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Apprendere o insegnare?

A Ferrara si è svolto il quinto incontro del progetto Ucei sull’art. 3 della Costituzione, dedicato alla scuola

Da sinsitra: rav Carucci Viterbi, Marco Rossi Doria, Cristiano Bendin e Dario Disegni

Come fare della scuola modello educativo se spesso la società circostante e l’uso incondizionato dei social media vanno in direzione opposta?

Qual è il sistema educativo alla base del pensiero ebraico?

La Costituzione italiana è stata attuata in materia di uguaglianza e diritto allo studio?

Sono queste alcune delle domande di partenza del quinto incontro svolto al MEIS di Ferrara nell’ambito del progetto “Articolo 3: diversi tra uguali”, realizzato dall’UCEI in collaborazione con il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah.

Terminato il laboratorio didattico svolto al mattino, nel pomeriggio si sono ritrovati a discutere di Uguaglianza ed educazione civile rav Carucci Viterbi, preside del liceo Renzi Levi di Roma, e Marco Rossi Doria, presidente della fondazione “Per i bambini”, da oltre quarant’anni impegnato a vario titolo nel mondo della scuola italiana.

qui e sotto: il laboratorio didattico del mattino

Dopo le introduzioni di Dario Disegni, direttore del Meis, e Gloria Arbib, consigliere Ucei, e i saluti del vicepresidente della comunità ebraica, Andrea Pesaro, i due relatori, moderati da Cristian Bendin, direttore del Resto del Carlino di Ferrara, sono partiti da un dato di fatto: l’art. 3 della Costituzione, che nel primo comma dichiara tutti gli uomini “uguali”, è smentito da quello successivo, che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli alla piena uguaglianza.

Rossi Doria ha sottolineato che i bambini, pur essendo titolari degli stessi diritti, sono in realtà ciascuno diverso dall’altro, cosa che imporrebbe al sistema scolastico di adeguarsi alle diverse esigenze; ad esempio, dare di più ai più deboli e ai più meritevoli. Il sistema attuale – che pure ha molti meriti, avendo fornito a un paese ancora largamente analfabeta alla meta del Novecento un’istruzione minima a tutto il paese – oggi però arranca, tant’è che comincia ad aprirsi alla collaborazione sempre più importante del Terzo settore e dell’associazionismo in generale; tuttavia, tali sforzi ancora non bastano.

L’impegno infatti da solo non basta, al punto che spesso la condizione di molti ragazzi è drammatica, perché più che nel passato sono oggi gli studenti che non vanno a scuola o comunque non imparano.

Del resto, l’Italia non è un paese per giovani, che spesso sono bistrattati: sono pochi (si fanno sempre meno figli), e quando nascono si trovano già un fardello pesante di debito pubblico.

E allora, che fare?

Bisognerebbe ricordare, ha sottolineato Rossi Doria, che la scuola più che istruire deve educare, cioè ex-ducere: estrarre dalle singole personalità di ogni studente il meglio che vi si trova: in altre parole, seguire le inclinazioni di ciascuno.

Certo, motivi di speranza ce ne sono. In un paese in cui vivono quasi nove milioni di studenti, di cui circa il 10% straniero, i meriti del sistema scolastico sono molti: l’integrazione scolastica avviene di regola grazie all’impegno di un corpo docente tra i meno pagati d’Europa, che tuttavia riesce a formare i futuri cittadini in modo adeguato, sebbene – nota Rossi Doria – i giornali mettano in evidenza sempre più i casi di degrado che quelli, altrettanto presenti, di impegno.

Marco Rossi Doria è stato sottosegretario all’istruzione dal 2011 al 2014

Rossi Doria ha poi concluso con un ultimo accenno proprio ai ragazzi stranieri: nella scuola italiana, dove studiano ogni giorno al fianco dei loro coetanei, la Repubblica avrebbe l’obbligo di riconoscerli subito cittadini italiani.

E nel campo ebraico, come vanno le cose?

Rav Carucci Viterbi è partito citando il Talmud, e il commento a un passo dei Proverbi in cui è scritto: “Educa il ragazzo secondo la sua strada”; la sua, e non quella dell’insegnante.

Ciò significa, ha spiegato il Rav, che ogni insegnante deve saper ascoltare le inclinazioni e le qualità dei suoi studenti.

In altre parole, se ne ricava il principio educativo per cui “occorre trovare l’uguaglianza nella disuguaglianza”: tutti gli studenti devono poter essere messi in condizione di seguire le proprie strade.

l’incontro di ieri si è svolto al MEIS di Ferrara

Del resto, non è primo questo che consegna Pesach? Non leggiamo, nel Seder, che un padre ha quattro figli, e che a ciascuno va data una risposta diversa, perché ciascuno formula una domanda diversa?

È solo rispettando le differenze, commenta il Rav, che si assicura l’uguaglianza.

Molte altre fonti attestano tale conclusione: dall’obbligo di studiare a partire dai 6 anni, istituendo scuole in ogni città, fisato fin dal I secolo e.v.; all’insegnamento di Rabbi Yehoshua ben Levi, che sorpreso in strada con uno straccio in testa invece del copricapo, spiega a chi glie chiede che si è affrettato a uscire di casa per portare il nipote a scuola (ossia: l’importanza dell’educazione prevale su ogni formalità); fino a rav Kalonymus, ucciso nel ghetto di Varsavia, che rifletteva come la parla “chinuch”, educazione, ha la stessa radice di “inaugurare”, il che ci fa capire come insegnare significa “inaugurare” una persona alla sua identità, ossia che occorre saper conoscere ogni studente

Rav Benedetto Carucci Viterbi

Dunque, nella prospettiva ebraica l’uguaglianza non è diritto, ma un dovere. Tutti abbiamo l’obbligo di istruire e di istruirci; il che significa che non si finisce mai di studiare.

E nelle scuole ebraiche, questi principi vengono applicati?

La sfida della scuola ebraica, ha spiegato il Rav, è di unire l’insegnamento della tradizione con le nozioni comuni applicate in tutte le altre scuole, secondo il modello elaborato oltre un secolo fa da rav Hirsh. Certo, i problemi esistono anche nella scuola ebraica: bullismo e omofobia sono fenomeni che si registrano. La risposta, ha concluso il rav, è di sforzarsi continuamente di far apprendere, oltre alle nozioni comuni, anche l’etica ebraica.

Dopo Ferrara il progetto sull’art. 3 della Costituzione si sposterà a Firenze, il prossimo aprile, per l’ultimo incontro, che avrà al centro la giustizia sociale.

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