Un concerto per l’infanzia rubata
Si è svolto la scorsa settimana all’Auditorium di Roma il concerto organizzato da Ucei per il Giorno della memoria, da domani disponibile su Raiplay. Ne abbiamo parlato con Riccardo Joshua Moretti, il maestro che l’ha diretto
Joshua, quest’anno hai curato il concerto promosso dall’Ucei all’Auditorium parco della musica di Roma per il Giorno della memoria, dedicato a “l’infanzia rubata”.
Si tratta di un progetto che mi è stato commissionato dalla presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, alcuni mesi fa, e che ho preso in carico – assieme a Marco Valabrega, che ha contribuito con entusiasmo e generosità all’organizzazione – con uno spirito ben diverso da quello che poi si è venuto formando a seguito dei fatti successivi al 7 ottobre. In ogni caso, quest’anno il tema che si è deciso di sviluppare per il Giorno della memoria è, come hai detto, l’infanzia rubata; si trattava dunque di individuare una serie di musiche che fossero unite tutte da un unico filo conduttore, ossia ricordare tutti i bambini, circa un milione e mezzo, scomparsi nella Shoah.
A chi ti sei affidato per realizzare il concerto?
Organizzare una serata come questa richiede un duplice impegno. Si tratta infatti da un lato di individuare le musiche più adatte al tema prescelto e dall’altro di trovare i professionisti migliori per svolgerlo. In questo caso mi sono concentrato soprattutto sui musicisti delle nostre comunità, e devo dire che, seppure in poco tempo, ho avuto la fortuna di ricevere la massima disponibilità alla realizzazione della serata. In più, parteciperanno all’evento anche un coro di voci bianche. S tratta di circa 20 bambini che con il loro canti accompagneranno le musiche. La loro presenza mi sembrava infatti indispensabile in una serata come questa, dedicata al tema dell’infanzia scomparsa nella Shoah.
Che sensazioni ti ha lasciato il concerto?
Molto positive. Come ho detto il filo conduttore era quello dell’infanzia; per questo, sul palco la scenografia era costituita anche da foto testimonianza dei tanti bambini scomparsi nella Shoah. Abbiamo deciso di sottolineare il recital mediante un tratto di pacatezza. L’obiettivo era quello di valorizzare il pensiero dei bambini che non hanno avuto l’opportunità di vivere la propria vita. Direi che ho avvertito nell’insieme una profonda intensità da parte non solo di noi artisti, ma anche del pubblico in sala. Allo stesso tempo, quello del 26 gennaio è stato un concerto a tutti gli effetti, quindi pensato per coinvolgere gli spettatori, cercando di rappresentare un momento molto difficile della storia ebraica. Ho percepito un senso di partecipazione e di rispetto da parte di chi era presente e quindi, credo che questo abbia raggiunto lo scopo previsto. Compresa la parte a sorpresa.
Quale?
Quando Noemi mi ha proposto questo incarico ho pensato, sentendola raccontare la sua infanzia, d’inserire anche un’aria che non era prevista nel progetto originario: si tratta di una musica poco conosciuta, che ho riarrangiato, e che alla presidente dell’Ucei era cantata da bambina. Credo che in questo modo anche in un momento così intenso sia stato possibile riservare un piccolo spazio per un ricordo tutto personale.
Quest’anno il Giorno della memoria è caduto in una situazione particolarmente drammatica, a seguito dell’attacco terroristico di Hamas e Israele e della sua reazione militare. In generale, quando sei al lavoro e componi la tua musica, riesci a separarti dalla realtà circostante?
Non solo non mi è possibile farlo, ma credo anche che sarebbe un pessimo artista quello rinchiuso nella sua torre d’avorio. Al contrario, credo che un vero artista debba sempre essere attento alla realtà che lo circonda e debba essere capace di percepirne le sensazioni che si agitano al loro interno, nonché essere consapevole del momento storico che si sta vivendo. Quindi, come comprenderai, anche da un punto di vista professionale quello che stiamo attraversando è certamente un momento molto difficile.
Nel tuo ambiente artistico, hai ricevuto reazioni a seguito dell’attacco del 7 ottobre? O, al contrario, hai percepito un sentimento di ostilità visti i tanti episodi di antisemitismo registrati negli ultimi mesi?
Nel mio caso devo dire che per lo più ho ricevuto attestazioni di solidarietà e di vicinanza. Vorrei ricordare in particolare una serata svolta al Teatro Regio di Parma, la mia città, in cui non solo la cittadinanza si è stretta al dramma che Israele ha vissuto il 7 ottobre, ma anche le autorità locali hanno manifestato la loro vicinanza.
È possibile rappresentare in musica i sentimenti che produce una violenza così estrema come quella della Shoah?
È la domanda più difficile cui rispondere. Sul piano compositivo, ad esempio, confesso che per poter scrivere musica devo astrarmi dal pensiero di quello che concretamente accadde allora. Devo sforzarmi cioè di pensare che la musica possa salire al di sopra della realtà storica e possa avvicinarsi allo spirito di tutte quelle persone che continuano a vagare in cielo. Noi tutti ancora oggi dobbiamo fare i conti con quel che è accaduto durante la Shoah; ed è inevitabile anche riflettere sugli orrori del 7 ottobre: vedere ripetute queste atrocità è stata molto dura, dal punto di vista non solo umano, ma anche musicale e compositivo.
Dunque fare musica è inutile di fronte alla violenza e al male?
Noi musicisti non possiamo risolvere i problemi del mondo, ma possiamo raccontare le cose. Io credo che la musica possa darsi l’obiettivo di raccontare, per quanto possibile il dolore.