Sinistra ed ebrei: una storia lunga secoli
Il libro di Alessandra Tarquini ricostruisce un rapporto lungo e tormentato
L’oggi è appannaggio della disputa tra l’antisemitismo e una certa destra. Atteggiamento non del tutto marginale rispetto al Governo Meloni alimentato in parte da questo definitivo e per certi aspetti inevitabile sdoganamento di quel percorso politico.
Ma questo storico scontro con i post-fascisti non può far dimenticare un’altra perenne contrapposizione tra un certo modo di intendere la sinistra e l’ebraismo. A quest’ultimo aspetto del rapporto politico tra identità ebraico-sionista e le forze progressiste di matrice marxista, nel periodo che va dalla nascita del partito socialista alla fine dell’Ottocento e la fine della Prima Repubblica italiana sul finire del secolo scorso, è dedicato il libro LA SINISTRA ITALIANA E GLI EBREI. SOCIALISMO, SIONISMO E ANTISEMITISMO DAL 1892 AL 1992 (293 pagine, IL MULINO) scritto da Alessandra Tarquini, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, e già autrice di testi su Giovanni Gentile e sul fascismo.
Prendendo spunto da una riflessione del filosofo tedesco Karl Lowith, l’autrice nell’introduzione al testo parte dal quesito su chi “siano stati e chi siano gli ebrei per i socialisti: sono oppressi, e quindi insieme a tutti gli sfruttati del mondo partecipano alla lotta per l’avvento di una nuova civiltà, oppure ostacolano la realizzazione del socialismo perché rivendicano la loro identità in nome di una religione?”.
Insomma questo rapporto tra sinistra di tradizione marxista e una minoranza bimillenaria è sempre stato complicato, fatto di generose lotte in comune e separazioni e conflitti talvolta sfociati in vere e proprie persecuzioni. Anche se il tormentato confronto nasce certo già con l’illuminismo e la Rivoluzione Francese, dalla condanna dell’ebraismo come identità indistinguibile dal sentimento religioso operata da molti filosofi francesi senza però dimenticare che il 27 settembre 1791 è l’Assemblea costituente di Parigi a dichiarare che gli ebrei residenti sul territorio della Repubblica hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri degli altri francesi. Una scossa che porta ‘l’emancipazione’ in larga parte dell’Europa occidentale, permanendo invece molte resistenze in quella orientale dove tra l’altro vivono e vivranno fino alla Shoah i due terzi degli ebrei.
Nel tardo diciannovesimo secolo sono poi molte le personalità critiche e gli oppositori ma numerosi anche i sostenitori dell’ebraismo e del sionismo all’interno del movimento operaio. Tra questi ultimi figura Moses Hess che nel suo ‘Roma e Gerusalemme,’ sostiene la creazione di uno stato ebraico, influenzato anche dalla lettura di Giuseppe Mazzini. Del resto il politico e pensatore pisano, così come Carlo Cattaneo, è netto nella condanna di ogni discriminazione di carattere religioso.
La riflessione sulla questione ebraica più che dagli scritti di Karl Marx, contrario in toto alla dimensione religiosa dell’uomo, è influenzata all’inizio del movimento proletario dalla Seconda Internazionale mentre successivamente sarà la vicenda Dreyfuss a rimescolare le carte e a dopo alcuni tentennamenti a portare la stampa socialista sulle stesse posizioni espresse da Emile Zola. Ancora nel 1903 l’inviato dell’Avanti al congresso del Bund ricordava le tesi antisioniste del movimento anche se si scagliava contro gli strali dell’Osservatore Romano, organo della Santa Sede, contro il sindaco di Roma, Ernesto Nathan, laico e riformista, definito ‘amalgama di giudaismo e massoneria’. Ma è subito dopo la Grande Guerra che all’interno del socialismo italiano ci si interroga apertamente sulla compatibilità del sionismo con gli obiettivi rivoluzionari del partito.
L’autrice si sofferma poi in modo molto accurato e dettagliato a ripercorrere il pensiero delle diverse componenti della sinistra nate dalle costole dei socialisti e di come il problema dell’antisemitismo sia inserito spesso nel concetto più generale dell’emancipazione dalla religione e dal capitalismo che trova grandi esponenti anche tra l’ebraismo stesso.
Dopo l’avvento del fascismo la posizione dei comunisti e dei socialisti identifica e ingloba la lotta all’antisemitismo in una comune opposizione al nazifascismo anche se dopo una iniziale partecipazione filoisraeliana si comincia subito dopo la guerra a fare i distinguo tra antisemitismo e antisionismo e a confrontarsi con le posizioni dell’Urss sull’esistenza e soprattutto la politica estera di Israele. Giusto risalto, per un’analisi storica non solo accademica, viene data da Tarquini anche all’eco e alle polemiche a favore e contro emerse dopo la programmazione anche in Italia di Olocausto, lo sceneggiato americano diretto da Marvin Chomsky che tanta eco ha già avuto in Germania e nel resto del mondo.
Tra chi lo definisce una versione hollywoodiana della Shoah (Edith Bruck, critica anche su La vita è bella di Roberto Benigni) c’è chi invita ad apprezzare una ricostruzione per il grande pubblico che entrava nel profondo del problema non limitandosi a dipingere i nazisti come semplici criminali. Poi l’intervento nel Libano, l’Intifada e la posizione di molti governi negli anni Ottanta a sostegno dell’Olp acuiscono la divisione tra pezzi della sinistra e Israele. Fino ad arrivare a Craxi e a Sigonella dopo l’attentato sull’Achille Lauro da parte dei terroristi arabi. Una posizione filoaraba dei governi italiani e dell’opposizione comunista che solo dopo la fine della Prima Repubblica avrebbe incontrato ostacoli e un avvicinamento alle posizioni israeliane via via più marcate.
Una risposta
La Sinistra italiana ha avuto contributi diretti di rilievo da parte di persone di valore in onesta chiave antifascista (come Umberto Terracini e tanti altri … ) ma purtroppo è il nucleo stesso dell’eredità culturale di Karl Marx ( il quale da bravo docente tedesco disprezzava i suoi avi ebrei) e dei suoi interpreti – presente tuttora in diverse misura nelle attuali varie Sinistre italiane – che è condannato dalla storia ….