Antisemitismo e antisionismo

La scorsa settimana si è tenuto a Pisa un incontro su “Antisemitismo e antisionismo”. Pubblichiamo l’intervento di uno dei relatori, Gadi Luzzatto Voghera

Luzzatto Voghera ha pubblicato più volumi sull’antisemitismo

Durante uno dei numerosissimi concorsi universitari a cui ho partecipato, al termine della prova scritta ho avuto occasione di affrontare quella orale con uno straordinario docente di storia contemporanea che ancora oggi ricordo con ammirazione (non ne farò il nome). All’epoca avevo scritto un testo per Feltrinelli dal titolo “Antisemitismo. Domande e risposte”. Era uno strumento frutto del dialogo con gli studenti medi in cui cercavo di affrontare in modo chiaro ed esplicito le domande imbarazzanti che emergevano dal profondo pregiudizio antiebraico radicato in ampi settori della nostra società. Di tutto il libro, solo un breve paragrafo era dedicato a “Antisemitismo e antisionismo” e le argomentazioni che usavo (allora come oggi) erano tutte di natura storica. Eppure in quell’occasione, in una situazione peraltro assai poco democratica come quella di un concorso universitario dove esaminatore e candidato non sono esattamente sullo stesso livello né condividono lo stesso stato d’animo, mi sono sentito rivolgere la seguente frase, in tono di esplicita accusa: “Luzzatto, ma perché ha voluto scrivere un libro sionista?”. Naturalmente non passai il concorso.

Si tratta di un singolo episodio, ma sono a conoscenza di numerose altre esperienze che ruotano attorno allo stesso nodo: il rapporto fra antisemitismo e antisionismo. Naturalmente come libero cittadino ho le mie idee politiche sulla questione, opinioni che magari esprimerò oggi in sede di dibattito. Qui, tuttavia, voglio chiarire in maniera schematica nella mia veste di studioso dell’antisemitismo quali sono gli elementi ineludibili che non possiamo perdere di vista se trattiamo del tema in ambito accademico e nella prospettiva della ricerca storica e socioculturale. Gli studiosi che hanno affrontato l’argomento non hanno in effetti mai avuto necessità di ricorrere a una “definizione di antisemitismo”. Lo studio dei linguaggi, delle manifestazioni storiche e delle conseguenze sulla popolazione ebraica nelle diverse epoche e in diverse aree geografiche di quel fenomeno che oggi chiamiamo antisemitismo costituiva di per sé un modo ragionevole per definire cosa fu quella forma di ostilità antiebraica e per coglierne alcuni elementi anche nella nostra società contemporanea. Credo che tutti concordino (senza bisogno di ricorrere a definizioni) su diverse strutture sostanziali che caratterizzano il fenomeno antisemita:

la locandina della giornata di studio di Pisa
  • Gli ebrei devono essere rappresentati come un gruppo monolitico. Gli ebrei sarebbero un’entità collettiva omogenea nettamente definibile.
  • Agli ebrei devono essere assegnate delle caratteristiche negative (sia fisiche, sia culturali, sia religiose, sia politiche).
  • Gli ebrei sarebbero responsabili collettivamente delle colpe dei singoli.
  • Gli ebrei devono essere disegnati come minoranza estranea e sottilmente minacciosa nei confronti della popolazione di maggioranza.

Da questi quattro punti fondamentali, che possiamo riscontrare storicamente in tutte le situazioni storiche in cui si è manifestato l’antisemitismo, derivano le dinamiche di esclusione, persecuzione, espulsione, massacro che hanno caratterizzato la storia dell’antigiudaismo. In particolare, da quei quattro nodi cruciali (che sono tutti di natura puramente ideologica e non hanno riscontro storico) sono emerse alcune retoriche politiche che nel recente passato – negli ultimi due secoli – hanno generato gravi conseguenze sulle popolazioni ebraiche in varie aree del mondo. Parlo nello specifico del Cospirativismo (di cui la stesura e diffusione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion sono solo un esempio, assai noto), del Negazionismo (scrittura di una meta-storia del nazismo e dei fascismi) e del conseguente fenomeno di Distorsione della Shoah.

Bucarest, 2016: l’IHRA approva la dichiarazione contro l’antisemtismo

Se questa descrizione dell’antisemitismo (forzatamente schematica) raccoglie consensi pressoché unanimi nel mondo degli studiosi, come è noto la questione si complica quando si affronta il tema dell’antisionismo.

