“Setteottobre” combatte contro disinformazione e pregiudizi
Stefano Parisi a Riflessi traccia il bilancio dei primi sei mesi di attività dell’associazione
Stefano, l’associazione “Setteottobre” è nata circa sei mesi fa: è tempo dunque di provare a stilare un primo bilancio. Che giudizio dai di questi mesi?
Siamo soddisfatti del lavoro che siamo riusciti a realizzare, anche se appare sempre insufficiente rispetto all’enorme sforzo che serve per contrastare l’odio verso gli ebrei, Israele e l’Occidente. In questi sei mesi tanta gente ha cominciato a lavorare con noi, abbiamo realizzato eventi importanti, siamo riusciti a favorire una grande partecipazione. Tanta gente ormai ci segue, la nostra chat è partecipata da quasi 4000 persone, e di recente anche l’ambasciata israeliana ha riconosciuto il nostro ruolo. È un attestato che ci riempie di orgoglio, perché siamo un’organizzazione non ebraica; riteniamo infatti molto importante che “Setteottobre” sia riuscita a mobilitare tanti non ebrei a sostegno di Israele, perché mi sembra importante portare avanti le ragioni di Israele anche fuori del mondo ebraico.
È stato difficile?
Il lavoro realizzato è stato ottenuto anche grazie alla collaborazione di tanti. Vorrei ricordare che in questo obiettivo non siamo soli, che molte altre associazioni lavorano in tal senso. Si tratta, semmai, di riuscire a unire le forze e a darsi una migliore organizzazione per esser ancora più efficaci.
Nonostante gli sforzi è evidente che opinione pubblica sembra orientata verso un giudizio nettamente negativo, se non ostile, nei confronti di Israele.
È molto difficile scalfire i pregiudizi che si sono venuti formando in questi mesi. Dal 7 ottobre la situazione è molto peggiorata, perché il tempo lavora a favore di Hamas. Molti infatti sembrano dimenticarsi di quel che è accaduto il 7 ottobre, e l’attenzione è tutta spostata su questa guerra, certo molto cruenta, che rende sempre più complicato riportare l’opinione pubblica sulle ragioni di Israele, sulla vera origine del conflitto. Quello che più ci preoccupa è la capacità di movimenti estremamente minoritari, formati da poche decine di studenti al massimo, di condizionare sia i media che l’élite universitarie, sulla base di discorsi retorici, che purtroppo trovano eco nei giornali e nella stampa; al loro interno è evidente l’orientamento antisemita, se non il pieno supporto ad Hamas. È un dato preoccupante, ripeto, non per la consistenza numerica di tali movimenti, quanto per la remissività e sudditanza dei rettori e di una certa parte nel nostro mondo culturale.
Che idea ti sei fatto di questa sudditanza?
Distinguerei. Se penso ai rettori, mi sembra evidente che molti hanno espresso in questi mesi una esplicita subalternità a un movimento violento, affetto da un incredibile cortocircuito mentale: giovani che manifestano in Italia per i diritti delle donne e degli omosessuali e che sulla vicenda mediorientale si schierano con Hamas sapendo che trattamento viene riservato dai terroristi alle donne e agli omosessuali. Questo clima è così avvelenato che oggi, nelle università italiane, è di fatto impossibile non dico sostenere le ragioni di Israele, ma anche solo promuovere un’iniziativa per comprendere il Medio Oriente. Nello stesso tempo ho l’impressione che l’opinione pubblica, dopo settimane e mesi di propaganda violenta a sostegno della pratica di morte di odio di Hamas, stia lentamente prendendo coscienza che la verità è diversa da quella raccontata dalla propaganda di Hamas. Insomma, mi sembra che aumentino i dubbi e la richiesta di maggiore informazione. Probabilmente anche le prossime elezioni europee sapranno darci la misura dell’orientamento dell’opinione pubblica sulla crisi in medio oriente.
