La protezione degli ebrei e Pio XII: una storia da chiarire
Quale fu l’atteggiamento della Chiesa cattolica durante la persecuzione nazifascista degli ebrei in Italia? Ne abbiamo parlato con Liliana Picciotto, a margine del recente convegno su Pio XII
Liliana, nel convegno dedicato ai nuovi documenti in via di emersione sul pontificato di Pio XII, hai illustrato una relazione relativa alle iniziative a soccorso degli ebrei perseguitati. Cosa ne emerge?
Gli studi effettuati negli ultimi anni sugli ebrei italiani o presenti in Italia che si salvarono dalla Shoah mostrano che, rispetto alle 39.000 persone iniziali, più di 7.000 furono i deportati, 4.500 riuscirono a raggiungere la rete confinaria svizzera ed essere accolti. Rimasero in trappola in territorio occupato 27.500 persone. Sottolineo intanto un elemento cui pochi fanno cenno. La popolazione italiana contava allora circa 32 milioni di abitanti. Generalmente parlando, la percentuale degli ebrei bisognosi di soccorso è assolutamente irrilevante. Detto ciò, circa l’81% degli ebrei si salvarono, in molti casi grazie al soccorso ricevuto da più parti.
È possibile affermare che la Chiesa di Pio XII si espose espressamente a favore degli ebrei?
Occorre fare al riguardo alcune considerazioni generali. Nell’Italia del 1943-1945, molte migliaia di persone devono nascondersi, pena l’arresto: militari italiani che rifiutano di servire il nazifascismo, militari alleati tagliati fuori dai loro eserciti, prigionieri di guerra fuggiti dai campi di prigionia. Formarono un esercito di persone che dovevano, per forza, passare in clandestinità. In più, Roma si riempì di sfollati, dalle zone di guerra al sud, di senza tetto, poveri, politici antifascisti e loro famiglie. Gli ebrei fanno parte di questo quadro. La Chiesa offre, dove può, soccorso e rifugio a tutti, perché segue la sua “vocazione” alla carità. Al Seminario Maggiore vivevano addirittura alcuni membri del CLN (comitato di liberazione nazionale)
E per gli ebrei?
Per gli ebrei non emerge alcun documento che attesti la volontà specifica di metterli in salvo. Non fu creato nessun dispositivo tendente a questo.
Tale omissione si può spiegare con il rischio che comportava salvare degli ebrei dai nazifascisti?
Direi di no. Possiamo anzi dire che, per un certo verso, era più pericoloso dare protezione a un miliare americano o inglese che a un ebreo, perché nel primo caso si rischiava la fucilazione per tradimento. Tieni presente però che, in dittatura, le persone non sanno bene quale sia la legge e infrangerla, anche inconsapevolmente, è molto facile.
Quanti furono gli ebrei che trovarono rifugio negli istituti religiosi?
La Fondazione CDEC, della quale sono la storica ufficiale, tra il 2008 e il 2016 ha messo in campo una grande ricerca basata su migliaia di fonti, scritte e orali, e su una fonte appositamente creata, l’intervista diretta a più di 650 ebrei, ormai anziani e oggi tutti scomparsi. [la ricerca è pubblicata sul libro “Salvarsi”, Einaudi, 2017, n.d.r.]. Da questo studio sono riuscita a ricavare che, di tutti gli ebrei salvatisi in Italia, il 16% deve la vita alla protezione della Chiesa. Stiamo parlando di statistiche, naturalmente, non di verità assoluta.
E gli altri? Chi altri protesse gli ebrei?
Singole persone, o gruppi sociali: pensa ad esempio ai medici. In molti casi abbiamo testimonianze di ebrei che si salvarono negli ospedali, camuffati da pazienti o da medici. C’era anche qualche rete organizzata come quella ebraica, Delasem, grandemente aiutata dall’arcivescovo di Genova e dal suo segretario Don Repetto; a Roma il Fronte Militare Clandestino guidato da Montezemolo, martire alle Fosse Ardeatine; a Milano, la rete di laici cattolici guidata dall’avvocato Giuseppe Sala; a Firenze quella del Partito d’Azione. Ma non voglio mancare di sottolineare che i capi famiglia di allora trovarono spesso la forza, il coraggio e i mezzi per trovare autonomamente soluzioni di salvezza.
Pe quanto riguarda la Chiesa, che tipo di protezione fu offerta agli ebrei?
I rifugiati negli Istituti religiosi potevano avere un tetto dove dormire e un po’ da mangiare. Si offriva, a loro come agli altri, il soccorso per aiutarli a vivere. Oltre che brande e coperte si offriva anche solidarietà e amore, questo non ce lo dimenticheremo mai.
Come spieghi questa mancanza di una precisa attenzione volta a proteggere gli ebrei?
Forse non si era compresa la radicalità di quel che avveniva. Ripeto: la Chiesa ha aiutato gli ebrei nel quadro più ampio di aiuto ai bisognosi. Tanto più a Roma, dove tutti confluivano, perché si sperava che fosse la prima città ad a essere liberata e che subiva relativamente pochi bombardamenti rispetto alle città industriali del Nord.
È accertata, nei casi in cui fu data protezione agli ebrei, il tentativo generalizzato di conversione?
