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L’ARI lavora per costruire il futuro dell’ebraismo italiano

Rav Momigliano, vice presidente dell’Assemblea rabbinica italiana ed eletto nella Consulta rabbinica dell’Ucei, spiega a Riflessi su quali linee si muoverà il rabbinato italiano, e perchè è fondamentale la collaborazione tra tutte le comunità

Gentile rav Momigliano, lei è stato di recente nominato dai rabbanim vicepresidente dell’Assemblea rabbinica italiana (ARI), incarico che aveva già ricoperto in passato. Quali sono a suo avviso le principali linee di attività che l’ARI dovrà seguire nel prossimo futuro?

Come premessa ricordo che i rabbini e i maskilim che compongono l’ARI eleggono il Consiglio direttivo il quale, a sua volta, designa cariche direttive dell’ARI; le iniziative e i criteri i operativi dell’ARI vengono pertanto decisi nell’ambito del Consiglio, poi periodicamente ci si confronta in sede assemblea oltre naturalmente ai rapporti informali che ciascuno di noi del consiglio mantiene con altri colleghi e che pure costituiscono momenti importanti di verifica. Desidero comunque approfittare di questa domanda per un discorso forse un po’ più ampio.

Prego.

Il compito dell’ARI è innanzitutto quello di contribuire a rafforzare la vita ebraica in tutte le Comunità, grandi e piccole attraverso, lo studio di Torà e l’osservanza delle mitzvoth, nel solco dell’interpretazione dei Maestri che hanno definito la halakhà nel corso dei secoli e dei millenni, secondo i criteri rigorosi stabiliti dalla Torà Orale, criteri e metodi di elaborazione della halakhà che la mantengono perfettamente adeguata a rispondere a tutti i problemi che caratterizzano anche il nostro tempo. Desidero chiarire che non si tratta di un’affermazione generica; la forte preoccupazione per il futuro delle nostre comunità ebraiche, specialmente il decremento demografico che si sta facendo sempre più accentuato, che si avverte ormai anche nelle comunità più grandi, che sta riducendo la vitalità di alcune comunità ed è sul punto di segnare la scomparsa delle più piccole, rischia di diffondere la rincorsa dietro soluzioni apparenti, ingannevoli o addirittura propriamente sbagliate.

rav Arbib è stato confermato presidente dell’ARI

A cosa si riferisce?

Si va alla ricerca affannosa di nuovi possibili iscritti, o si punta a dimostrare la vitalità di una comunità attraverso iniziative rivolte all’esterno, o ancora si cerca di aggrapparsi a qualche estrema manifestazione di vita ebraica in occasione delle ricorrenze solenni (specialmente le funzioni di Rosh Hashanà, Kippur e il Seder di Pesach). Anche quando si tratta di iniziative legittime e talvolta necessarie, rimane il problema fondamentale che con questi progetti si può forse rallentare il disfacimento, ma non si costruisce il futuro ebraico. Penso che sia compito dell’ARI, attraverso l’attività dei rabbanim che ne fanno parte e che operano nelle comunità e nelle istituzioni ebraiche, richiamare l’attenzione sul fatto che non si costruisce futuro ebraico senza rafforzare lo studio di Torà e l’osservanza delle Miztvoth. Penso che le domande basilari che dobbiamo porci riguardino innanzitutto il futuro ebraico nelle famiglie, i nostri figli e nipoti i giovani ebrei sparsi nelle grandi e piccole comunità ai quali in concreto affidiamo il nostro futuro. Ci chiediamo perché si perdono, perché si allontanano o rimangono legati formalmente alla comunità ma in modo sporadico, che non incide sulle loro scelte di vita e quasi non si percepisce nella comunità.

Quali sono le cause, a suo avviso?

Questo avviene perché l’ebraismo è marginale nelle loro conoscenze, a volte deformato, a volte rimasto limitato a sommarie nozioni acquisite per il Bar Mitzvà, a volte legato a poche tradizioni conservate in famiglia. Per di più, spesso i ragazzi, ma anche persone giovani di varie fasce d’età, non hanno coetanei in comunità e le loro amicizie e relazioni sociali sono quasi esclusivamente al di fuori dell’ambiente ebraico. E un insieme di elementi con effetti inevitabilmente disgreganti. Il ragionamento si può completare se capovolgiamo la prospettiva e ci chiediamo che cosa occorre per rimanere invece non solo legati, ma consapevoli e attivi nella vita ebraica.