E per quanto riguarda la politica, cosa ti sembra?
Abbiamo visto di recente sventolare bandiere palestinesi alla Camera. Abbiamo visto purtroppo un pezzo della sinistra sostenere tout court il riconoscimento dello Stato palestinese, a tacere di quelle frange, per fortuna marginali, che si sono addirittura schierate a favore di Hamas. Sono espressioni che ci preoccupano, così come mi preoccupa una richiesta generale di cessate il fuoco a Gaza senza mettere come precondizione l’urgenza di liberare gli ostaggi. Anche nel governo però si registrano sacche di ambiguità. Quando un ministro dice che dobbiamo essere equidistanti rispetto al conflitto, perché questo aumenterebbe il peso negoziale dell’Italia, io obietto innanzitutto che il nostro paese, come tutta l’Europa, non conta nulla in questo negoziato, ma soprattutto che l’Italia non può essere equidistante tra una libera democrazia come Israele è un’organizzazione terroristica come Hamas.
Domani “Setteottobre” organizza un nuovo evento al teatro Parenti di Milano. Di che si tratta?
Voglio innanzitutto sottolineare che nella nostra locandina parliamo di una “battaglia”: si tratta di una battaglia contro la disinformazione. In altre parole, la nostra associazione non si orienta contro qualcuno, ma si batte per la verità. Non ci interessa il muro contro un muro, ma vogliamo favorire una situazione in cui le persone possano farsi domande in grado di fornire una lettura diversa della realtà. Saranno con noi presenti Eylon Levi, ex portavoce del governo israeliano; Hillel Neuer, che da tempo fa un importante lavoro di controinformazione in cui mostra con dati statistici alla mano quanto ormai il pregiudizio antisraeliano stia corrodendo le Nazioni Unite, sempre più nelle mani di dittature antidemocratiche. Rawan Osman, infine, è una donna araba siriana che ha costruito una piattaforma araba per combattere la propaganda di Hamas e della jihad e che per questo rischia la propria vita. Tutti e tre saranno a Milano per darci una lettura diversa dei fatti che stanno accadendo in Israele e a Gaza, che purtroppo in Italia non tutti hanno la possibilità di riceve.
L’iniziativa del Teatro Perenti è stata duramente contestata da Cambiare rotta.
Si tratta di un piccolo manipolo di studenti dell’accademia di Brera, che hanno chiesto di interrompere ogni collaborazione con il teatro Franco Parenti in quanto ritenuto un “presidio del sionismo”. Io ritengo del tutto irrilevante questa protesta, se non fosse che nasce a Milano ed è rivolta contro il teatro Parenti, che è una lunga storia di sinistra ed è un presidio culturale fondamentale per la città. Mi rattrista, semmai, il fatto che il sindaco Sala non abbia ancora avuto il tempo di spendere una parola a difesa di un’istituzione come il teatro Parenti.
A proposito del sindaco Sala: dopo che il sindaco di Bologna ha esposto la bandiera palestinese fuori da Palazzo Accursio, anche il sindaco di Milano ha dichiarato che sta valutando un’iniziativa simile.
È una posizione che non capisco. Ho già detto che secondo me bisognerebbe tutelare un presidio culturale come il teatro Franco Parenti, anziché interrogarsi sulla opportunità di esporre la bandiera palestinese. Ritengo molto grave aprire un dibattito del genere. Ho un’esperienza di amministratore comunale, avendo occupato i banchi del consiglio comunale di Milano per quattro anni, e credo che un consiglio comunale debba occuparsi della buona amministrazione della città, non di questioni che attengono alla politica internazionale, di esclusiva competenza del governo del paese.
Quali altre iniziative sono in programma?
Dalla nascita dell’associazione “Setteottobre” non si è mai fermata e anche adesso stiamo già progettando nuove iniziative, anche molto importanti. Al momento giusto le comunicheremo.
Per seguire l’incontro in diretta
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