Io penso che se vogliamo affrontare la questione in maniera scientificamente fondata (senza naturalmente evitare di confrontarci sui contrasti politici della contemporaneità, un dibattito dal quale non mi intendo sottrarre) dobbiamo stabilire – come per il fenomeno dell’antisemitismo – un terreno condiviso. Dobbiamo cioè innanzitutto chiarire cosa intendiamo con i termini “sionismo” e “antisionismo”. Sarò chiaro su questo punto: anche partendo da presupposti di natura politica, non siamo autorizzati a definire il sionismo (e di conseguenza l’antisionismo) se non lo consideriamo un movimento politico e culturale che ha:

  • una storia di lungo periodo (circa 150 anni)
  • un’articolazione interna assai visibile sia alle origini sia nella nostra contemporaneità
  • una dialettica continua con settori della popolazione ebraica che non si sono riconosciuti (nel passato come nel presente) in quella ideologia
  • degli esiti politici che sono variamente diversificati e che sono spesso difformi dalle premesse teoriche originarie
manifestazione contro Israele

Se si viene meno a questo principio – che dovrebbe essere alla base di ogni ragionamento storico su qualsivoglia argomento – noi ci adagiamo su una visione magari utile a rafforzare le nostre convinzioni politiche contingenti, ma non valutiamo in maniera corretta la natura di quell’ideologia politica e le sue manifestazioni attuali.

È questo il contesto nel quale dovremmo collocare il tema dell’ “antisionismo”. Solo in questo modo saremo in grado di stabilire un criterio per il quale siamo in grado di valutare in maniera il più possibile scientificamente fondata il rapporto fra antisemitismo e antisionismo. Saremo cioè in grado di valutare se una determinata espressione che si autodefinisca “antisionista” sia legittima, o non rientri piuttosto nelle caratteristiche che abbiamo visto a proposito dell’antisemitismo. È questo – mi pare – il nodo attorno a cui si sviluppa il dibattito fra gli estensori della JDA (Jewish Declaration on Antisemitism, n.d.r.) o della Nexus Definition e i sostenitori della Working Definition dell’IHRA.

una scritta antisemita degli anni Ottanta

Io non mi ritengo un fan di questi tentativi di definizione. Forse sono maggiormente vicino alla Nexus, ma non è questo il punto. Al netto dell’utilizzo politico di queste definizioni (un tema sul quale potrò esprimermi in fase di dibattito), io penso che la WD dell’IHRA abbia certamente molti difetti, ma anche due elementi di forza estremamente visibili e importanti:

  • Si tratta del primo strumento conosciuto nella storia politica recente che ha prodotto una strategia istituzionale di contrasto all’antisemitismo. Per la prima volta nella storia l’antisemitismo è stato riconosciuto come emergenza (per la sicurezza delle comunità ebraiche ma anche per la tenuta delle democrazie) e si è intervenuti non solo con proclami, ma con concrete azioni educative e investimenti.
  • Nella premessa alle spiegazioni aggiuntive alla Definizione si esprime in maniera netta nei confronti della libertà di espressione in rapporto alle critiche a Israele. Il testo è chiaro: “Le critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite”.

In questo quadro, ritengo un errore di prospettiva la definizione di sionismo proposta dalla JVP (Jewish Voice of Peace, un’organizzazione ebraica americana impegnata nella difesa dei diritti umani). Una definizione che è stata ripresa in un documento proposto un anno fa dal movimento BDS Italia che dice questo (cito): “Il sionismo è un’ideologia politica che, anche se storicamente ha avuto diverse tendenze, oggi è un movimento coloniale di insediamento, che stabilisce uno stato di apartheid in cui gli ebrei hanno più diritti degli altri’”. Io penso che questa sia una definizione limitata e storicamente miope, utile certamente a sostenere una campagna politica ma pericolosa in quanto non consente di ragionare su un piano lessicale condiviso.

Per concludere, io credo che sia fondamentale – per un dibattito fruttuoso – ragionare su termini, su lemmi che a tutti noi dicono la stessa cosa. Sul sionismo e di conseguenza sull’antisionismo) in questo momento le opinioni divergono. Dovremmo sforzarci di identificare un linguaggio condiviso, su cui innestare sia un confronto scientifico sia, ovviamente, un dibattito politico.

Per la giornata di studi di Pisa: leggi qui

3 risposte

  1. Desidero complimentarmi con l”Autore, che in questa nota di riflessiomi, esortazioni ed inviti a cogliere prospettive più ampie e profonde di quelle usuali, palesa una prosa competente, lucida e convincente. Si accosta ad un tema di rilevante importanza – ora più che mai in Italia e nel mondo occidentale – e dimostra di poter offrire molto ad un dibattito proficuo. Bravo!

  2. Ero presente all’incontro ( chiamarlo convegno mi sembra eccessivo). L’intervento di Gadi è l’unico che mi ha convinto.

  3. Anch’io ho seguito online l’incontro e ritengo l’intervento di Gadi Luzzatto quello piu’ calibrato e centrato, peccato che il successivo dibattito non abbia consentito di approfondire meglio il legame che a volte si riscontra tra antisionismo (o anti-israelianismo) e antisemitismo.

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