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Un rinnovato impegno nel dialogo ebraico-cristiano

Monsignor Etienne Vetö spiega a Riflessi l’importanza che i 3 giorni (9-11 ottobre) dedicati alle carte su Pio XII avranno nel rafforzare la via del dialogo

Monsignor Vetö, il convegno sui nuovi documenti emersi sul pontificato di Pio XII si è svolto all’insegna della collaborazione scientifica ebraico-cristiana: possiamo dire che si sia aperta una nuova fase negli studi su papa Pacelli?

Monsignor Vetö, vescovo ausiliare di Reims, tra gli ideatori del convegno su Pio XII

A livello metodologico credo che sia stata la prima volta in cui si sia realizzato un convegno tra ebrei e cristiani di questo tipo, cioè preparato in comune, lungo un arco di tempo così lungo (circa un anno e mezzo), con il coinvolgimento con istituzioni ufficiali, con il sostegno chiaro di 3 enti del Vaticano. Credo cioè che ci sia stato un salto qualitativo sostanziale. Spero di non apparire eccessivo, ma mi sembra che il convegno abbia assunto i caratteri di un avvenimento storico. Vorrei qui ricordare le parole con cui la dott.ssa Noemi Di Segni, presidente UCEI, ha concluso il convegno: agli inizi di un percorso c’è sempre una certa difficoltà a costruire un rapporto di fiducia. Ecco, io credo che, anche grazie al convegno, si sia avuto quel segno di una nuova fiducia tra di noi. Il convegno ha segnato un punto di partenza per continuare a lavorare per rinforzare questa fiducia.

Gli archivi contengono documenti che dovranno essere studiati ancora a lungo: possiamo aspettarci altre novità che riguardino il pontificato di Pio XII?

Noemi Di Segni, presidente UCEI

Le carte emerse confermano in realtà quello che si sapeva o si intuiva, ossia che Pio XII fosse al corrente, già nel 1941 e 1942, di quel che stava accadendo agli ebrei, ossia che fosse una delle persone più informate in Europa, come anche gli Alleati. Non solo. Sappiamo anche, grazie ai documenti in nostro possesso, che la Chiesa sostenne in modo abbastanza forte gli sforzi di dare asilo agli ebrei perseguitati. Credo che il convegno ci abbia fatto comprendere in particolare due cose: la prima è che occorre guardare non solo Pio XII e il Vaticano, anche la chiesa a tutti livelli. In quegli anni ci fu uno forte sforzo (anche diplomatico) dei vescovi, dei nunzi, delle parrocchie, degli istituiti religiosi, dei singoli individui, cui purtroppo si sommano a omissioni, anzi: rifiuti di aiutare e codardia. La seconda novità è che, grazie alla documentazione che emerge, confido che noi potremo capire non solo gli atti compiuti, o i silenzi, ma anche le loro motivazioni. I fatti devono essere ancora meglio precisati, ma oggi abbiamo più informazioni per comprendere i motivi che li determinarono.

qui e sotto, Mons. Vetö durante il convegno

A suo avviso i primi risultati emersi nel convegno avranno effetti sul processo di santificazione di Pio XII?

Il processo di canonizzazione segue una propria procedura. Esso è gestito direttamente dal Dicastero per le cause dei santi, che prende in esame sia gli atti pubblici che la vita privata e spirituale della persona, nonché le sue molte relazioni personali. Detto questo, è però vero, certamente, che tale processo è serio e rigoroso; dunque mi sembra ovvio che si terrà conto dei risultati storici acquisti.

Il convegno è stato possibile grazie alla decisione di Papa Francesco, nel 2020, di consentire l’accesso pieno all’archivio apostolico vaticano per gli anni di riferimento. Lei crede che il Papa sarà informato sull’esito dei lavori?

Il papa è in contatto costante, in generale, con il prefetto dell’Archivio apostolico e quello della Biblioteca vaticana, dunque viene informato di tutte le attività seguire e realizzate. Personalmente spero che avrà un’attenzione particolare per il nostro convegno! Non dimentichiamo che è stato lui a prendere la decisione di aprire gli archivi, ciò esprime un su reale interesse personale alla questione. Papa Francesco tiene molto alla collaborazione tra ebrei e cristiani e a far luce sul pontificato di Pio XII, del resto ha rapporti consolidati di amicizia con rappresentati della comunità ebraica in Argentina, come Rav Skorka.

Il terrorismo di Hamas contro Israele ha influenzato anche il convegno, impedendo agli studiosi israeliani di partecipare: vorrebbe rilasciare una sua dichiarazione sul conflitto?

Anche Yad Va Shem è stato tra i soggetti organizzatori della conferenza

È vero che due ricercatori dello Yad va Shem con cui abbiamo lavorato all’organizzazione del convegno non sono potuti venire, e noi siamo molto preoccupati per loro. In generale, come vescovo francese, non posso che riaffermare fortemente quanto dichiarato dal presidente della conferenza dei vescovi francesi già il primo giorno dell’attacco di Hamas a Israele: condanniamo senza riserve questo attacco che colpisce il popolo e lo Stato israeliano; preghiamo per le vittime, morti o feriti; chiedano la liberazione degli ostaggi. Gli atti di Hamas sono stati orribili e inaccettabili, non esprimono la volontà di tutto il popolo palestinese. Mi lasci poi aggiungere che ho avuto la fortuna di trascorrere in Israele i mesi da febbraio a luglio scorsi, come docente invitato all’Università ebraica di Gerusalemme. È stato un periodo bellissimo della mia vita. Penso a i miei colleghi di Gerusalemme e ai loro figli; so che alcuni sono al fronte sud. Sono questi momenti di angoscia per i genitori e per tutti noi.

Al termine dei lavori è stato citato anche rav Tarfon: “nessuno può compiere da solo il lavoro, ma nessuno può esimersi dal fare la propria parte”: che lavoro c’è ancora sa fare per migliorare il dialogo ebraico-cristiano?

Pio XII (1876-1958)

Si possono fare molte cose. Questo convegno ci ha permesso di fare passi da giganti nel dialogo; però si sono fatti a livello “alto”, ossia gerarchico, storico e teologico. Ora, la mia domanda è: come sarà possibile che questa fiducia possa scendere anche verso il basso, come la pioggia su tutta la terra? Una delle mie preoccupazioni è che nel prossimo futuro sia inclusa nella formazione di tutti i sacerdoti e dei responsabili della Chiesa una formazione sull’ebraismo, che oggi è troppo spessa omessa o poco approfondita. Credo che si necessario insistere in questa formazione, anche con relatori ebrei. Forse potremo augurarci lo stesso nei seminari rabbinici, cioè che ci sia una formazione sulla storia e su cos’è il cristianesimo, magari svolta da parte di docenti cristiani.

Leggi anche:

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Pio XII sapeva (Michele Sarfatti)

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