L’Associazione giuristi e avvocati ebrei in prima linea per la Costituzione
Ariel Dello Strologo da poche settimane è il nuovo presidente dell’AGE. A Riflessi spiega ragioni dell’associazione e le finalità della sua azione
Ariel, che cos’è l’AGE?
L’AGE, Associazione italiana giuristi ed avvocati ebrei, è un’associazione nata su iniziativa di alcuni avvocati che avevano maturato già un’esperienza pregressa nell’associazione internazionale degli avvocati e dei giuristi ebrei, con l’idea di dare vita alla sua costola italiana. L’obiettivo infatti è creare un luogo in cui scambiarsi esperienze e conoscenze comuni e metterle a disposizione non necessariamente per fini professionali, ma in generale per favorire l’accrescimento reciproco delle proprie competenze. In questo senso l’AGE favorisce gli incontri per l’approfondimento di tematiche al centro delle riflessioni comuni di persone che si riconoscono in una identità ebraica.
Ad esempio?
Pensa alla tutela dei diritti civili, alla lotta all’antisemitismo, al contrasto a ogni forma di razzismo. Ma pensa anche ad argomenti più specifici, come il rapporto fra identità e ordinamento giuridico. Noi com’è noto siamo una minoranza all’interno del nostro paese; in generale ogni comunità ebraica della diaspora è una minoranza nel paese in cui vive. In quanto tale, una minoranza è regolamentata da un punto di vista giuridico, sia nei diritti che nei doveri, il che richiede necessariamente un confronto fra noi e gli altri. In generale, infine, direi che l’AGE vanta anche una finalità sociale, che definirei comunitaria: dare vita a una piccola comunità di persone unite da una logica di appartenenza.
Chi può far parte dell’associazione?
Ne fanno parte tutti coloro che hanno una formazione giuridica o che comunque svolgono attività che hanno a che fare col mondo del diritto. Quindi avvocati, ma non solo: anche magistrati, professori e ricercatori possono iscriversi all’associazione, e in generale tutti coloro che per formazione e per storia si sentono legati al mondo del diritto e vantano una relazione con il mondo ebraico.
Cosa intendi per questa relazione?
La nostra associazione non richiede il rispetto di criteri di appartenenza rigorosi e halakhici, perché segue una logica più ampia. Per noi è sufficiente che chi si vuole iscrivere si senta appartenere a questi due mondi di riferimento: quello del diritto e quello ebraico.
Quanti sono gli iscritti all’AGE e come è possibile farvi parte?
L’associazione è nata poco prima che scoppiasse la pandemia del Covid, il che ci ha obbligato a un rallentamento da cui stiamo uscendo negli ultimi mesi. A breve avremo strumenti tecnologici e informatici in grado di darci una maggiore visibilità, al momento si può scrivere alla nostra segreteria chiedendo di partecipare, versando una quota simbolica.
C’è un approccio ebraico al diritto secondo te?
In generale non credo sia un caso che il mondo del diritto sia stato negli ultimi due secoli uno dei più frequentati dagli ebrei. Spiego questo fenomeno sia per la nostra formazione, in quanto la tradizione ebraica si può definire strutturalmente giuridica: pensa ai responsa, alle discussioni talmudiche, ai tanti profili giuridici della Halakha, che in effetti è una categoria del pensiero molto giuridica; direi cioè che appartiene al nostro patrimonio culturale l’approccio ermeneutico, ossia quello che richiede un’interpretazione. E poi, c’è anche un’altra causa, storica: il mondo del diritto, come tutte le altre professioni intellettuali, a lungo è stato uno dei pochi in cui era possibile agli ebrei esercitare una professione. È stato dunque a causa di queste ragioni – le restrizioni storiche che abbiamo subito, nonché il nostro imprinting culturale, per così dire – che gli ebrei negli ultimi due secoli hanno così a lungo frequentato il mondo del diritto.
