Il Giardino, e non solo.
Giorgio Bassani è stato uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. Del suo genio e della sua vita privata abbiamo parlato con la figlia Paola, alla vigilia di un importante evento a Ferrara: “La poesia nel Giardino”.
Paola, lei è presidente della Fondazione intitolata a suo padre. Ci racconta come è nata e quale attività svolge?
La Fondazione è nata nel 2002, due anni dopo la morte di mio padre, che l’aveva voluta. L’abbiamo creata insieme a mio fratello Enrico e a un gruppo di amici. La prima sede era a Codigoro, poi ci siamo spostati nella casa che fu di Ludovico Ariosto a Ferrara. Qui c’è la biblioteca che mio padre si era costruito negli anni, i primi libri acquistati e quelli ricevuti in eredità dal nonno Cesare Minerbi, medico e intellettuale. Abbiamo portato il tavolo su cui mio padre scriveva a Roma, la pipa di cui non poteva fare a meno, l’orologio da taschino e la sua macchina per scrivere Olivetti. La prima non c’è più. Si portava in giro la sua Olivetti, scriveva come quando suonava il pianoforte. Non scriveva di getto a macchina, ma lo faceva prima a penna e poi ricopiava con la macchina per scrivere: abbiamo manoscritti, 2000 pagine de I Finzi-Contini. L’attività della Fondazione è centrata sulla diffusione della sua opera e su studi, saggi, pubblicazioni e convegni. I giovani sono grandi attori della Fondazione Giorgio Bassani. Uno stuolo di giovani studiosi appassionati che hanno lavorato tantissimo per catalogare tutti i libri, anche perché i libri sono pieni di dediche, postille di mio padre, commenti a Proust. E poi studi sulla sua opera, sull’attività anche cinematografica, sulle prime stesure dei vari racconti, dei vari romanzi. Questa attività viene fatta nell’ambito di dottorati delle università di tutto il mondo. A Parigi, a casa mia, abbiamo un fondo molto importante, soprattutto epistolare ma non solo e qui anche i giovani sono venuti per studiare, hanno messo a posto tutto, catalogato, inventariato. Ecco, i giovani sono fondamentali, penso a Gaia Litrico, a Angela Siciliano, a Francesco Franchella, che hanno partecipato al convegno all’Istituto italiano di cultura qui a Parigi.
Ci sarà poi un nuovo convegno molto importante il primo giugno 2022, che si fa anche perché è in arrivo una nuova edizione de Il giardino dei Finzi-Contini, tutta commentata a uso scolastico e universitario, curata da Sergio Parussa, che è un professore di Boston.
Suo padre fu uno dei grandi autori ebrei del Novecento, insieme a Umberto Saba, Natalia Ginzburg e Primo Levi. Si conoscevano? Hanno avuto occasione di incontrarsi?
Sì, si conoscevano, era amico stretto di Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Carlo Levi, ha conosciuto Umberto Saba, ma tra tutti non c’era questa specificità ebraica. Si sentivano italiani che parlavano di letteratura, di politica; con Carlo Levi parlavano di comunismo del sud. Allora non esisteva una specificità ebraica in letteratura. Erano italiani che volevano riscostruire l’Italia uscita dalla guerra.
Oltre che scrittore, Bassani era un editor (ha pubblicato Pasolini, ad esempio, con cui ha anche lavorato). Era sceneggiatore, ha lavorato con Mario Soldati e Luchino Visconti. Erano immersi in questa nuova realtà culturale e letteraria italiana.
Giorgio Bassani era un ebreo religioso o laico? Come ha vissuto la sua identità ebraica?
Mio padre era completamente laico e considerava l’ebraismo un fatto molto privato, famigliare che poco aveva a che fare con la trascendenza, ma con le tradizioni private. Basta vedere ne Il Giardino dei Finzi-Contini una delle prime scene è quella di lui che si trova in sinagoga, sotto il talled di suo padre e da lì vede la Micol, anche lei sotto il talled e si guardano. Ecco, il suo ebraismo era questa nostalgia di cose privatissime. Certo, c’era un senso di appartenenza, d’identità, di coscienza di sé, ma era solo una parte di lui. Lui si sentiva ed era soprattutto uno scrittore italiano del dopoguerra, che voleva creare una letteratura nuova, come quella degli autori che lui ha pubblicato. La “cerchia romana” è stata fondamentale, Moravia, i Bellonci…
Ha avuto una bella infanzia!
Io e mio fratello siamo stati fortunatissimi. Non ci mandavano a letto quando venivano tutte queste persone importanti e ascoltavamo tutto quello che dicevano, ci divertivamo da morire, erano più bambini di noi. Era divertente ascoltare mio padre che discuteva con Soldati, con Pasolini; Pasolini giocava a pallone con mio fratello Enrico. Era un ambiente molto leggero, al tempo stesso parlavano di cose così importanti.
Tornando sull’ebraismo, mio padre era un crociano, ebreo di Ferrara, ha scavato per conoscere la sua città che vedeva a cerchi concentrici, a imbuto: il cerchio più grande è quello delle mura di Ferrara, poi c’è il cerchio della società borghese e fascista e poi i Finzi-Contini, che è una famiglia immaginaria, ma sono degli ebrei italiani particolarissimi; scavando ancora di più vuole capire la realtà ebraica ferrarese, ma non gli basta e va ancora più a fondo, cercando di rappresentare la realtà ebraica di una famiglia, vuole andare nel particolare più particolare possibile, per capire meglio il generale. Lui pensava che altrimenti si sarebbe restati sempre nel vago. Serviva qualcosa di precisissimo per parlare in sostanza della nazione italiana.
