Topografia della Memoria
Martin Pollack è un autore che da anni riflette sulla necessità di conservare la memoria. A cominciare dai luoghi che la custodiscono
La memoria come dovere e testimonianza. La memoria come dolore necessario a dissolvere i fantasmi del passato. La memoria come legame indissolubile con la propria storia e identità. E ancora, la memoria come ricerca della verità e la memoria come espiazione. A queste ultime categorie appartiene sicuramente il volume “Topografia della memoria” (Keller, 235 pagg. 17 euro) di Martin Pollack, l’autore austriaco che tanta parte dei suoi studi e della sua vita ha dedicato a illuminare i segreti rimossi delle stragi e delle atrocità prodotte dalla guerra nell’Europa centrale ed orientale.
Dopo “Galizia”, dedicato alla ricerca delle testimonianze e della documentazione di una regione abitata dagli ebrei askhenaziti e cancellata di fatto con le sue tradizioni e la sua lingua yiddish dalla mappa europea contemporanea, lasciandola quasi come solo un ricordo destinato a sparire man mano con il trascorrere del tempo a causa della crudeltà nazista. Il suo libro serve ad evitare il pericolo di questo ultimo scempio: l’oblio.
Nel precedente “Il morto nel Bunker” Pollack, figlio di un militare nazista di cui ha rifiutato il cognome per assumere quello del patrigno, indaga sulla morte del genitore appunto, avvenuta nel 1947 nella valle d’Isarco nell’Alto Adige-Sud Tirolo nel tentativo di rifugiarsi in Sudamerica quando lui era molto piccolo (è nato nel 1944).
La topografia della memoria sembra raccogliere ed estendere a tutto questo l’indagine e l’impegno di Pollack, con il suo stile asciutto, descrittivo ed evocativo, più da giornalista che da scrittore. Una cronaca del passato capace di rimanere attuale e viva a dispetto della volontà individuale e troppo spesso collettiva di volerla cancellare. Una antologia di racconti che vanno dai villaggi austriaci che non si sono opposti ai pogrom contro i rom e poi hanno rimosso e dimenticato l’accaduto fino ad oltre gli anni Cinquanta all’indagine sul villaggio della sua infanzia che nascondeva segreti svelati un po’ alla volta ad iniziare da “mio padre, lo sconosciuto” come scrive Pollack rendendo bene l’idea di questo estraneamento e al contempo del senso di colpa nello scoprire nel tranquillo paese della sua giovinezza la presenza della sede della Gestapo di Linz dove suo padre operava con ruoli dirigenziali.
“Cosa significa per me – si chiede l’autore in uno degli scritti che compongono questa raccolta – questo padre che non ho mai avuto vicino, con cui non ho mai fatto una passeggiata, né un discorso, che non mi ha mai sgridato, questo padre che fu nelle SS, nell’SD e nella Gestapo, che guidò un’unità speciale delle temute Einsazgruppen prima in Polonia e poi in Slovacchia, che vicino a Varsavia ordinò la fucilazione di ostaggi polacchi e sulle montagne slovacche dette la caccia con i suoi uomini a ebrei e partigiani? Questo mio padre che fu un assassino o, comunque, che in virtù della sua carica e del suo rango ordinava di uccidere?”.
La tragedia del Novecento è anche in queste frasi e la cura nella memoria scrupolosamente cercata da Pollack. Nella scarna descrizione dei fatti sta il suo contributo, non a sanare ferite destinate a rimanere aperte, ma a ristabilire verità, responsabilità e giustizia, che diventano quanto meno un unguento prezioso per non farle sanguinare senza tregua.