Un provinciale orgoglioso
In occasione del limmud previsto stasera per Elio Carmi, recensiamo il suo ultimo libro, “Fai che farlo”
Bisognerebbe chiedere a un esperto i motivi per cui a volte si perde tempo, lo si lascia scorrere anche se si sa che poi non ce n’è molto ancora.
Con Elio ci eravamo sentiti e scritti alla fine di novembre. Era per il suo ultimo libro, uscito da poco, e m’aveva chiesto se a Riflessi, “Se ritieni sia utile”, poteva interessare parlarne.
Certo che mi interessava, solo che tra le mille cose da fare di ogni giorno – le mille cose di cui spesso, magari senza accorgercene, ci circondiamo per costruire una quotidianità che allontani i tempi vuoti – mi avrebbe dovuto aspettare un po’, forse fino a Chanukkà.
Aspettare. Elio, davanti alla mia stupidità, per cortesia, e forse anche per orgoglio, non aveva obiettato nulla.
E invece Chanukkà era passata, e poi anche i giorni di fine anno, quelli in cui mi ero ripromesso finalmente di leggerlo, il libro di Elio, e di chiamarlo per parlarne insieme.
Solo che poi non c’era stato più tempo. Così, all’improvviso, è arrivata la notizia della sua scomparsa, proprio quando pensavi non sarebbe più arrivata. Come, cioè, quelle notizie che sai sì possono arrivare, ma siccome non ti piacciono per niente le allontani semplicemente non pensandoci; come se, non facendoti trovare in casa, la notizia potrebbe anche non arrivare mai (anni fa mi pare David Grossmann scrisse un libro con una storia del genere).
E ora ecco che provo a riparare il mio ritardo, con queste poche righe.
“Fai che farlo” (Fausto Lupetti editore, 2023), già nel titolo così sghembo e sincopato, in realtà un modo di dire dalle parti di Elio, racchiude bene molta della sua personalità.
Vissuto da sempre a Casale Monferrato, in quel Piemonte prealpino dell’Alessandrino, dove per secoli il lavoro duro della terra deve aver serrato anche la lingua e il carattere, Elio invece è stato capace di rompere a modo suo quella durezza apparente delle langhe, e di far germogliare per tutta Italia il suo estro di artista designer; proprio come, a poca distanza da lì, ad Alba, in precedenza Beppe Fenoglio si era mostrato un virtuoso della lingua.
Il libro, i cui testi sono stati raccolti da Silvana Mossano, è, a dirla male, una biografia.
La definizione è infatti riduttiva, perché dentro il lettore troverà un memoir, una storia familiare, una professionale, ma anche tanti racconti per immagini, pubbliche e private, che dialogano col testo scritto e si intrecciano con esso.
Dentro, c’è anche l’orgoglio del professionista che partendo dalla provincia arriva a disegnare, per esempio, il logo per l’Expo italiano. Ma a tratti “Fai che farlo” è anche una confessione privata e sincera; una storia di affetti familiari; una storia di speranza, sacrifici e successi; e, anche, di insuccessi. Potremo dire, un po’ banalmente, una storia italiana, come a migliaia il nostro paese ne ha sapute sfornare. Tutte belle e tutte d’esempio, certo; questa però con una particolarità in più: la storia di un ebreo italiano.
Già, che strano, un ebreo specializzato in immagini. Per alcuni forse quasi una contraddizione, o almeno un rischio (con grandissimi precedenti, però, nella storia dell’arte ebraica italiana: penso a Emanuele Luzzati).
E invece no. Le immagini, nell’arte di Elio, sono spesso linee, punti, oppure lettere, comunque intuizioni, o solo allusioni (racconta che fu quasi folgorato dalla lettura di “Punto, linea, superficie”, di Wassily Kandinsky), dunque non solo figurative.
Per Elio, deve essere stato quello il suo modo di percepire il mondo, perché, come confessa, noi tutti viviamo sempre immersi nelle immagini, e dunque, me lo immagino anche io, ora, Elio nel suo lavoro, come un Adam originario: vedeva le cose, e le reinterpretava, gli dava un nome, un nome nuovo, un nome fatto non di lettere, ma di colori, linee, forme.
Elio reinterpretava il mondo.
A volte con risultati incredibili. Mi sarebbe piaciuto chiedergli, per esempio, di qualche aneddoto capitato nella redazione di Famiglia Cristiana (sì, proprio Famiglia Cristiana), chiamato al capezzale di una rivista storica ma decaduta, e a rivoluzionarla completamente nelle copertine, nella grafica, nel taglio degli articoli: lui, unico ebreo in una redazione tutta cattolica. Oppure chiedergli di quando decise di cambiare il colore di uno dei marchi di panettoni più famosi, cosicché mentre a Natale tutti si concentravano sul rosso, lui (insieme ad Alessandro Ubertis, suo amico e partner per decenni) eccolo a virare spericolatamente verso il blu, che da allora non solo è rimasto, ma a giudicare i concorrenti è stato anche molto imitato.
E poi l’arte: il restyling grafico degli Uffizi (gli Uffizi, dico: uno dei più importanti musei del mondo). E poi ancora i bolidi di Valentino Rossi, e ancora tanto altro.
Tanto impegno è stato profuso anche nel mondo ebraico: nella sua Casale, innanzitutto. Non solo, da ultimo, come presidente della comunità, ma anche nella città (anni fa, assessore alla cultura). In comunità è stato inoltre tra gli ideatori del festival ebraico Oy Oy Oy, capace di attirare l’attenzione nazionale; ma anche di immaginare il museo delle luci, oggi una realtà concreta.
A Casale è sempre voluto restare. Di quelle parti è sua moglie, Laura, e a Casale sono cresciute le sue figlie e suo figlio: Daria, Daniele e Diletta. A Casale era morta sua madre, Nella. Di Eternit. Il maledetto Eternit.
Io Elio l’ho conosciuto alla fine, solo da un paio d’anni. Per Ucei ci ha regalato il logo del progetto “Art. 3: diversi tra uguali”. Dall’ospedale, anche durante il ciclo di chemio, ha lavorato, immaginato, ideato.
Lo ha fatto fino all’ultimo, a modo suo: più regalando e offrendo, che chiedendo. Per esempio, per l’associazione “Setteottobre”, perchè anche lui, come noi, ha subito capito la gravità di quel che è successo il 7 ottobre, e la necessità, per noi ebrei, non più, o non solo, di piangere, ma di reagire.
Di più forse non posso dire. Non sarebbe giusto, per chi l’ha conosciuto così poco; altri, amici e maestri che l’hanno frequentato a lungo, hanno detto e hanno scritto molto meglio di me.
Io ricordo il suo modo apparentemente un po’ burbero, sbrigativo, ma di una attenzione e di un ascolto sempre vivi. Elio non ti diceva che si sarebbe occupato di una cosa: se ne occupava, e bon.
Fai che farlo, appunto.
Se ho perso tempo a novembre, oggi ho almeno la consolazione di avergli potuto scrivere, durante una delle ultime riunioni cui ha partecipato, un paio di cose su di lui, e di averne letto la risposta.
E questo mi basta.
Il Limmud si svolgerà questa sera alle 20,30 via zoom
interventi di
Noemi Di Segni
Davide Jona Falco
rav Roberto Della Rocca
rav Ariel Finzi
Daria Carmi