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I Giusti e il boia

Ci sono vicende che sono lo spartiacque tra il bene e il male.  La famiglia Ceccarelli, tra il ’43 e il ’44, salvò molti ebrei dai nazifascisti. Su Riflessi, per la prima volta ecco la loro storia

Ines Cicala e suo fratello Olindo

Ci sono persone che rischiano la propria vita per aiutare il prossimo, e altre che la vita la tolgono. Nella Roma occupata dai nazisti, nel cuore dell’antico ghetto del Portico di Ottavia, in poche decine di metri accadde un evento che mise di fronte il bene e il male assoluto. Da un lato la famiglia Ceccarelli, proprietaria dello storico ristorante “Giggetto”; dall’altra il comandante della polizia di sicurezza (SD) a Roma, Herbert Kappler, che dalla sede in Via Tasso si macchiò di efferati crimini, assieme alle bande fasciste al suo servizio.

  1. L’arrivo in Piazza

Luigi Ceccarelli, detto “Giggetto”, e sua moglie Ines Cicala aprirono una trattoria al Portico di Ottavia oltre 90 anni fa, dopo che Luigi, capo personale delle Ferrovie locali, fu licenziato in quanto antifascista. Luigi infatti non volle prendere la tessera del partito e fu allontanato, non prima di averlo costretto al terribile rituale dell’olio di ricino dato ai dissidenti, dovevano “purgare” le loro colpe che era quello di non accettare un regime totalitario.

via del Portico d’Ottavia, oggi

Non ci mise molto Ines, donna schietta e semplice nei modi, a conquistare la fiducia e l’amicizia degli abitanti dell’ex ghetto, sempre un po’ diffidenti con le persone fuori dal loro ambiente. Luigi ed Ines andarono ad abitare al civico 21 di via del Portico, accanto la trattoria. Le donne della Piazza, come veniva chiamato il quartiere dagli ebrei romani, insegnarono a Ines a preparare i “carciofi alla giudia”, i “pezzi fritti” e le specialità della antica cucina ebraica-romana, che venivano cucinati in strada come si usava allora, in delle pentole messe sul marciapiede accanto la trattoria. Era anche un modo per socializzare, per stare insieme. In quel periodo erano tante le attività che si svolgevano in strada: dai pasticcieri, ai robbivecchi, alle sarte.

Ines e Luigi ebbero diversi figli, tra cui due maschi: Franco e Armando, che furono i testimoni di questa storia.

Armando Ceccarelli oggi ha 94 anni

La simbiosi tra la famiglia Ceccarelli e gli abitanti di “Piazza” era così intensa che il giorno di Kippur era solenne anche per loro. Ines chiudeva la trattoria, vestiva i figli al meglio e passavano la giornata a spasso per il quartiere. E chi gli diceva, in amicizia: “ma come sono eleganti i tuoi figli!!!” Ines rispondeva: “mica è festa solo per voi!”.

Pacifico Spagnoletto così ricorda i Ceccarelli: “abitavamo con loro al civico 21. Avevano affittato una stanza alla mia famiglia ed un’altra ai Terracina.  Con loro eravamo circa 20 persone, ma era abituale in quei tempi di povertà. Erano di una gentilezza infinita! Ines e Luigi non ti facevano pesare niente. Io ero amico con Franco e Armando, stavamo sempre insieme a giocare in strada. C’era un solo bagno per 20 persone e d’inverno nel saloncino si accendeva un braciere e noi stavamo tutti intorno a parlare fino a tarda sera. Eravamo felici nonostante le privazioni!”

Un’integrazione assoluta tra persone di diversa cultura religiosa che non sentivano differenze tra loro.

