Una piuma pesante

Si presenta oggi alla fondazione Museo della Shoah di Roma “La piuma del ghetto. Leone Efrati, dalla gloria al campo di sterminio”. Ne abbiamo parlato con l’autore

 

Presso la Fondazione Museo della Shoah, si presenta oggi (ore 18.30, su prenotazione) il volume con la storia del talentuoso pugile Leone Efrati e della sua tragica fine nel campo di Ebensee (sottocampo di Mauthausen):La piuma del ghetto. Leone Efrati, dalla gloria al campo di sterminio di Antonello Capurso (Gallucci Bros, 2023).

Qui e sotto: Leone Efrati

Abbiamo chiesto all’autore, il giornalista, sceneggiatore e scrittore Antonello Capurso, chi era Leone (Lelletto) Efrati. Ne esce il ritratto di un ragazzo minuto, scattante, veloce che a soli 15 anni, come in tanti in quell’epoca, era appassionato e affascinato dal pugilato. Il ritratto di un uomo che, per amore della moglie e della famiglia, lascia il porto sicuro trovato negli Stati Uniti, per tornare a Roma e poi finire nelle mani della Gestapo.

Capurso si imbatte nella sua storia e ne viene attratto a tal punto che la ricostruisce, passo dopo passo, da piccoli indizi ricercati con minuzia. Capurso scioglie anche numerose contraddizioni, incominciando da quella delle ben tre diverse date di nascita (scegliendo giustamente quella tramandata dalla famiglia). Ma una famiglia modesta, come quella in cui nasce Leone, non lascia troppe tracce dietro di sé. Leone nasce e vive a Trastevere, la strada è la sua scuola principale ma è sveglio, simpatico, si fa molti amici e, a 15 anni, incominciando a frequentare la palestra Audace, finirà per lasciare segni nella storia della boxe.

A 19 anni Leone Efrati è già un professionista “peso piuma”. Di combattimento in combattimento, riscuote successi, scala le classifiche fino a diventare uno dei migliori pugili italiani degli anni ’30. Le sue imprese vengono regolarmente registrate negli Annali e finirà per conquistare anche l’interesse, se non l’amicizia, perfino di Bruno Mussolini che, fino alla di lui morte, lo proteggerà. Sono i giornali sportivi dell’epoca, spiega Capurso, che lasciano memoria di tali successi.

Il 1938, è un anno di svolta: ha già moglie e tre figli ma si trasferisce, da solo, prima a Parigi e poi a Chicago e lì, alla fine di quell’anno, disputa l’incontro per il titolo mondiale. Sarebbe l’inizio di una grande carriera di livello internazionale ma i nuovi tempi gli fanno scegliere il rientro a Roma, dalla famiglia, ormai impossibilitata a raggiungerlo. E le leggi razziali porteranno all’oblio la sua carriera, il suo nome verrà sistematicamente cancellato dagli Annali, non potrà più combattere anche se riuscirà a continuare ad allenarsi segretamente presso l’Audace.

il campo di Ebensee

Fino al ’43, quando due delatori che lo riconoscono per strada lo consegneranno a via Tasso, insieme al piccolo figlio Romolo (cfr. la testimonianza). Poi un mese a Regina Coeli, poi Fossoli e poi Mauthausen. Qui tornerà a combattere, forzatamente, per il divertimento dei Kapò, fino a che, per una vittoria di troppo, questi si vendicheranno riducendolo in fin di vita a pochi giorni dalla liberazione. Leone non sopravviverà alla marcia della morte per lo sgombero del campo.

Questa storia ricomincia a vivere, ad essere indagata ed infine ad essere narrata, dal ritrovamento fortuito, e quasi casuale, della valigia coi guantoni, caschetto e scarpette lasciata nascosta e poi dimenticata presso la palestra stessa al suo ritorno dagli Stati Uniti. Ed è grazie all’attuale Presidente della palestra Audace Gabriele Venturini che questo cimelio viene restituito ai figli di Leone e da loro lasciato per esporlo al museo, a perenne testimonianza di questa vicenda umana.     

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