Vivere lontani: essere ebreo a Palermo
Chiamo Salvo, che per la sua nuova vita ha scelto di chiamarsi Yeoshua, di sera a Palermo, dov’è nato e dove vive, impiegato in una struttura di assistenza agli anziani; la sua scelta, di essere un giovane ebreo del sud, mi incuriosisce, forse perché la traccia di una storia più ampia e sommersa dell’ebraismo italiano.
Cosa ti ha motivato alla conversione?
Ho scelto di intraprendere la strada del ghiur nel 2002, per un bisogno che mi è nato semplicemente quando ho cominciato a leggere la Torà. All’inizio ho effettuato una conversione con i reform, ma poi è successo che non mi sentivo pienamente a mio agio, perché per la maggioranza degli ebrei, in quanto reform, rimanevo una specie di “fantasma”; e così, grazie all’attività di rav Punturello, nel 2015 ho concluso anche il mio percorso di conversione ortodossa.
E a Palermo, e in generale in Sicilia, quanti sono gli ebrei?
Oggi molto pochi, se mi chiedi degli ebrei residenti. Siamo appena una manciata. Oltre a me, qui a Palermo ci sono un paio di persone che hanno effettuato il mio percorso, e poi ci sono alcuni ebrei più anziani, figli di ebrei che nelle generazioni precedenti hanno scelto di vivere in Sicilia; in totale però non raggiungiamo il minian. Conosco di altri a Messina, a Catania; c’è poi un gruppo a Siracusa, sebbene questi ultimi non siano riusciti a terminare il percorso di conversione ortodossa, e anche qualcuno in Calabria.
Mi descrivi com’è vivere da ebrei in una terra tanto lontana dall’ebraismo ufficiale e da una comunità?
Distinguerei tra prima e dopo il Covid. Prima, pur tra tante difficoltà, riuscivamo almeno a ritrovarci tra di noi. Per i moadim e per rosh ha shanà, per esempio, grazie soprattutto ai turisti israeliani, ma anche francesi e inglesi, abbiamo organizzato anche un minian. In passato gli shabbaton organizzati dall’Ucei, grazie soprattutto a rav Punturello, ci hanno permesso di vivere in un’atmosfera ebraica lo shabbat. Ma adesso è tutto più difficile. Da oltre un anno siamo costretti a vivere isolati, e non possiamo più frequentarci, neanche noi pochi ebrei di Palermo e della Sicilia. Così è davvero difficile.
Come vedi il futuro dell’ebraismo del sud? Pensi che ci saranno altri percorsi di conversione?
Onestamente non so. Qualche anno fa mi sembrava ci fosse una prospettiva diversa, grazie all’entusiasmo di chi era incaricato del ‘Progetto sud’. Da qualche anno il vento mi sembra cambiato, e tutto si è fatto più difficile; so che alcuni, che pure avevano cominciato il percorso, l’hanno interrotto.
E tu, come vedi il tuo futuro?
La pandemia m’ha fatto comprendere ancora di più di quanto sia essenziale per un ebreo vivere dentro una comunità. La solitudine che ho provato quest’anno a Kippur, quando ormai ero abituato a salire a Roma, è stata dura da sopportare. Appena mi sarà possibile tornerò a Roma. Le melodie romane e gli amici che ho da voi mi mancano molto.