Penso sia servito per consentire all’Italia la penetrazione del commercio e dell’industria italiana in quell’area. L’ENI per esempio ha fatto accordi nella zona proprio in quegli anni. C’era una fetta di mercato arabo da da conquistare e sviluppare, e bisogna dire che da questo punto di vista la politica estera e commerciale italiana ottiene dei successi in quegli anni. Gli Stati arabi già in questi anni iniziano a parlare di energia alternativa al petrolio, anticipando questioni che ci troviamo ad affrontare oggi.
Veniamo adesso all’attentato al Tempio maggiore del 1982. Nei suoi studi si è occupata anche di questo fatto?
Si. A dire la verità, gli articoli pubblicati su “Il Rifomista”, a firma del giornalista Davide Romoli, sono nati da documenti che ho trovato io, e che all’inizio non ho voluto pubblicare a mio nome, per non dare adito al sospetto che fossero carte “di parte”, visto che sono ebrea. Invece volevo che fossero i documenti a parlare in sé, e che no apparissero di parte.
Secondo lei, qual è stato il livello di coinvolgimento dell’Italia nell’attentato del 9 ottobre 1982?
Partiamo da un dato: le note informative dei servizi segreti che avvertono di un probabile attentato sono moltissime. I soggetti a cui quegli avvisi sono stati indirizzati sono molti. A me tutto ciò sembra chiaro.
Cosa intende?
Le informative erano dirette sia alle autorità di sicurezza che ai ministri. Il fascicolo da cui ho estrapolato i cinque documenti finora pubblicati, per esempio, ne contiene oltre 200.
Che idea si è fatta del grado di consapevolezza delle autorità italiane?
Posso dire che si sapeva con certezza che le nostre autorità sapevano che ci sarebbe stato l’attentato.
Pensa che lo Stato italiano abbia voluto consentire l’attentato?
Non credo questo. Spero in ogni caso che indaghi ora la procura. Sul piano storico, tuttavia, voglio credere che non ci sia stata una piena consapevolezza. Non dimentichiamo che c’erano state grandi stragi in Italia, come a alla stazione di Bologna due anni prima (e che c’era aperta la questione del Libano). Detto questo, è possibile che i nostri servizi, pur sapendo dell’attentato, abbiano pensato a qualcosa di diverso. Credo cioè che non avessero avuto piena cognizione dell’obiettivo. In questo c’è stata certo una negligenza, anche se non una volontà premeditata. Io resto però convinta che le nostre autorità sapessero dell’attentato, ma che avessero sottovalutato la gravità.
Tornerà ancora sulla questione?
Certo. Altri articoli sono in corso di pubblicazione. Anche se non è facile pubblicare su questo argomento.
Perché?
Non so. Spero di riuscire presto a pubblicarne uno nuovo, in cui potrò essere più precisa nel datare l’inizio del lodo Moro, nonché indicare i soggetti che ne furono protagonisti, o spettatori. Si tratta di una questione storico-politica ancora aperta, una ferita nella politica italiana che richiede a distanza di anni di essere finalmente compresa nella sua totalità. Sarebbe importante una maggiore apertura delle carte e un più facile accesso alla documentazione ancora oggi segreta.
La nostra comunità ha espresso la volontà di far riaprire le indagini sull’attentato del 9 ottobre.
Mi fa piacere. Anche se finora mi pare si sia deciso di affidarsi solo a dei legali. Mi auguro ci sia un allargamento dell’indagine anche a un piano storico, che renda più completo il quadro.
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