Il mondo LGBTQ+ ebraico vuole uscire dall’ombra
Raffaele Sabbadini, attivista storico, spiega a Riflessi la realtà del movimento LGBTQ+ dell’ebraismo italiano, mentre si prepara il Roma Pride del 9-11 giugno
Raffaele, cominciamo un po’ da te e dal tuo impegno nella comunità LGBTQ+
Sui social, ebraici e non, mi conoscono tutti come “Raf Sab”. Ho 62 anni, sono stato manager di società di telecomunicazioni e IT e sono sposato con Giovanni e da 27 anni insieme. Sono inoltre tra i fondatori del Magen David keshet Italia (MDKI), il primo e unico gruppo ebraico LGBTQ+ di cui sono vicepresidente. In passato ho partecipato ai movimenti giovanili ebraici (Ha Shomer e FGEI). Mi vanto inoltre di essere il figlio della prima donna eletta consigliera nella comunità ebraica di Roma nel 1966: Gemma Pia Coen.
Essere omosessuale ed ebreo: non si rischia di essere oggetto di una doppia discriminazione?
Noi, come ebrei LGBTQ+, viviamo in effetti discriminazioni multiple. Come ebrei all’interno del movimento LGBTQ+ siamo oggetto da parte di alcune frange di un antisemitismo mascherato da antisionismo come anche succede nella società. Come persone LGBTQ+ invece subiamo discriminazioni all’interno della Comunità. Non è infatti facile vivere in un ambiente come il nostro in quanto persone LGBTQ+: prima che nascesse il nostro gruppo sembravamo trasparenti, magari tollerati a patto però di sottacere la nostra identità, tanti e tante di noi hanno scelto di allontanarsi dalla comunità, di cambiare città, paese per vivere al meglio la propria identità e questa ferita tarda a rimarginarsi. Noi non vogliamo fare la ‘promozione’ dell’omosessualità, tra l’altro essere persone LGBTQ+ non è una “scelta” che si può condizionare come qualcuno prova a sostenere, ma è piuttosto una condizione identitaria. Ma ora, il nostro obiettivo anche su questo è cambiare la Comunità, affermando sempre di più la nostra presenza in quanto ebrei LGBTQ+.
Cosa intendi?
Viviamo una grossa difficoltà soprattutto con le nostre istituzioni Comunitarie. Ancora oggi inclusione, rispetto e valorizzazione delle diversità sono parole vuote e pronunciate solo come dichiarazioni d’intenti a cui non segue nulla di concreto. Mentre parole come omobitransfobia neanche si accennano, meglio bullismo: è più semplice per provare a negare la nostra esistenza.
Puoi fare qualche esempio?
Abbiamo denunciato più di una volta episodi di omobitransfobia accaduti dentro la nostra scuola e fuori, abbiamo più volte scritto al Consiglio sollecitando una chiara presa di posizione ed azioni concrete al riguardo. Abbiamo proposto al Consiglio un progetto per la scuola e di lotta all’omotransfobia, di cui ha parlato lo scorso anno Ariel Heller nella sua intervista di un anno fa, perché è inammissibile che in una comunità come la nostra oggetto da sempre di discriminazioni, si tollerino ancora episodi di questo genere e soprattutto non si faccia nulla per contrastarli. Tuttavia, nonostante ci sia stato un dibattito pubblico nel Consiglio con la condanna di questi atti e con tante promesse, nessuna decisione è stata presa. Anche in Consulta abbiamo più volte stigmatizzato questi episodi verbali, senza che nessuno prendesse però una posizione ufficiale. Di cosa si ha paura? Ecco un caso ancora in cui si ha paura al solo pronunciare la parola omobitransfobia!
E per quanto riguarda la vostra posizione nel movimento LGBTQ+ in generale?
Come ebrei LGBTQ+ siamo ben radicati dentro il movimento LGBTQ+, dove siamo una forza oramai riconosciuta. Il nostro ruolo è anche quello di vigilare e contrastare fenomeni di antisemitismo che, anche all’interno del movimento, si sono registrati da parte di alcuni. Noi siamo lì a lottare e denunciare affinché si capisca quanto l’antisionismo nasconda spesso e volentieri forme di antisemitismo.
Eppure Israele è una nazione leader nel riconoscimento delle persone LGBTQ+.
Sicuramente la situazione in Israele fino alle ultime elezioni era positiva, perché lì il movimento è molto forte, e anche gran parte del movimento LGBTQ+ vede Israele come un’oasi di inclusione delle persone LGBTQ+ nell’intero Medio Oriente. Questo anche se esistono voci discordanti: si arriva al paradosso che viene contestato Israele per la questione palestinese dimenticandosi invece della persecuzione delle persone LGBTQ+ palestinesi che in Israele si rifugiano. Ad ogni modo, resta il fatto che Israele è un paese aperto, è che il Pride di Tel Aviv è uno dei più partecipati al mondo ma non dimentichiamo neanche che nel 2015 Shira Banky fu uccisa durante il Pride di Gerusalemme da un ultraortodosso. Le organizzazioni ebraiche LGBTQ+ in Israele sono molto attive, come ad esempio in quest’ultimo periodo, quando prendono attivamente parte alle manifestazioni che da mesi si susseguono contro le riforme del governo Netanyahu. Combattiamo infatti il tentativo di creare uno stato teocratico. Non è un caso, dunque, che nelle manifestazioni di protesta contro le nuove riforme, le uniche bandiere accettate, oltre a quelle di Israele, sono quelle Rainbow, perché il movimento lotta con piena legittimazione contro una visione dello Stato che non ci appartiene. Ricordo, infine, che la Corte suprema israeliana già nel 2022 si è pronunciata a favore della GPA anche per single, coppie omosessuali e transessuali.
