimangono le diffidenze. Il primo atto del governo è stato aprire una crisi politica con la Francia, la manovra di bilancio ha ricevuto osservazioni critiche non solo di tipo tecnico, perché alcune decisioni, come l’uso del contante e le misure fiscali più permissive rischiano di favorire l’evasione fiscale. Tutto ciò contrasta con le basi della politica europea.
Ce la faremo con il Pnrr?
È il punto più importante. I dubbi attualmente riguardano la manovra fiscale, la lotta all’evasione e la riforma fiscale, che sono condizioni per il PNRR. Oltre a questo ci sono poi le dichiarazioni del governo, che mette le mani avanti, lamenta i ritardi e il caro materiali, il che fa nascere sospetti. L’Italia ce la farà? Oggi è questa la vera domanda che molti si fanno.
Draghi è un rimpianto?
Nessuno lo dice a livello ufficiale. Però, nei vari dossier, prima l’Italia aveva un altro ruolo, perché con la crisi tra Germania e Francia avevamo saputo ritagliarsi uno spazio importante. Ora mi sembra che il ruolo del nostro paese sia sceso di livello.
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