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Un nostro lettore si racconta

Aurelio Ascoli è (forse) uno dei più anziani lettori di Riflessi. Gli abbiamo così chiesto….di invertire le parti, curiosi di leggere un pò della sua storia

Aurelio Ascoli in un’immagine di gioventù (fonte: CDEC)

La Direzione di Riflessi Menorah mi chiede notizie sulla mia carriera professionale e accademica, sulla mia famiglia e il tipo di ebraismo in essa praticato, sull’esperienza ’38-’45, sui miei legami con Israele, e un mio giudizio su come è cambiato l’ebraismo italiano negli ultimi anni: poco meno di un’enciclopedia.

Ben volentieri mi accingo a soddisfare la richiesta, ma, per cominciare, sento il bisogno di mettere in ordine le domande.

L’ordine cronologico mi sembra una buona scelta, comincio quindi a rispondere sulla mia famiglia: sono nato a Monza, in via Carlo P0rta, 4, da padre ebreo fiorentino, ingegnere elettrotecnico, e da madre ebrea anconetana, pianista. La famiglia di mio padre si era trasferita da Firenze a Milano nel 1908, perché mio padre potesse frequentarne il Politecnico.

Mia madre non conseguì mai il diploma di pianoforte, perché si fidanzò prima. Le rimase, e trasmise a noi figli, una vastissima e profonda cultura musicale. Mio padre era uomo di cultura enciclopedica, spaziava dall’Elettrotecnica alla Metapsichica, dagli esperimenti sugli effetti biologici delle radiazioni a una invidiabile cultura botanica. La sua cultura letteraria gli consentiva di citare a memoria estesi brani dell’Odissea in greco, ed aveva anche mani abilissime, dalla riparazione della minuteria metallica alla legatoria dei libri. Condivideva con mia madre la passione per la musica concertistica e sinfonica. Mia sorella maggiore aveva quasi 8 anni più di me, mia sorella minore ne ha 10 di meno. Praticamente tre figli unici. A ognuno di noi nostro padre riuscì a trasmettere qualcuna delle sue passioni. Mirella era abile legatrice di libri e citava a memoria i classici greci e latini. Io ricevetti da mio padre i principi di una ferrea logica aristotelica e la passione galileiana per l’“osservazione delli fatti della Natura” che fecero di me un fisico sperimentale. A Jordanit mio padre conferì la passione per la botanica e per la cultura generale, che l’aiutarono molto a divenire redattrice di enciclopedie.

Quale tipo di ebraismo si praticava in famiglia? Finché si usava andare in ufficio di sabato, mio padre c’è sempre andato, e nessuno in famiglia si è mai posto problemi a prendere un autobus o un treno di sciabbat o ad accendere o spegnere una luce o un fornello a gas. Ma il colmo dei colmi era Hannuccà. La Hannukkià si accendeva rigorosamente tutte le 8 sere. Ma papà tornava dall’ufficio tutte le sere verso le 19:50, compreso il venerdì sera, e naturalmente lo si aspettava per accendere la Hannukkià, in pieno sciabbat.  Da fare accapponare la pelle a uno sciomer sciabbat. Cioè il comportamento della quasi totalità degli ebrei italiani, felici di delegare a un rabbinato ortodosso l’osservanza delle mitzvot, e di essere informati e ben consci, sul piano culturale, dei precetti che si sarebbero dovuti osservare, ma di osservarne, sul piano personale e familiare, assai meno di un riformato. La carne si comprava dal macellaio, non era casher.

Aurelio Ascoli in un suo incontro nelle scuole

Finché c’è stato mio padre, mai fatto un seder. Ma a Pessach il consumo delle matzot e l’esclusione di pane e pasta erano scrupolosamente osservati. Mia madre, abile tagliatrice e cucitrice di indumenti semplici, come ad esempio i miei pigiami, non tagliava e non cuciva di sabato, né scoperchiava la macchina da cucire elettrica, ma cucinava di sabato, accendendo e spegnando i fornelli a gas. Non ci sarà stata sotto una secolare influenza della cultura gesuitica e la pluridecennale abitudine democristiana a non chiamare le cose col loro nome? La presenza del Vaticano in Italia non c’entra davvero niente?

Nonostante queste contraddizioni, mi sento ebreo, ebreissimo, non nominerei mai il nome di D-o invano, di sciabbat mi sento felice per il fatto stesso che è sciabbat, e sento profonda la fierezza di appartenere al popolo del Libro.

Mi erano state assegnate 12.000 battute per rispondere a cinque domande. Ne ho usate 4197 per rispondere alla prima. Ma, prima di dedicare tempo ed energie a rispondere alle altre, vorrei sapere se il Direttore di Riflessi Menorah ritiene quanto ho scritto meritevole di pubblicazione, e soprattutto se i lettori avranno voglia di leggerlo.

Una risposta

  1. La prima parte della storia di Aurelio Ascoli è molto interessate. A mio parere descrive in modo molto efficace l’ebraismo di gran parte delle famiglie ebree italiane a cavallo della metà del ventesimo secolo. E vi trovo analogie anche con alcuni ricordi della mia famiglia.
    Aurelio in un suo discorso in occasione della scopertura di una targa in ricordo delle scuole di via Eupili a Milano disse che ognuno di noi, con i suoi ricordi e le sue memorie, è una biblioteca vivente e incoraggiava i presenti a fare domande, soprattutto agli anziani, che hanno una lunga esperienza di vita.
    Quindi grazie a Aurelio per aver accettato di condividere “la sua biblioteca” con i suoi preziosi ricordi con un pubblico ampio.
    Aspetto con molto interesse le parti successive che Riflessi vorrà pubblicare.
    Bruno Piperno Beer

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