  1. Una fraterna amicizia

C’era molta povertà nel quartiere, tra straccivendoli e povere botteghe, capitava non di rado di trovare persone che non potevano permettersi un pasto. Ines e Luigi erano sempre pronti ad aiutare: “mangiati la minestra, quando avrai la possibilità pagherai”, racconta Giovanni Astrologo, che abitava nel quartiere. Pagava un bicchiere di vino e Ines gli dava un pasto completo. Poi c’era una povera tra i poveri, che chiamavano “Geggia”; non possedeva nulla, e consumava i suoi pasti sempre da Giggetto; anche se non avrebbe mai potuto pagare, ad Ines non importava.

un’immagne dell’antico ghetto alla metà dell’8oo

Al civico 21 del Portico al secondo piano abitava la famiglia Di Veroli, sotto di loro i Ceccarelli, tra le due famiglie c’era un’amicizia tale che “Angelino er quaranta” cenava tutte le sere da Ines. Così lo ricorda Amedeo, il figlio, che considerava i Ceccarelli ebrei tra gli ebrei: “mio padre mangiava con loro mica a casa con noi!”

  1. I persecutori

Questa integrazione era destinata a finire, per colpa del regime fascista, che nel 1938 emanò le leggi razziste. Un giorno fecero irruzione nella trattoria dei Ceccarelli un gruppo di fascisti che abitualmente andavano in Piazza per fare ogni genere di angherie agli abitanti, arrivando perfino a picchiarli.

Iniziarono a buttare in aria sedie, tavolini e ad urlare “siete amici degli ebrei!”, per loro una grave colpa. Era stato un avvertimento, ma Luigi e Ines non fecero un passo indietro e lo dimostrarono quando a settembre del 1943 i nazisti calarono su Roma. Il padrone incontrastato della città divenne il colonnello Herbert Kappler, capo delle SD e della Gestapo, ponendo sotto il suo comando anche la polizia fascista. Non passò molto tempo che Luigi e Ines ebbero la sventura di conoscerlo da vicino.

  1. La caccia agli ebrei

La situazione per l’ebraismo romano precipitò in breve tempo.

a via Tasso i nazifascisti torturavano gli oppositori e i partigiani

I Ceccarelli già avevano visto gli uomini ebrei costretti al lavoro coatto sotto fiume o a spaccare massi sulle strade nell’estate del 1942, ma con l’arrivo dei nazisti gli eventi si fecero tragici. Assistettero al ricatto dell’oro, 50 kg da portare al comando di Via Tasso in 36 ore oppure 200 uomini sarebbero stati deportati. Era però un tragico inganno! Tutti pensavano che con i 50 kg d’oro consegnati, i nazisti si sarebbero placati. Ma non fu così, e il 16 ottobre all’alba lo dimostrarono.

I ricordi di Franco e Armando sono ben impressi nella loro memoria; il trauma fu enorme. “Ci siamo svegliati per le urla che venivano da strada, dalle finestre socchiuse abbiamo visto dei camion tedeschi fermi davanti il Teatro di Marcello e intere famiglie che i nazisti spingevano in quella direzione, tra loro Elena Di Porto che tutti chiamavamo “Elena la matta”, ma che matta non era per niente. Era stata lei il giorno prima a dare l’allarme. Aveva saputo che ci sarebbe stato un rastrellamento, ma non fu creduta. Accanto a lei sul camion c’era “Pappone”, il fratello dei Boccione, i proprietari della pasticceria. I Ceccarelli furono presi dal panico, convinti che avrebbero preso anche loro, “gli amici degli ebrei”, e decisero di fuggire. Prima di uscire dal portone su strada, c’era una porticina che dava direttamente nella trattoria e lì c’erano due vie di fuga: presero le scale interne che li portarono sui tetti dalla parte opposta di “Piazza”.

Franco Ceccarelli è scomparso pochi anni fa. Qui mostra la via di fuga del ristorante

Per quanto è dato sapere è stata l’unica famiglia non ebraica a fuggire quella mattina; del resto, erano così integrati con l’ambiente che si convinsero che avrebbero presi tutti; per loro non esistevano differenze rispetto agli ebrei.

Dopo la fuga, la mattina del 16 ottobre, i Ceccarelli la passarono girando senza meta per Roma. Quando capirono che stavano prendendo solo gli ebrei, con molta cautela tornarono in Piazza e trovarono una situazione “spettrale”. Le strade vuote, le finestre rimaste aperte che sbattevano al vento. Giravano solo i gatti, unico suono il “cip cip” degli uccellini…lasciati soli nelle gabbie nelle case vuote sembrava che chiedessero aiuto.

