Tra la Colllina di primavera e la Città santa (seconda parte)

Nella prima parte del suo reportage, Luca Zevi ci ha decritto la nascita di Tel Aviv. E Gerusalemme? Dal 1967, la città ha vissuto profonde trasformazioni architettoniche

Ma che succede a Gerusalemme?

Tel Aviv è dunque, da tutti i punti di vista, l’incarnazione dello stato di Israele nel corso dei suoi primi vent’anni di vita, nell’immaginario dei suoi cittadini ma anche in una considerazione internazionale che non a caso fa continuo riferimento al “governo di Tel Aviv”.

Eppure la capitale ufficiale, ove si trovano tutte le istituzioni rappresentative della giovane nazione, è già allora Gerusalemme. Certo, la sua centralità culturale e spirituale in quel particolare momento di fervore innovativo viene messa in discussione; senza però dimenticare che quello è il baricentro del popolo ebraico, dal quale è stato scacciato con la violenza e al quale ha continuato ad aspirare nel corso di ben due millenni di Diaspora. Non a caso, nel corso di quei millenni, ogni seder (cena) pasquale si è concluso con l’auspicio “quest’anno ancora qui, l’anno prossimo di nuovo a Gerusalemme” che, insieme a quanto emerge dalle campagne di scavo archeologico mirate a testimoniare una presenza ebraica originaria, viene brandito come principale argomento di legittimazione della rifondazione di uno stato, in pieno ventesimo secolo, proprio in questo lembo di terra contesa.

giugno 1967: Moshè Dayan entra nella parte est di Gerusalemme
giugno 1967: Moshè Dayan entra nella parte est di Gerusalemme

E dunque nel primo ventennio di vita del nuovo stato è in costruzione anche una Gerusalemme israeliana, che si attesta al cospetto della Città Vecchia, dalla quale, dopo la proclamazione dello stato di Israele nel 1947, vengono espulsi con la violenza fuori dalla cinta muraria gli ebrei che vi risiedevano e qualunque testimonianza del loro passaggio viene profanata e distrutta con il pieno assenso delle autorità giordane. Dunque la nuova città viene a trovarsi in una posizione non dissimile dall’ultima in cui a suo tempo si era attestato Mosè, dopo l’interdizione all’ingresso nella Terra Promessa e la concessione, a mo’ di premio consolazione, del privilegio di contemplarla dall’alto del Monte Nebo.

Le case che si vanno costruendo a ritmo serrato per accogliere gli olim (coloni) non possono dunque ignorare l’ingombrante convitato di pietra (in senso stretto) che hanno davanti: parlano sì il nuovo linguaggio architettonico che si va forgiando a Tel Aviv sulla spinta dell’avanguardia internazionale, ma non possono fare altrettanta tabula rasa di ogni tradizione e sono anzi obbligate a un dialogo, seppure a distanza, con il luogo delle origini. Il primo e più evidente risultato di quell’obbligo è la prescrizione a rivestire le facciate con lastre – grezze o levigate – della celebre pietra di Gerusalemme.

Mea Sharim
Per le strade del quartiere di Mea Sharim

Se la spartanissima austerity caratteristica di quegli anni – imposta certo dall’intransigente ideologia sionistico-socialista, ma anche da obiettive condizioni di indigenza – a Tel Aviv appare nonostante tutto gioiosa, a Gerusalemme  si vena di malinconia: troppo complessa e stratificata è quella città per ricondurre gli ebrei ritornati a un unico tipo di “uomo nuovo”, ultimo dei tanti partoriti dal secolo passato: a Rehavia ci si imbatte in una discreta aristocrazia intellettuale laica; ma a Mea Shearim gli ortodossi ostentano vistosamente la propria appartenenza alla tradizione dell’ebraismo est-europeo in forte polemica con l’andazzo laico e socialista del nuovo stato; e nei sobborghi abitati dai più recenti immigrati scacciati dai paesi arabi ci si imbatte in sacche di autentica povertà.

Modernità oltre l’utopia

Azrieli Center
I grattacieli del centro Azrieli

 La vittoria nella “guerra dei sei giorni” del 1967 innesca un’importante processo di ripresa economica che si fa sentire a Tel Aviv con un rilancio degli investimenti immobiliari. Una nuova era nel corso della quale la fase eroica testè conclusasi non viene archiviata – continua a essere la cifra caratteristica del tessuto urbano centrale – ma per così dire superata da una società secolarizzata che mira a passare dall’austerità al consumismo. L’architettura si libera dei vincoli del linguaggio razionalista delle origini per avventurarsi sul terreno di espressioni più estroverse. Se il Beit Asia (1970) e il centro commerciale Dizengoff (1980) rappresentano una sorta di moto ondeggiante impresso alle realizzazioni del periodo precedente , il centro Azrieli e l’intensa edificazione turistica del lungomare esprimono la vitalità, ma anche i rischi di una pur auspicata “deregulation” .

