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Il futuro museo della shoah va sottratto al controllo della politica

Il ministro Sangiuliano stanzia 10 milioni per costruire il museo della Shoah a Roma. A condizione, però, che sia il governo a dettarne gli indirizzi. Riflessi ha chiesto un parere allo storico Michele Sarfatti

Processor Sarfatti, cominciamo dall’inizio: perché in Italia ancora non c’è un museo dedicato alla Shoah?

Michele Sarfatti (foto: Giliola Chiste)

Certo ce ne sarebbe bisogno, anche a Roma, perché è la capitale. Molti anni fa, senza che avessi alcun ruolo di decisione, dissi che mi sarebbe piaciuto ci fosse una grande museo dell’ebraismo italiano, a Roma, per i duemila anni di storia e per la presenza del vaticano; e un museo della shoah, da fare a Ferrara, la cui parte ebraica era stata martoriata durante la guerra dalla Repubblica sociale italiana (RSI). Poi le cose sono andare diversamente: a Ferrara il MEIS e a Roma un museo della Shoah. Va bene anche così, certo; però questo secondo museo ancora non c’è. Per quale motivo tutto questo ritardo? C’è stato forse un problema di gestione, forse “di visione”; fatto sta che il ritardo accumulato è grave.

Ora però sembra che il governo ci abbia messo i soldi: 10 milioni di euro.

Il Meis, a Ferrara

Bisogna capire non solo quanto è stato stanziato per la costruzione, ma anche per la gestione. I musei costano, e dunque il criterio per capire se i fondi sono sufficienti è vedere quanti soldi sono messi nella realizzazione prima e quanti poi nella gestione annuale. Il vero problema dei musei infatti non è tanto l’importo necessario per farli, ma quello che serve per gestirli: la spesa giornaliera, settimanale e mensile. Un museo della Shoah a Roma attirerà sicuramente molto pubblico, ma deve essere in grado di essere finanziato e governato.

Il disegno di legge presentato dal ministro Sangiuliano però prevede una novità: a gestire il museo sarà la fondazione Museo dela shoah, che a sua volta «è posta sotto la vigilanza del Ministero della cultura che programma le attività museali anche tenuto conto degli indirizzi della Presidenza del Consiglio dei ministri».

il ministro della cultura Sangiuliano (a sinistra)

Nulla da dire sulla vigilanza, il resto è una novità strabiliante, considerando il fatto che siamo in una Repubblica e non in sistema politico retto da Kim Jong Un [il dittatore dela Corea del Nord, n.d.r.].

Cioè?

Vede, in Italia i musei sono autonomi nella gestione e nelle politiche di indirizzo. Invece nel ddl depositato pochi giorni fa al Senato è scritto, come ha detto lei, che gli indirizzi proverranno dalla Presidenza del consiglio dei ministri, ossia dal governo.

Cosa c’è che non va? In fondo, i soldi ce li mette il governo.

Non discuto che il ministero della cultura svolga una funzione di vigilanza, è giusto: quando lo Stato mette i soldi poi vigila su come vengono spesi, perché si tratta di soldi presi dalle tasche dei cittadini. Quello che però stona è il resto, la previsione che il ministero della cultura programma le attività museali tenuto conto degli indirizzi della Presidenza del consiglio dei ministri.

la sede della fondazione Museo della Shoah, a Roma

Il governo potrebbe interferire con le scelte del Museo?

Mi limito a registrare che non esiste in Italia un museo costruito in questo modo, perché da sempre i musei sono enti autonomi. È giusto che il ministro nomini un suo rappresentante all’interno del consiglio di amministrazione, il quale poi concorrerà alla nomina del presidente; ma è poi il consiglio di amministrazione che decide gli indirizzi del museo: così funziona il MEIS, ad esempio.