Il vostro impegno per il riconoscimento dei vostri diritti si tradurrà questo fine settimana in un grande Shabbaton Europeo
Stiamo organizzando il primo Jewish Queer Pride europeo, che si svolgerà a Roma dal 9 all’11 giugno. Da tutta Europa verranno rappresentanti delle principali organizzazioni ebraiche LGBTQ+ Lo abbiamo voluto proprio a Roma e l’abbiamo proposto al nostro Congresso Mondiale in cui il nostro responsabile per i giovani, Ariel Heller, ha la carica di responsabile delle iniziative per Europa ed Israele, ottenendo subito l’adesione. Ci aspettiamo moltissimi partecipanti da svariati paesi europei, tra cui Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Germania. Sarà un momento di confronto fra tutte le realtà del movimento, anche per decidere i prossimi passi da intraprendere per renderci più visibili come ebrei LGBTQ+. Uno dei punti che tratteremo sarà la lotta alle discriminazioni intersezionali, di cui ti dicevo in precedenza, ossia quelle che colpiscono la stessa persona in quanto ebreo e, ad esempio, persona LGBTQ+ ma magari anche donna e nero. A tal fine domenica abbiamo organizzato un Panel con il Direttore dell’UNAR (Ufficio Antidiscriminazioni Razziali), CEJI, ILGA World ed in quel contesto discuteremo di intersezionalità in modo poi da richiedere alla Commissione Europea che le discriminazioni non sia più considerate e normate una ad una separatamente ma in maniera integrata. Un momento di gioia e di festa sarà poi la sfilata del sabato pomeriggio, con il nostro bellissimo carro, che partirà da piazza della Repubblica alle 15 per arrivare nei dintorni di piazza Venezia, nonché la festa domenica alla fine dello Shabbaton.
In Italia il governo intende rendere il reato universale la GPA: qual è il tuo pensiero a riguardo?
In uno dei workshop che stiamo organizzando tratteremo anche di GPA e di aborto da un punto di vista delle persone LGBTQ+. Il governo puntando sulla GPA si dimentica che c’è urgenza di legiferare sui diritti delle migliaia di bambini. Si vuole invece nascondere il problema delle migliaia di bambini che già oggi esistono all’interno delle coppie omogenitoriali. Oggi quei bambini non hanno gli stessi diritti degli altri. La coppia di cui sono figli, infatti, non viene riconosciuta come tale e solo uno dei genitori è per la legge in reale genitore, l’altro/a è costretto a fare complicate pratiche di riconoscimento: è uguaglianza questa? Questo comporta gravi problemi di disallineamento ad esempio nel caso in cui quel genitore venga meno e si crei un conflitto tra la sua famiglia e l’altro, perché si rischia di sottrarre il bambino all’altro genitore. L’annuncio del governo di criminalizzare la GPA ovunque realizzata nasconde inoltre una grande ipocrisia, dal momento che oltre il 95% delle pratiche sono effettuate da coppie eterosessuali. Siamo perciò contrari a questo tipo di iniziativa, e riteniamo che la questione vada gestita in modo diverso. Se, infatti, è vero che a volte dietro la GPA ci sia lo sfruttamento di una donna, in molti altri casi questo fenomeno non si verifica. Ripeto comunque che a mio avviso oggi prima priorità dovrebbe essere garantire i diritti dei bambini.
Tra pochi giorni la comunità ebraica di Roma rinnova il consiglio e sceglie un nuovo presidente. Tu sei candidato per la Consulta con la lista Ha Bait. Perché questa scelta?
Mi sono candidato alla Consulta con Ha Bait perché ritengo sia veramente la casa di tutti, l’unica lista che ha rotto il tabù di dichiarare la necessità di lottare contro i casi di omobitransfobia verificatisi nella Comunità. In questi ultimi trent’anni purtroppo abbiamo subito un ostracismo da parte delle istituzioni comunitarie romane e questo ha provocato un allontanamento delle persone LGBTQ+ dalla Comunità. La mia candidatura è anche un segnale che si può e si deve partecipare alla vita comunitaria perché la Comunità diventi veramente inclusiva, non solo a parole. La Consulta infatti negli ultimi anni di governo di “Per Israele” e “Dor Va Dor” è stata svuotata delle sue prerogative, non è più viva e propositiva come nel periodo di mio zio Carlo di Castro e di molti altri presidenti. Dobbiamo riportare la Comunità a partecipare in Consulta, dobbiamo riattivare le Commissioni oramai abbandonate dalle maggioranze precedenti e che la Consulta sia un luogo di proposizione oltreché di valutazione e ratifica dei bilanci. In quanto ebrei LGBTQ+ vogliamo lottare per far sentire la nostra voce e oggi vogliamo arricchire la comunità della nostra presenza, delle nostre competenze e delle nostre identità senza più finzioni.
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Una risposta
Intervista molto interessante. E istruttiva.