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La pandemia da Covid-19 fa parte di quegli eventi impensabili e senza volto che gli psicologi clinici chiamano trauma.

In questo caso si tratta di un trauma collettivo, come è stato l’11 settembre o il terrorismo degli anni di piombo, perché ci coinvolge tutti.

Come ogni evento traumatico, anche la pandemia da Covid-19  ha determinato un notevole aumento tra la popolazione mondiale di sintomi psicologici: disturbi del comportamento alimentare, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, irritabilità, insonnia e angoscia. Ed è proprio a proposito delle peculiari forme d’angoscia causate dal virus che vorrei fare una riflessione.

Lo psicanalista Massimo Recalcati sostiene che la prima angoscia che abbiamo sperimentato all’inizio della pandemia da Covid-19 è stata di tipo persecutorio. L’angoscia si fondava su un elemento minaccioso – il virus, appunto – e sul pericolo di malattia e di morte che comportava. Da questa paura ci siamo difesi attraverso il confinamento, chiudendoci nelle nostre case; e così abbiamo trovato sollievo. In questa fase molti pazienti che erano già all’interno di un percorso terapeutico sono migliorati, perché il mantenimento della relazione con il loro terapista li ha alleggeriti da molti dei loro sintomi più o meno gravi.

Tuttavia, è poi subentrata una seconda angoscia: quella depressiva, in cui la paura si è spostata sul futuro e l’avvenire. E qui è accaduto qualcosa di molto strano. Per la psicologia clinica infatti la depressione è una malattia del passato: il paziente soffre perché ha perso le occasioni che avrebbero cambiato la sua vita e risponde a questa perdita ripiegandosi su se stesso. L’angoscia depressiva ai tempi del Covid è invece rivolta al futuro: ritroverò il mondo come lo conoscevo prima o rischio di perderlo? Ad accentuare questa angoscia depressiva ce anche la preoccupazione per il proprio lavoro, per la propria famiglia, per la salute dei propri cari.

L’elemento centrale di questa angoscia è il forte senso di precarietà e d’incertezza nel quale siamo immersi. Da questa seconda forma di angoscia siamo poi passati alla terza, quella attuale: è l’angoscia del cambiamento, che riguarda la fase 2 della pandemia, quando il nostro Paese sembrava potesse ripartire. L’essere umano porta con sé una doppia anima: da una parte aspira al ?viaggio, brama la libertà, cerca l’incontro con l’altro, desidera il nuovo, dall’altra teme il cambiamento che tutto questo comporta e tende alla rigidità. Questa seconda anima è quella che ci fa vivere l’angoscia del cambiamento e che ci mantiene in stallo.

Oggi viviamo una fase in parte diversa in parte uguale a quella già vissuta: con Regioni tinte di colori diversi ci prepariamo ad una nuova forma di lockdown. Ed allora ecco riemergere l’angoscia persecutoria, quella depressiva e quella legata alla spinta verso il cambiamento.

C’è molto lavoro da fare.

Un primo gesto è ricominciare dalle relazioni. Per chi come noi ha fatto esperienza della loro perdita, diventa molto importante reinvestire sulle relazioni, ricostruirle e mantenerle sane. Sebbene possiamo sopravvivere in solitudine, se vogliamo essere felici e influenzare positivamente la nostra salute è necessario curare le relazioni di buona qualità, vitali, in sentimenti di condivisione, partecipazione e affetto. Un numero sempre più vasto di economisti, psicologi, sociologi, antropologi oggi si trova d’accordo nell’affermare che la qualità delle nostre relazioni sociali ed affettive è il fattore che pesa di più sulla nostra felicità, e attraverso la felicità passa il legame tra relazioni e buono stato di salute.

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