Perché secondo lei questa scelta?

il rendering del museo della Shoah, a Villa Torlonia

Non so risponderle. Mi limito a fare questa osservazione: il museo della Shoah dovrà occuparsi di una delle maggiori nefandezza del fascismo, la persecuzione degli ebrei. Su un tema così delicato, il governo si è preso il potere di dettare gli indirizzi del museo, condizionandone le attività. Si tratta a mio avviso di una interferenza unica, e sarebbe bene che ci spiegassero il perché. Siccome ci si avvicina a Pesach, che ricorda la libertà dalla schiavitù egiziana, potrei dire così: perché questo museo è diverso da tutti gli altri? È una domanda che va posta.

Sta dicendo che c’è la tentazione di controllare il modo in cui si vorrà illustrare la responsabilità del fascismo nella Shoah?

Ripeto: non posso mettermi nella testa del governo. Certo il rischio c’è. Si tratta di un pericolo contro il quale abbiamo le armi della conoscenza, che sono capaci di vincere queste e altre battaglie, ma certo ne avremmo fatto volentieri a meno.

l’IHRA è l’organizzazione intergovernativa contro il negazionismo e la disinformazione, a difesa della memoria della Shoah

Lei è anche uno dei componenti italiani della delegazione presso IHRA, l’organismo internazionale che ha il compito di elaborare le strategie contro l’antisemitismo e monitora la gestione dei musei della shoah: a suo avviso questa norma che affida un ruolo così importante al governo potrebbe finire sotto l’esame dell’IHRA?

Secondo me sì. Lo dico sulla base dell’esperienza. I musei sulla Shoà patrocinati in questi ultimi anni e influenzati dal governo polacco e ungherese sono continuamente discussi all’interno IHRA, oggetto di polemiche e di richieste di chiarimenti alle rispettive delegazioni nazionali, perché forte è il rischio di manipolazione della ricostruzione storica.

L’ultimo libro di Michele Sarfatti, sulla persecuzione fascista degli ebrei nelle colonie (Viella, 2023)

In ogni caso, quella di cui stiamo parlando è solo una proposta, perché il disegno di legge dovrà affrontare l’iter parlamentare.

E infatti auspico che la norma venga cambiata, che nel dibattito parlamentare venga ripristinata la normalità del funzionamento dei musei, perché soprattutto la futura esposizione museale sulla Shoah ha bisogno di essere priva di qualsiasi condizionamento politico.

Un’ultima domanda: le recenti dichiarazioni del presidente del senato, La Russa, sull’attentato di via Rasella sono a suo avviso un tentativo, per quanto maldestro, di riscrivere la storia della resistenza partigiana e, conseguentemente, anche delle responsabilità nazifasciste durante la guerra?

Il Presidente La Russa è un collezionista di busti di Mussolini (foto: Corriere della sera)

Non direi che quelle parole volessero riscrivere la storia: la storia del novecento non la si può riscrivere, quando è scolpita nelle lapidi, nei documenti d’archivio, nelle memorie dei superstiti, nelle ricostruzioni degli studiosi. Quelle parole non sono riscrittura, sono negazionismo. E il negazionismo è un delitto contro la libertà e la democrazia. Secondo me andrebbero segnalate alla magistratura.

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4 risposte

  1. Condivido pienamente quanto scritto da Michele, anche attraverso la mia esperienza di membro del comitato scientifico del MEIS
    Bice Migliau

  2. Con un governo che si rifiuta di fare i conti con il fascismo, la volontà di controllo e gestione è più che sospetta.
    Anche i fondi elargiti sembrano una difesa preventiva, alle loro pulsioni profonde. Vedi La Russa

  3. Ottima intervista: domande intelligenti, chiare e volte meritoriamente a comprendere e far comprendere, risposte attente, esperte, sagge e caute.
    Il tema trattato è di fondamentale importanza e comunque, al di là delle contingenze politiche e dei governi in carica pro tempore, gli indirizzi di un erigendo Museo della Shoah in Italia devono secondo logica e buon senso essere fissati ed attuati dalla UCEI e da chi ha titolo per parlare a nome dell’Ebraismo italiano.

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