Uguaglianza e lavoro, da un punto di vista ebraico
A Napoli terza tappa del progetto UCEI sul principio di uguaglianza, a 75 anni dell’entrata in vigore della Costituzione
Si è tenuta a Napoli martedì 31 ottobre la terza tappa del progetto “Art. 3; diversi tra uguali”, organizzato da UCEI e che mette al centro il principio di uguaglianza a 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione.
Questa volta, nella sede dell’università orientale – presente il rettore, Tottoli – e con i buoni uffici della comunità ebraica di Napoli, rappresentata dal consigliere Sandro Temin, si è parlato di uguaglianza nel mondo del lavoro e approccio ebraico al lavoro. Relatori Lida Laura Sabbadini e Roberto Della Rocca, con la moderazione di Stefano De Matteis.
L’uguaglianza nel mondo del lavoro italiano è gravemente carente, ha spiegato Sabbadini, dirigente centrale ISTAT. In Europa siamo in fondo alla classifica delle donne occupate, con un tasso del 52%, però diviso tra il Sud, al 33%, e il nord, al 60%, entrambi molto distanti dal resto del continente: la Gran Bretagna è al 75%, la Francia al 70%, la Scandinavia oltre l’80%.
Il dato, negativo già di per sé, si trascina ulteriori conseguenze: le donne, senza lavoro, non solo sono più esposte alla povertà, ma prive di autonomia economica spesso non possono sfuggire nemmeno alla violenza domestica.
Cosa manca per invertire il senso di marcia – che, nel frattempo, a causa di crisi economica e pandemia, addirittura è peggiorato? L’Italia, ha spiegato Sabbadini, è priva da molti anni di una strategia: non c’è solidarietà nella coppia nella ripartizione del carico familiare, c’è una carenza di servizi sociali, di servizi educativi per la prima infanzia e per l’assistenza, cosicché la donna deve rinunciare a lavorare per sopperire personalmente a tali mancanze.
Da parte sua, rav Roberto Della Rocca ha introdotto il concetto dello shabbat…partendo dal resto della settimana. Prima di riposarsi, infatti, agli ebrei è chiesto di lavorare e impegnarsi per sei giorni. Il lavoro, nell’ebraismo, è infatti un obbligo, perché, come spiega Shemaya’ nel Talmud, occorre amare il lavoro e tenersi lontani dal potere; o, come spiega Ovadia da Bertinoro (XVI secolo): ogni persona deve lavorare, perché la nullafacenza porta all’ozio e al vizio. Il lavoro, infatti, realizza ciò che si è, dà senso alla vita. È per questo, ha spiegato il rav, che Giuseppe, quando in Egitto si traferiscono i suoi fratelli, anziché attuare una politica nepotista e di favore li presenta al Faraone come pastori: alla vigilia di una schiavitù, che nel mondo egizio è innanzitutto una schiavitù da lavoro, Giuseppe insegna che ci si può occupare ebraicamente del lavoro. L’ebraismo, insomma, attraverso la giusta importanza del lavoro afferma il diritto a essere e mantenersi una cultura di minoranza diversa dal mainstream generale. Il lavoro ci insegna il nostro posto nel mondo, purché non ne siamo mai sopraffatti. Meglio pastori che corrotti, commenta Rav Della Rocca.
Per tornare invece a oggi, Linda Sabbadini ha illustrato la situazione attuale con altri numeri: in Italia sono presenti circa 4 milioni di persone che vivono con meno di 12.000 euro lordi annui, cioè in condizioni di povertà; tra questi, i più penalizzati sono le donne, i giovani e gli abitanti del meridione.
Come reagire a questa tendenza? Innanzitutto occorre rimuovere una forte arretratezza culturale e politica, e poi aumentare le politiche dei servizi educativi per l’infanzia e la ridistribuzione carichi familiari (oggi sulla donna ricade il 67% del peso, fino a pochi anni fa era addirittura l’80%).
Insomma, le donne va riconosciuta l’uguaglianza di opportunità che oggi non hanno, e che l’art. 3, nell’imporre l’obbligo allo Stato di rimuovere gli ostacoli (comma voluto dalle costituenti donne), richiede. Come è scritto nel Talmud, ha concluso Sabbadini, la donna non è stata creata dai piedi o dalla testa dell’uomo, perché non gli è né inferiore né superiore, ma dal fianco, perché gli è uguale.
Infine, rav Della Rocca ha tratteggiato il rapporto tra sessi nell pensiero ebraico.
Nell’ebraismo non c’è gerarchia delle identità e tra generi, ma rispetto e valorizzazione delle differenze, che esistono e vanno mantenute, perché fonte di cultura e progresso. È per questo, ha spiegato, che la Genesi è basata sulle differenze: giorno e notte, sole e luna, uomo e donna. Differenza, dunque, non significa superiorità e inferiorità, ma ruoli e responsabilità parimenti importanti.
Il rav ha poi chiuso i lavori parlando dello shabbat, il più grande antidoto all’idolatria, la pausa momentanea che limita il rischio di delirio di onnipotenza che ci dà il lavoro. Il lavoro, insegna lo shabbat, è mezzo e non fine. Lo shabbat ci dà la consapevolezza che non siamo perfetti, e ci aiuta a fermare l’affanno quotidiano.
Dopo Napoli, il progetto “Art. 3; diversi tra uguali” farà tappa a Milano, al Memoriale della shoah, dove si parlerà di uguaglianza e cittadinanza.