Municipio Bat Yam
L’edificio che ospita il Municipio di Bat Yam

Anche l’interesse verso le correnti post-razionaliste dell’architettura internazionale diviene più marcato : il Municipio “brutalista” di Bat Yam, dello studio Neuman-Rechter-Sharon, ne è una significativa anticipazione, in continuità con la quale continuarà a operare Zvi Hecker, uno dei membri dello studio, con la casa a spirale a Ramat Gan (1993) e il Museo del Palmach (1999). Quest’apertura guarda altresì sul piano internazionale a figure caratterizzate da un rapporto più problematico con la modernità, da Louis Kahn, che firma la nuova Facoltà di Ingegneria (1974), a Mario Botta, autore di un singolare edificio di culto nello stesso campus universitario (1998).e

Sul terreno dello sviluppo urbano, l’espansione ininterrotta di Tel Aviv a partire dal 1948 conduce ad una saldatura sempre maggiore con i centri limitrofi – Petach Tikwa, Herzliya, Rishon Le Zion, Ramat Hasharon, Yahud – e quindi alla formazione di un’area metropolitana che occupa l’intera porzione centrale del territorio statale, con una popolazione che supera i due milioni e mezzo di persone.

Lo storico progetto del 1963 di Jan Lubicz-Nycz

Questo processo di crescita – e i fenomeni di congestione che inevitabilmente ne derivano – dà luogo pertanto, nel corso della breve ancorché intensissima storia della città, a interventi massicci di sostituzione e densificazione di parti del tessuto storico; a iniziative di riequilibrio del grande aggregato metropolitano attraverso il potenziamento e la diversificazione delle comunicazioni, e alla riqualificazione dei quartieri-dormitorio più degradati, disposti prevalentemente nel quadrante sud- orientale. Si punta inoltre al contenimento dell’erosione del territorio agricolo mediante uno spettacolare sviluppo verso e dentro il mare anche attraverso una rielaborazione di uno storico progetto del 1963, di Jan Lubicz-Nycz , che dispiegava lungo la costa una selva di grattacieli “a forma di cucchiaio…(a mo’) di guscio-contenitore di umanità”; va in questa direzione la proposta di una serie di isole di fronte alla costa da parte degli architetti Gertner, Comet e Gibor.

Euforia della conquista e nostalgia del Monte Nebo

 Anche Gerusalemme, con la “guerra dei sei giorni”, cambia profondamente.

All’interno della cinta muraria, recentemente espugnata dall’esercito israeliano, nei giorni di Pasqua, di tutte le Pasque, le campane delle molteplici chiese cristiane continuano a fare a gara con i muezzin delle moschee islamiche. A questi suoni si uniscono nuovamente le orazioni ebraiche al Muro del Pianto, scacciate nei vent’anni precedenti, a completare una competizione di carattere spirituale che non potrebbe trovare uno scenario più magico sul quale esercitarsi. Per ospitare tali orazioni in un invaso urbano di ampie proporzioni viene demolita una porzione consistente del tessuto storico prospiciente il Muro occidentale.

Quartiere ebraico di Gerusalemme
L’antico quartiere ebraico di Gerusalemme

Si percepisce fisicamente il motivo per il quale Gerusalemme, caso unico, è santa per ben tre religioni, tutte rigorosamente monoteistiche: la città sorge in un contesto geografico che spintona irresistibilmente verso l’assoluto e il sovrannaturale. Un clima mistico di straordinaria fascinazione, che non manca però di alimentare in alcuni israeliani prima maniera una qualche nostalgia per i tempi in cui la città santa poteva essere soltanto contemplata dall’esterno (prima del ’67), ovvero dalla prospiciente Gerusalemme ebraica. La ricostruzione in stile dell’antico quartiere ebraico all’interno della cinta muraria , distrutto sotto la dominazione giordana, stride con il linguaggio architettonico innovativo che ha caratterizzato i primi vent’anni del giovane stato e non a caso viene abitato soprattutto da quegli ebrei ortodossi di foggia est-europea che ben poco somigliano alla tipologia dell’israeliano che si è venuta costruendo fino a quel momento.

Mahane Yehuda

Una sensazione sofferta e contraddittoria: in astratto quel magnetico e soffocante concentrato di santità multireligiosa racchiuso dalle splendide mura – complementare al vociare  del suk – è di tutti e di conseguenza dovrebbe essere isolato dai normali meccanismi di appartenenza a questo o quel paese  e consegnato a un’autorità sovranazionale come patrimonio materiale e immateriale dell’umanità; in concreto non ci si può nascondere che un’autorità sovranazionale in grado di imporre il rispetto delle proprie decisioni non esiste e presumibilmente non esisterà per molto tempo ancora. Dunque, ancora una volta, è necessario ragionare in termini relativi e prendere atto laicamente del fatto che le autorità israeliane garantiscono ai fedeli di tutte e tre le religioni monoteistiche la possibilità, certo vigilata, di osservare i propri riti all’interno di questo centro mistico.

una novità logistica degli ultimi anni a Gerusalemme: la linea tramnviaria

Costi di una normalizzazione

I decenni successivi non contribuiranno purtroppo a fugare i timori di un’involuzione figlia anche della conquista: a Gerusalemme si concentra sempre più la componente nazionalistico-ortodossa, animata da un forte spirito espansionistico. E si sviluppa una politica urbanistica mirata a circondare la Città Vecchia di moderni quartieri residenziali ebraici, che vanno a insinuarsi fra i preesistenti villaggi arabi, a sottolineare la volontà di fare indiscutibilmente di Gerusalemme la capitale, unica e indivisibile, dello stato di Israele.

(continua)

Leggi qui la prima parte La collina di primavera e la città santa

 

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