In Italia c’è una lunga e tradizione di giuristi ebrei: penso, se guardo al periodo a cavallo degli ultimi due secoli, a Lodovico Mortara, Corrado Vivanti, Tullio Ascarelli, Vittorio Polacco, Federico Cammeo e molti altri. C’è un approccio ebraico anche nel modo di interpretare le norme?
In effetti esistono moltissimi giuristi ebrei che, anche se non necessariamente hanno dedicato la loro attività all’applicazione di principi etici come quelli prescritti dalla Torà – pensa all’obbligo di proteggere l’orfano, la vedova e lo straniero, o la necessità di praticare la giustizia – certamente hanno tratto da questo substrato culturale la forza per costruire un’importante carriera. Se poi allarghiamo l’orizzonte oltre i nostri confini, mi vengono in mente almeno altri due nomi che sono imprescindibili nella storia delle relazioni internazionali e della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo: Raphael Lemkin, che molto ha contribuito alla definizione di genocidio e di crimini contro l’umanità, anche sulla scorta di quello che aveva vissuto nell’ultima guerra; e Hersch Lauterpacht, ideatore della Carta dei diritti umani.
Se pensiamo al dopoguerra, mi vengono in mente anche i 9 ebrei membri dell’Assemblea costituente: Ugo Della Seta, Vittorio Foa, Giuseppe Emanuele Modigliani, Riccardo Momigliano, Mario e Rita Montagnana, Umberto Terracini, Paolo Treves, Leo Valiani.
Erano donne e uomini che portarono la loro esperienza fatta di studio e anche delle sofferenze vissute sotto la persecuzione fascista. Il loro contributo alla scrittura della Costituzione italiana affonda le radici in una tradizione ben più lunga, quella dello Stato liberale, e prolunga i suoi effetti anche nell’ordinamento repubblicano. Quello che voglio dire è che la tradizione dei giuristi ebrei tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è stata a mio avviso fondamentale in vari campi del diritto, come il diritto commerciale, il diritto amministrativo, il diritto penale e quello processuale. Tutti insieme gli sforzi intellettuali di questi uomini hanno consentito all’Italia di dotarsi di un solido ordinamento giuridico liberale, che anche se poi è stato messo a dura prova e spesso piegato dalla dittatura fascista, in buona parte ha retto, cosicché, una volta che siamo tornati alla democrazia ed è nata la Repubblica, il nuovo Stato è ripartito da quelle basi, riuscendo a riemergere dalla dittatura.
E se guardiamo a oggi? Se guardiamo alla cronaca, alle misure adottate nei confronti ad esempio degli stranieri, o alla limitazione dei diritti civili per uso politico o propagandistico, che giudizio dai del paese in cui viviamo?
Allargherei un po’ lo sguardo non solo al nostro paese. Se guardiamo agli ordinamenti giuridici moderni, appare evidente il continuo confronto, e a volte scontro, fra l’ordinamento nazionale e quelli sovranazionali. Allo stesso tempo, viviamo un’epoca in cui c’è una continua tensione fra ordinamento statale e ordinamenti regionali, il che spesso si traduce in una difficoltà per i cittadini e gli amministratori a riconoscere l’importanza degli ordinamenti superiori, come ad esempio quello europeo, che in realtà si occupa sempre di più della vita quotidiana delle persone. Così assistiamo spesso alla tendenza a interpretare le norme come se dovessero solo proteggere i nostri interessi e quelli del singolo gruppo, in contrapposizione, ad esempio, a chi è straniero, o comunque a chi non è riconosciuto far parte di quella comunità. Trovo che questo approccio non sia positivo, perché rischia di aumentare le differenze e le ingiustizie. Al contrario, io credo che dovremmo tutti sforzarci di costruire e vivere in un ordinamento giuridico che tenda a migliorare il benessere generale di coloro che ne fanno parte. Questa ritrosia a riconoscere i diritti degli altri ha a mio avviso anche un’altra origine.
Quale?