Teniamo conto che, in generale, per la Chiesa convertire significa in fondo salvare. “L’iniziativa” di tentare la conversione era rimessa alla scelta dei singoli. Abbiamo registrato alcuni esempi di tentativi di conversioni cui gli ebrei hanno resistito e altri cui gli ebrei hanno consentito, ma mi sembrano limitati. In alcun casi abbiamo la prova del contrario: mons. Roberto Ronca, rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, redarguì una delle suore al suo servizio che aveva chiesto la conversione in cambio della protezione.
Possiamo dire che, quando la chiesa salva gli ebrei, lo fa perché i religiosi ricevono direttive dai vertici vaticani?
L’iniziativa mi sembra parta da quadri intermedi, figure anche di rilievo che agirono in modo autonomo. Solo per fare qualche esempio: Monsignor Franco Bertoglio, rettore del Pontificio Seminario Lombardo, al momento dell’irruzione da parte dei fascisti, aveva nel suo edificio più di 100 “ospiti” di tutti i generi, fra cui degli Ebrei. Il Papa ebbe parole di contrarietà verso il suo operato che definì “armeggio dei ripieghi di carte false e restrizioni mentali che sono mezze bugie”. Monsignor Roberto Ronca aveva addirittura 200 “ospiti” fra cui 50 ebrei. Quando fu scoperto, dovette chiedere scusa al Papa per aver messo in pericolo l’intero istituto.
Se non c’è una politica finalizzata alla protezione degli ebrei, i lavori del convegno hanno fatto emergere come, nel dopo guerra, la Chiesa di Pio XII protesse molti criminali nazisti.
Come è emerso dalla relazione di Gerald Steinacher, nel dopo guerra, la Chiesa ritenne che ci fossero i margini per una nuova politica di evangelizzazione, che tentasse di riconquistare al cattolicesimo le terre in cui era prevalente il protestantesimo. La salvezza di molti gerarchi nazisti si spiega anche così: pensa a Priebke, che si converte al cattolicesimo (era battezzato luterano) prima di ricevere protezione dalla Chiesa di Roma. La nuova evangelizzazione degli Stati, tra cui la Germania, è una vecchia idea della Chiesa, che nasce in realtà secoli prima, dalla creazione degli stati nazionali. È per questo che molti nazisti trovano protezione. C’è poi da richiamare il fortissimo anticomunismo di Pio XII, che impone di considerare la Germania come baluardo all’espansione del comunismo ad oriente. In un certo senso, Pacelli anticipa le ansie della guerra fredda che presero l’Occidente due anni dopo.
La protezione dei criminali di guerra può spiegarsi anche con il persistere di un pregiudizio antigiudaico nella Chiesa?
Non c’è legame tra le due cose. L’antiebraismo fu persistente dopo la fine della guerra, era un sentimento diffuso e veniva da secoli di insegnamento del disprezzo. La Shoah non l’aveva cancellato. Voglio sottolineare però che tale pregiudizio non esentò molti uomini di chiesa di intervenire per salvare ebrei; paradossalmente, le due cose potevano convivere.
Al termine del convegno, si possono tirare prime conclusioni sulla figura di Pio XII?
L’apertura degli archivi vaticani è un’operazione di coraggio e verità da parte dell’attuale Pontefice. Ci siamo confrontati per 3 giorni, ebrei e cattolici, credenti e non credenti, storici e teologi. Tutti hanno saputo cosa pensano gli altri e il punto degli studi in corso. Spero che da qui si proceda per guardare insieme ai grandi problemi che deve affrontare l’umanità in questi tempi.
In effetti, la II guerra mondiale è stata al centro del convegno, mentre un’altra guerra sta coprendo Israele in questi giorni.
È tremendo, e a volte ho seguito i lavori con un forte senso di irrealtà. Quello che stiamo vedendo, la violenza radicale anche sui corpi, ci riporta al passato, a eccidi e violenze come quelle realizzate dai nazisti a S. Anna di Stazzema o alle Fosse Ardeatine. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, altrimenti, il pubblico italiano non le capisce.
Nel convegno sono emerse anche voci critiche su alcune dichiarazioni ecclesiastiche pronunciate a Gerusalemme, non sufficientemente chiare nel condannare il terrorismo di Hamas.
Anche la Croce rossa non ha finora parlato. Esistono nel mondo cattolico ancora delle sacche di incomprensione. Spero che occasioni come questo convegno permettano di superarle. Voglio però segnalare una cosa. L’Osservatore Romano del 10 ottobre, in cui c’è un mio articolo, molto aperto, sulle mie posizioni sul soccorso cattolico durante la II guerra mondiale, espone in prima pagina due fotografie di tre donne disperate. A sinistra sono donne israeliane durante il funerale di un ragazzo che non ha fatto null’altro di male che esistere, a destra sono donne arabe che hanno avuto lo stesso lutto, ma il loro ragazzo aveva solo in testa di distruggere Israele. Questa equiparazione non regge.
Un’ultima domanda: dopo questo convegno ritieni archiviata la causa di santificazione di Pio XII?
Penso e spero che Il fascicolo sia tornato per sempre nel cassetto.
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Una risposta
Pio Xll santo ?
Non parlo prima della guerra delle leggi razziali ,non parlò durante le deportazioni ,non parlò dopo la Liberazione .
Ognuno dia una risposta secondo coscienza.