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Abbandono

Massimo Ricci ci accompagna alla scoperta di un altro testo delle letteratura ebraica contemporanea

Una sensazione devastante e costante di solitudine e di abbandono, che riconosci sin dall’infanzia perché nasce e si nutre dell’esperienza di altri che vivono la stessa sofferenza.

E’ il filo conduttore della storia raccontata da Elisabeth Asbrink. Un racconto che sfocia a volte nella rabbia, talvolta nella malinconia, spesso nelle pieghe non risolte della storia. Quelle che chiedono ancora giustizia.

ABBANDONO è appunto il titolo del libro, edito da Iperborea (316 pagg 18,50 euro) che narra la storia apparentemente come tante altre della protagonista Katherine e della sua famiglia tra Svezia e Inghilterra, la Germania degli avi cristiani, religiosissimi, e di sua nonna Rita, arrivati a Londra come l’altra parte della ascendenza di Katherine, quella che fa capo all’ebreo Vidal Coenca, a sua madre altrettanto religiosa e incapace di concepire un matrimonio misto, che avverrà solo nel 1949, quando Rita ha 50 anni e Vidal 60. Quando madre e zia non sono più un problema. A guerra finita, a Shoah conosciuta, con i figli già grandi e la madre dell’alter ego dell’autrice già in Svezia ad insegnare inglese e conoscere qualche anno dopo suo padre, ebreo ungherese, sfuggito miracolosamente alla deportazione e riparato in Svezia come rifugiato politico nel 1956 quando un’altra minaccia alla libertà arrivava da Est, dall’Urss.
“Sono nata il 29 aprile del 1965, e la mia nascita ha unite due linee di discendenza che hanno nel sangue le esplosioni del mondo”. Ad iniziare dall’emigrazione e dalla povertà che porta tutti a Londra, sebbene all’inizio il destino fosse l’America. La deflagrazione della comunità spagnola-portoghese arrivata nell’impero Ottomano dopo la cacciata dei re cattolicissimi di Castiglia e Aragona.

Elisabeth Asbrink

Un nucleo che sulle sponde del Mediterraneo, in una delle sue perle, Salonicco, aveva mantenuto vive tradizioni e lingua di una comunità sefardita sopravvissuta per secoli fino all’arrivo dei nazisti in Grecia. “Quanto ci mettono cinquecento uomini a smantellare un cimitero vecchio di cinquecento anni ? Più o meno cinque settimane” si risponde la protagonista della storia quando arrivata nella città natale del nonno Vidal ne scopre la triste storia, le lapidi del cimitero ebraico, i mattoni, contesi dagli abitanti per le loro chiese, i loro edifici, la loro storia priva di memoria. In poco tempo viene distrutto tutto. Non rimarrà nulla di quella esperienza di convivenza. E’ bastato un lampo per far scomparire una comunità. Precisamente 19 vagoni stipati di ebrei e destinati ai campi di sterminio. “Salonicco – grida l’autrice – nel tuo reticolo di quartieri, nella tua pianificazione urbana” questi ebrei non cercano “le loro case occupate dai cristiani, le strade dai nomi ebraici che vennero cancellati, e neppure il grande cimitero; cercano solo un luogo dove la memoria venga preservata, un buco nel terreno, un buco nel pensiero dove poter riposare, il ricordo di sé.

Ebrei a Salonicco all’inizio del Novecento

Quaranta novemila morti cercano la loro memoria perché un tempo tu eri la loro bianca regina. Salonicco, e ora cercano uno squarcio nella tua superficie, dove il ricordo possa farsi strada ed emergere alla luce del sole, lo cercano ma non lo trovano”. Leggere questo libro è un po’ disseppellire questa ingiustizia, riportare alla luce questa storia abbandonata. E nel testo questi abbandoni si accostano a quelli privati, alla sensazione di una bambina che si crede dimenticata da suo padre per molto tempo prima di scoprire che non era così. Ma quella realtà intanto le aveva scavato nell’anima, tanto profondamente da divorare anche l’infanzia: “Nel marzo 1976 K sa solo ciò che sanno tutte le bambine di dieci anni, vale a dire certe nozioni fondamentali sull’esistenza: la gabbia del criceto va ripulita ogni settimana, dai vecchi sporcaccioni bisogna stare alla larga, e i sonniferi della mamma sono nel cassetto in alto del comò all’ingresso, sulla sinistra. Ogni tanto K si mette a contare le pastiglie. Scrive il suo testamento e lascia tutto ciò che possiede alla mamma”. Poi la vita a cercare di ricucire con la memoria e con la verità questa ferita e quelle dell’umanità.

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