Quella via di fuga nei mesi successivi servì a mettere in salvo molti ebrei braccati dai fascisti. Si entrava da una parte e si usciva dalla parte opposta. Da lì si misero in salvo “Sciaquetta” ed un certo “Eliav”, che faceva il falegname (di loro oggi si ricordano solo i soprannomi). Quella porta salvò anche “Moretto” (mio padre) inseguito dai fascisti.

“Giggetto” era così diventato un luogo di fuga e salvezza per molti ebrei del quartiere, che sapevano della loro disponibilità a mettere in salvo chiunque bussasse allo loro porta, nonostante i rischi che correvano.

Non solo, alcuni prima di spostarsi e nascondersi in altri posti, consegnarono ai Ceccarelli i loro averi, come “Il Bersagliere”, persona facoltosa che lasciò dei preziosi. Alla liberazione Ines e Luigi riconsegnarono tutto, non mancava una sola spilla.

(continua a pag. 2)

7 risposte

  1. Ho conosciuto tutti i personaggi menzionati. La Signora Ines alla cassa, Il Signor Olindo alto e magro per tanti anni continuo’ il suo lavoro come cameriere, Armando quando mi incontrava mi salutava con un “ciao gemellina” Franco si sposò con Linda ed ebbe una bella famiglia. Una famiglia esemplare degna di essere annoverata tra i Giusti a Yad va Shem.

  2. mi ricordo benissimo di loro anche se sono nata nel 47. Venivano i suonatori cosi li chiamavo io . enoi ballavamo. Mi ricordo avevano il mandolino. Mia madre si chiamava Rosa e papà Angelino tutte le sere venivamo a mangiare suppli e filetti di baccalà,

  3. grazie Alberto per avere condiviso dei ricordi della mia famiglia. quando ero piccolo spesso mangiavo con mia nonna Ines e lei mi raccontava del “tempo dei Tedeschi” e delle atrocità perpretate dai nazisti e dai fascisti. per lei era normale aiutare gli amici di piazza e mi raccontava, senza mai vantarsi, perché io sapessi e che quello che lei aveva visto non si ripetesse mai in futuro. era una donna buona, generosa e grande lavoratrice, ma al tempo stesso semplice ed umile, per cui gli affetti e le amicizie contavano. purtroppo non ho conosciuto mio nonno, perché è morto prima che io nascessi, ma una cosa di lui la porto addosso, perché mi hanno chiamato: luigi ceccarelli e mia nonna mi chiamava “Giggetto”. grazie

  4. L’”Eliav” di cui si parla è il mio bisnonno, Elia Salmoni detto “Liavve”, padre di mio nonno Romeo Rubino Salmoni, deportato è sopravvissuto ad Auschwitz. Non sapevo che il mio bisnonno si salvò così. Sono cresciuto in piazza, ed in 47 anni di vita ho solo sentito parlare bene di questa famiglia. Che D vi benedica per il bene che avete fatto e che ancora fate.

  5. Caro Luigi, per me è stato un piacere ed un grande onore aver diffuso queste vicende, le conoscevo a grandi linee ma non cosi a fondo. Sapevo che mio padre aveva con loro una grande amicizia. Ti posso anticipare che mi sto impegnando per diffonderla come merita.
    Non mi fermerò qui.
    Ciao
    Alberto

  6. Grazie Alberto per questa testimonianza, mi ricordo perfettamente del sigma Olindo e della signora Ines. Giggetto era anche luogo di incontro e di amicizie, mio padre fece una corte spietata a mia madre che puntualmente la sera andava a comprare il vino. Ricordi indelebili di infanzia!! Andare a mangiare i filetti di baccalà era veramente un lusso!

  7. Alberto grazie perché attraverso le tue ricerche hai dato vita a questa storia meravigliosa di amore e fratellanza . La Memoria è questa, ricordare, fare i nomi, cercare sempre con tutti i mezzi di trasmettere e far conoscere le storie (soprattutto quelle che si conoscono poco) che hanno portato luce nella catastrofe.

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