A Broadway è in scena un musical su Il giardino dei Finzi-Contini. Lo ha visto? Lo vedrà? Il regista ha detto che si è ispirato al libro e non al film.
Guardi, preferisco non parlarne. Un’opera bruttissima! Ha ricevuto pessime critiche e miei amici che l’hanno visto dicono che è una caricatura. Infatti nessun altro teatro l’ha richiesta. Una caricatura, gli spaghetti, i passatelli, tutta aneddotica, purtroppo non ci siamo.
Il film Il Giardino dei Finzi-Contini non piacque a suo padre: perché?
Obiettivamente il film è molto bello, ma De Sica ha sbagliato, si è comportato male. La storia è nota. Aveva chiesto a mio padre la sceneggiatura del film e lui ci ha lavorato molto facendo un grande sforzo perché la sceneggiatura è diversa dal libro, con flashback, ha fatto uno sforzo enorme per fare qualcosa di nuovo, ha consegnata, ma poi non ha più saputo nulla, finché De Sica non lo ha invitato a vedere l’anteprima del film.
Qui mio padre ha scoperto che non solo la sua sceneggiatura non era stata usata, ma che nella nuova il personaggio Giorgio parla in prima persona, facendo sembrare che quella fosse la storia vera di Giorgio Bassani. De Sica aveva girato le prime scene proprio nella casa di mio padre. Il film era girato come se fosse una storia di Giorgio Bassani. Ma in più c’era questa scena di deportazione del padre, che non era avvenuta e allora mio padre ha detto:
“Eh no caro, tu giochi con delle cose non vere e non posso accettare che si dica che mio padre è andato ad Auschwitz quando non è vero, come hai fatto il film in chiave proprio mia personale non si può dire una cosa finta, vorrebbe dire che io per fare film drammatico ho cambiato la vita di mio padre una cosa così enorme”.
Ecco come è andata. Mio padre allora ha fatto un processo, ha speso un sacco di soldi e lo ha vinto. Per ottenere in sostanza, che nei titoli di coda invece di essere scritto “tratto da Il Giardino dei Finzi-Contini” ci fosse scritto “liberamente tratto”. Quel “liberamente” gli è costato soldi, fatica e tanto altro. Ma il nodo fondamentale era questa scena inventata e lui non poteva sottoscrivere una cosa del genere.
Aggiungo che il film ha aiutato molto a far leggere il libro, lo ha portato in giro per il mondo, è stato molto bello.
In ogni caso, mio padre si è vendicato, ha scritto un articolo “Il giardino tradito”, dove parla di questa cosa di Auschwitz e dell’amore troppo chiaro, evidente con Micol nel film. Nel libro non ci sono scene esplicite come nel film, è un amore più “dantesco”. Sa che abbiamo scoperto che c’è una prima stesura de I Finzi-Contini dove c’era una scena proprio erotica tra Micol e Davide, che però mio padre ha tolto perché era troppo plateale? Invece De Sica ha scelto un’altra strada…
Come reagì suo padre alle polemiche del Gruppo del ‘63, che lo definì una specie di Liala al maschile?
Sì, lo definirono così perché per loro era proustiano, nostalgico. Mio padre è stato uno scrittore della memoria, cioè per lui era un dovere morale parlare di quelli che non ci sono più; un senso morale fortissimo lo ispirava, il dovere della memoria che serve per il futuro, per le generazioni future. Quindi è uno scrittore che parla del passato perché è tutto rivolto al presente e al futuro. È stato un intellettuale completamente immerso nel presente che ha costruito e che continua a costruire nel futuro. Tanto è vero che raccoglieva e pubblicava tutte le cose nuove dei giovani della letteratura italiana, le novità, molte novità son passate attraverso Botteghe Oscure, Feltrinelli di cui era editor. Pensiamo per esempio a Ragazzi di vita di Pasolini o a Il Gattopardo. Non dimentichiamoci che Giorgio Bassani ha fondato “Italia nostra”, si è battuto per la tutela del patrimonio artistico italiano, in una prospettiva culturale pazzesca. È stato, peraltro, insegnante di storia del teatro all’Accademia nazionale di arte drammatica, era, insomma, un uomo immerso nel presente e al tempo stesso carico di nostalgia e aperto al futuro.
A mio padre non importava assolutamente nulla del giudizio del Gruppo del ‘63, forse sarà stato anche un po’ dispiaciuto però lui diceva una cosa bellissima: “che producano qualcosa di buono. Dopo ne parleremo e starò a sentirli, però non li sento neanche perché non contano”.
Oggi, a suo avviso, ci sono scrittori che s’ispirano a suo padre e, più in generale, esiste una letteratura ebraica degna di nota?
Di letteratura ebraica non so, anche io sono un po’ come mio padre, non distinguo. Mi ricordo che lui mi ha indicato soltanto un libro, L’amico ritrovato di Fred Uhlman. Mi ha detto che gli assomigliava molto. Poi non ho tempo di leggere e conosco pochissimo la letteratura italiana. Quindi, ripeto, non so dire niente sulla letteratura in più ebraica di adesso, anche perché essendo allieva di mio padre, non faccio la differenza tra ebrei e non ebrei.
La mostra sarà prorogata per tutta l’estate, fino a settembre
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Una risposta
Mettere sullo stesso piano studiose come Angela Siciliano e Gaia Litrico con Francesco Franchella e quanto meno un poco prematuro