“La città senza ebrei” di Hugo Bettauer
All’inizio del Novecento uno scrittore immagina uno Stato in cui gli ebrei vengono espulsi. Il finale del romanzo, molto diverso dalla realtà tragica del Novecento, mostra l’importanza della presenza ebraica nel mondo
Fino al 1867, a Vienna la presenza ebraica era contingentata. Solo in quell’anno, infatti, una nuova legislazione sancì l’uguaglianza dei diritti civili e molti ebrei, specialmente provenienti dall’est, si stabilirono in città. Questa, che a metà del secolo contava circa 200 famiglie ebraiche, arrivò alla fine dello stesso, a contare 100.000 cittadini ebrei. Alla fine della guerra, nel 1919, essi erano raddoppiati e la loro rapida ascesa, tanto numerica che economico e sociale, era tanto mal tollerata che negli ambienti cristiano-sociali venne ventilata l’ipotesi di un’anagrafe ebraica e di un allontanamento dalla capitale di coloro che vi erano immigrati dopo il 1914. Non se ne fece niente, ma a dimostrazione che il clima incominciava seriamente a diventare difficile, in un lungo intervento presso l’Assemblea Costituente nel 1920, Leopold Kunschak, un autorevole dirigente dei lavoratori, arrivò a chiedere l’espulsione degli ebrei o, almeno, un loro internamento.
In questo clima, nel 1922 Hugo Bettauer (1872-1925) scrisse il romanzo “La città senza ebrei” (riproposto in Italia da Chiarelettere) che ebbe immediatamente una rilevante successo e risonanza tanto che, due anni dopo, venne anche trasposto in un omonimo film muto diretto da Hans Karl Breslauer (seppure non perfettamente aderente al testo). Il film si può trovare qui: https://www.youtube.com/watch?v=hcX3VWkXLjA
Scrittore, giornalista e corrispondente dall’Europa per periodici di New York, sceneggiatore, editore, Bettauer fu un intellettuale fuori dagli schemi, moderno, irriverente. Convinto assertore della possibilità di una pacifica convivenza fra le religioni e popoli e sempre un passo avanti nella borghese, chiusa e conservatrice città, venne assassinato da un giovane nazista che praticamente non pagò per il suo delitto.
Nato in un crescente clima antisemita questo libro, che già l’Autore aveva sottotitolato “un romanzo di dopodomani”, esplicita attraverso arguzie e paradossi il contesto in cui nacque il dramma della Shoà a venire.
La storia, che dunque voleva essere paradossale, si rivela premonitrice: “in una gremita conferenza stampa il Cancelliere Schwertfeger, facendo seguito a due anni di crisi economica e sociale, presenta una legge per decretare il bando degli ebrei dall’Austria. “… io sono un estimatore degli ebrei … sono pronto a riconoscere anzi ad ammirare le loro virtù connaturate … ciononostante, anzi proprio per questo … non possiamo vivere vicino e tra gli ebrei … noi ariani austriaci non siamo all’altezza degli ebrei, siamo dominati, oppressi, violentati da una piccola minoranza”.
L’espulsione provoca inizialmente una generale ebbrezza liberatoria: “al buonumore contribuisce la circostanza che con un colpo è sparita la difficoltà abitativa … si sono liberati quarantamila appartamenti abitati prima da ebrei”, ma in breve la società viennese interamente ariana entra in crisi e si ritrova a fare i conti con una sempre maggiore regressione economica: “… se non erano ebree [a comprare], ad aiutarci era comunque la concorrenza delle belle ebree. Se vestite con finezza ed eleganza le signore cristiane non volevano certo essere da meno nella buona società”; con tristezza sociale: “e sia, mettiamo in vetrina loden e flanella: l’ultima moda di Parigi!”; e con impoverimento culturale: “se si esclude l’Opera, nei teatri non c’è quasi più nulla … si è infatti scoperto che tutte le operette vecchie e nuove sono scritte o composte da ebrei”.
Desolazione e delusione incominciano a serpeggiare: “il Signor Cancelliere, più di due anni fa, quando ha presentato la sua legge antisemita ha definito la nostra popolazione onesta, semplice e leale … ma dov’è finito il commercio mitteleuropeo … non può certo vivere di solo lealtà e onestà, ha bisogno del consumatore ebreo internazionale …”.
Al montante malessere popolare viene in aiuto uno sfacciato quanto innamorato ebreo, finché a furor di popolo si riescono ad indire nuove elezioni e, affidandosi ad una nuova classe politica – il Partito dei cittadini attivi -, gli ebrei vengono autorizzati a rientrare in città!
La realtà avrebbe tragicamente smentito il lieto fine dell’abilissima satira letteraria, ma il libro risulta estremamente attuale per chi riesce a riconoscere fra le righe le parole e gli atti dei politici istrionici contro le minoranze e gli esclusi dei nostri giorni.