Mi sembra che viviamo in un tempo in cui molti si affannano a rivendicare i propri diritti, dimenticando invece i doveri. La nostra società oggi fa molta fatica a coniugare insieme questa coppia di valori. Invece dovrebbe essere evidente che solo attraverso l’adempimento dei nostri doveri possiamo poi chiedere la tutela dei nostri diritti. Dietro ogni diritto, infatti, c’è il dovere degli altri di consentirne l’esercizio. Oggi mi sembra che, al contrario, il nostro paese viva una confusione culturale che poi si trasferisce anche sul piano giuridico, in cui, come ti dicevo, tutti sono pronti a rivendicare i propri diritti, ma poi molto meno si dimostrano solerti nell’adempiere i doveri. Anche in questo credo che la tradizione ebraica possa insegnare molto, perché come sai i precetti che vengono prescritti nel vivere quotidiano agli ebrei in moltissimi casi sono orientati a costruire una società più equa e più giusta.
Su quali linee intendi sviluppare la tua presidenza?
L’AGE ha da subito aderito con entusiasmo al progetto dell’Ucei sull’articolo 3 della Costituzione, “diversi tra uguali”, che sta portando il tema dell’uguaglianza all’attenzione del mondo non solo ebraico, con la volontà di costruire un dialogo con la società civile. Ci sembra infatti che questo progetto abbia il merito di consentire all’ebraismo italiano di partecipare al dibattito culturale del paese sul tema dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Credo che il messaggio che stiamo cercando di realizzare sia molto importante, ossia che noi ebrei non ci limitiamo a sollecitare una tutela da parte dello Stato nel momento in cui ci sentiamo minacciati o lesi, ma intendiamo anche farci parte attiva di un dibattito giuridico e culturale più ampio e in cui, per via di quella tradizione che ho provato a descrivere, possiamo dare molto. Sarebbe quindi sbagliato non partecipare alla discussione in corso nel paese; io credo che noi dobbiamo essere interlocutori insieme a molti altri, facendo conoscere le nostre particolarità e aprendoci al confronto. Naturalmente l’AGE si occupa anche di intervenire su questioni più generali che riguardano noi ebrei, come l’intolleranza diffusa, le forme di antisemitismo, la tutela dei nostri valori costituzionali; a me sembra però che il punto più importante sia questo: gli ebrei oggi non possono invocare i loro diritti se rinunciano a partecipare attivamente al dibattito nel paese. In altre parole, non possiamo chiedere agli altri di condividere ed essere sensibili ai nostri problemi se, a nostra volta, non ci dimostriamo sensibili e attenti alle altre questioni di attualità oggi nel paese.
Per informazioni o per iscrizioni ad AGE: age2017.associazione@gmail.
2 risposte
Intervista molto interessante, lucida e chiara nei suoi contenuti tutti propositivi e coinvolgenti.
Complimenti al Presidente Ariel Dello Strologo, al quale auguro di conseguire tutti gli obiettivi e tutte le finalità che ha illustrato, sotto la egida di un dialogo costante, aperto e costruttivo della Comunità ebraica italiana con la Società nazionale.
Cercherò oggi stesso di scrivere alla Segreteria AGE, chiedendo di partecipare alle attività della Associazione.
Grazie alla Redazione di “Riflessi Menorah”, che permette ai lettori di apprendere e cogliere queste opportunità.
Partecipare attivamente al dibattito nel paese per invocare il proprio diritto affinchè sia, senza se e senza ma, affermato e riconosciuto . Pienamente condivisibile il pensiero del presidente Ariel Dello Strologo al quale giunga ogni augurio per raggiungere quanto auspicato e ” creare un luogo in cui scambiarsi esperienze e conoscenze comuni e metterle a disposizione non necessariamente per fini professionali, ma in generale per favorire l’accrescimento reciproco”.
Parteciperò volentieri, se permesso, ad attività o eventi dell’Associazione.
Con i migliori saluti Luciano Piacente