Cosa serve, secondo lei?

rav Ariel Di Porto, rabbino capo di Torino, fa parte della consulta rabbinica

Occorrono   conoscenze di Torà in senso ampio, cioè conoscenza di testi di Torà scritta e delle spiegazioni dei nostri Maestri; conoscenza della lingua ebraica; conoscenze varie di cultura ebraica; competenze diverse, che nel complesso ci aiutino a definire la nostra identità, a costituire quel legame che al tempo stesso ci unisce con la storia del nostro popolo, che definisce il nostro rapporto nel presente e ci aiuta a renderci partecipi e attivi nel costruire il futuro del popolo ebraico.  Ancora, è necessario confrontarci con le nostre fonti per trovare risposte relative ai problemi del nostro tempo, in modo che la Torà sia effettivamente rilevante nella nostra vita, nella nostra identità di ebrei e di uomini nella dimensione particolare e universale. Poi dobbiamo sempre ricordare che nell’ebraismo lo studio non è fine a se stesso, la conoscenza si alimenta con l’azione nelle mitzvoth, senza le quali  la  conoscenza rischia di rimanere un contenitore vuoto perché l’ebraismo è vita, e particolarmente vita sociale, partendo dalla famiglia per estendersi alla comunità e ai legami che si intrecciano con altri figli del popolo ebraico. Sono le emozioni i momenti importanti lieti e tristi della vita condivisi; ancora, dobbiamo considerare parte dell’identità ebraica la capacità di sviluppare un rapporto positivo con la società attorno a noi, con il contesto non ebraico in cui viviamo, riuscendo ad essere pienamente noi stessi come ebrei, senza compromessi e al tempo in grado di intrecciare rapporti sociali e di amicizia, sapendo quando e che cosa possiamo condividere della nostra vita e quando e che cosa tenere invece distinto, separato, cosa possiamo dare e cosa ricevere nel rapporto con la società in cui viviamo, in che modo l’ebraismo si rende attuale confrontandosi con altre culture. Ancora è tema di indispensabile riflessione dell’identità ebraica se e quale sia il senso dell’essere ebrei fuori da Israele, in un certo senso vicini e lontani al tempo stesso da quel luogo.

Si tratta di un programma ampio.

rav Touitou, rabbino capo di Venezia, è il terzo eletto nella consulta rabbinica

È tanto? Sì, è tantissimo! Ma è ancora poco rispetto a quanto qui appena accennato e a quanto neppure affrontato, perché forse sono gli aspetti generalmente più sviluppati dell’identità ebraica, come il confronto con l’antisemitismo nelle sue varie forme e naturalmente il ricordo della Shoà, che anch’essi andrebbero affrontati in una prospettiva molto più globale dell’identità ebraica con un altro discorso che non è possibile qui intraprendere. Il lavoro da compiere per mantenere la vita ebraica nelle nostre Comunità è enorme, è necessario ribadire queste dimensioni del compito che ci spetta, chiamare tutte le forze in campo nelle nostre istituzioni ebraiche a concorrere cercando di trovare percorsi per quanto possibili condivisi, sapendo tuttavia riconoscere che non tutte le scelte hanno la stessa importanza, ci sono scelte prioritarie imprescindibili e altre accessorie. Penso sia anche compito dell’ARI aiutare a distinguere, con l’esempio dei propri membri, la priorità delle scelte da compiere e contribuire a chiarire i motivi per i quali l’indicazione della via dell’ebraismo ortodosso sia comunque l’unica perseguibile nelle nostre comunità. Ricordo infine, a conclusione di tutto questo discorso, che i nostri Maestri ci insegnano: “Egli (Rabbì Tarfon) diceva: Non sta a te completare l’opera, ma non sei autorizzato a distoglierti da essa” (Mishnà Avot 2,16).

Poco prima della nomina ARI, lei è stato anche designato dal consiglio UCEI come uno dei 3 componenti della consulta rabbinica, entrando così nella giunta. Quale contributo ritiene di poter apportare, assieme ai rabbanim Di Porto e Toitou, all’attività dell’UCEI?

(continua a pag. 2)

3 risposte

  1. Insegnamo ai nostri giovani storia contemporanea in modo da avere gli strumenti per difendersi e saper controbattere nella società di cui fanno parte che non è solo quella ebraica. Diamo più concretezza, forse l’allontanamento, almeno nelle piccole comunità, è dato da troppa Tora’ e meno contemporaneità pratica.
    Dopo il bar mitzwa i giovani spariscono, forse è necessaria un’auto critica da parte dei Rabbanim?

  2. Complimenti a Rav Momigliano stimatissimo Rabbino Capo di Genova per la sua nomina che sono certa svolgera’ come sempre con intelligenza e profonda umanita’.auguri anche agli altri Rabbini per un proficuo lavoro !

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