Viaggio nell’informazione ebraica/3

L’esperienza torinese e milanese: “Ha keillah”, Joimag, Mosaico

È ancora ben radicata sulla carta stampata anche un’altra testata, che pubblica con regolarità i suoi 5 numeri annuali ormai dal lontano 1975: è “Ha keillah”, storico periodico nato all?interno della comunità torinese, composta da circa 800 iscritti. “Siamo nati per iniziativa del Gruppo di studi ebraici”, mi spiega la sua direttrice dal 2012, Anna Segre, pubblicista che nella vita insegna italiano nei licei. “La spinta che portò alla sua fondazione fu il desiderio di una parte di noi, più progressista, di dire la propria sulla gestione della comunità, e la rivista diede in effetti un suo contributo nel ricambio dei vertici, realizzato nel 1981”. Attenta anche alla realtà israeliana, alla redazione, che nella sua storia ha visto la presenza sia di religiosi che di laici, oggi lavorano in 8, raggiungendo, grazie anche al sito (hakeillah.com), oltre 2.500 lettori (anche in Europa, America e Israele). Interessante è poi il finanziamento del giornale, che si regge sulla sottoscrizione dei soci, sulla pubblicità e sulle offerte libere dei lettori. “L’edizione cartacea”, mi spiega la Segre, “ha costi di stampa e di distribuzione, ma oggi è per noi fondamentale, perché ci permette di raggiungere anche i lettori meno presenti sui social, e perché è un po’ il simbolo della nostra identità”.

Tra tradizione e novità: “Mosaico”e “JoiMag”

Completamente diverso è il modo scelto per far sentire la propria voce l’ultimo dei magazine affacciatosi nel mondo ebraico, che tanto sta facendo parlare di sé. È “JoiMag”, nato dall’idea di Cobi Benatoff, che ne è il direttore, con un passato come presidente della Comunità milanese e attualmente consigliere UCEI. “Siamo nati con un obiettivo preciso”, mi spiega, “dare voce a chiunque lo voglia, senza passare per i canali di comunicazione ufficiali. Il problema dell’ebraismo italiano, infatti, è la grande dispersione, specie tra gli ebrei più giovani e non troppo religiosi. È soprattutto a loro che cerchiamo di parlare. Joi sta appunto per Jewish, Open, Inclusive”. JoiMag, che pubblica articoli ogni giorno, utilizza una piattaforma composta dal sito (joimag.com) e dalle pagine Fb e Instagram; attualmente raggiunge un bacino di quasi 50.000 lettori, ben oltre il numero di ebrei in Italia. “Grazie alla mia esperienza internazionale”, precisa Benatoff, “ho preso spunto da quel che succede fuori confine, per cercare di rendere meno provinciale l’ebraismo italiano. Su Joi chi vuole è benvenuto: può navigare, leggere, farsi un’opinione, e interagire. Se vogliamo davvero dare un futuro all’ebraismo italiano, dovremmo essere tuti più inclusivi”.

Milano è anche la sede di “Bet Magazine-Mosaico”, il bollettino ufficiale della comunità, in versione cartacea e web. A dirigerlo dal 2009 è Fiona Diwan, giornalista con una lunga esperienza nel mondo editoriale. A lei chiedo innanzitutto qualche numero. “Mosaico”, mi spiega, “si pubblica ininterrottamente da oltre 75 anni, è oggi il giornale ebraico più longevo d’Italia. Usciamo con 11 numeri l’anno e una tiratura che varia tra le 4 e le 5.000 copie, come in caso di eventi speciali, quale ad esempio l’Expo o i Festival ebraici. In redazione siamo in tre, oltre numerosi collaboratori. Quanto ai costi, prima della pandemia il giornale ne copriva circa la metà con pubblicità e abbonamenti; nell’ultimo anno invece, c’è stata una prevedibile flessione”. Le chiedo poi di descrivermi il modo con cui il giornale si fa conoscere. “Il mensile cartaceo e il sito web (mosaico-cem.it) sono un punto di riferimento per i lettori, cui si aggiungono una pagina Fb, l’account twitter e la pagina Youtube. L’edizione cartacea è importante, e non perché è una questione simbolica: si tratta di cementare un senso di appartenenza e creare un collante tra le varie anime della Comunità milanese che è estremamente variegata. Qui vivono ebrei ashkenaziti, libici, persiani, egiziani, turchi, libanesi, senza contare i religiosi e i laici, con un giornale che faccia da specchio e dia voce a tutti, che sia il diario di viaggio di una modernità ebraica nelle sue tante sfaccettature, una finestra sull’interiorità collettiva del nostro mondo ebraico. Per molti ebrei lontani, il giornale cartaceo resta l’unico legame con la Comunità in grado di creare senso di appartenenza mentre per gli ebrei vicini, ne costituisce il cordone ombelicale. Inoltre, molti nostri lettori hanno un’età che li rende affezionati alla copia stampata. Far crescere questo senso di appartenenza è quindi un obiettivo strategico, soprattutto se pensiamo che la fascia più a rischio è quella che va dai 18 i 35 anni. Interessare i nostri giovani è una delle priorità che ci siamo dati”. Le chiedo infine di descrivermi i rapporti con i vertici comunitari. “Stabili e sereni”, mi risponde Diwan, “di fiducia reciproca e di confronto, specie nei momenti più delicati e dialettici, quelli ad esempio pre-elettorali. Essere professionali significa essere super-partes. Una ricerca di equilibrio raggiunta anche aprendo il giornale a firme giornalistiche importanti della realtà nazionale come ad esempio Natalia Aspesi, Marina Valensise, Alain Elkann, Enrico Deaglio, Silvia Vegetti Finzi”.

 

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