In tempi difficili, ebrei e cristiani continuino a parlarsi
Oggi si svolge la Giornata del dialogo ebraico-cristiano. Riflessi ha chiesto a monsignor Ambrogio Spreafico a che punto è il confronto che la guerra in corso ha reso a volte complicato
Monsignor Spreafico, la Comunità ebraica di Roma e il Vicariato di Roma hanno promosso per la stagione 2023/2024 un ciclo di incontri intitolato “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica”: quali sono le sue finalità?
Il progetto di queste conferenze è iniziato già lo scorso anno e coinvolge tutte le diocesi del Lazio, pensato dalla Commissione regionale per l’ecumenismo e il dialogo, con il sottoscritto e don Marco Gnavi e concordato con rav Riccardo Di Segni. L’aspetto interessante, e in qualche modo nuovo, è di fermarci insieme a riscoprire il valore della Bibbia Ebraica, il TANAK. Di questa comprensione c’è bisogno anche da parte cristiana, non leggendola immediatamente in relazione a Gesù Cristo, ma evidenziando il valore storico per il tempo in cui i testi sono stati scritti.
Nell’ultimo incontro tenuto, lo scorso 11 dicembre, lei ha dialogato con rav Ariel Di Porto sul tema “Il creato tra caos e armonia”. Oggi sembra in effetti che il caos provi a prevalere sull’armonia. Quali sono, a suo avviso, i temi comuni ad ebraismo e cristianesimo per avere fiducia nell’arrivo di tempi di maggiore armonia?
Credo che due tra i tanti temi comuni possono essere: 1. Nel racconto della creazione di Bereshit si evidenzia come Dio volle armonia nella differenza, realtà distinte che però permettono di vivere insieme e di considerare che ciò vale per tutti gli esseri viventi, quindi per noi umani nel rapporto con il creato in cui ci troviamo a vivere. Questo implica un impegno di dialogo tra noi e un’attitudine verso il creato che non può essere quella di padroni, ma di “custodi”; 2. L’armonia chiede un rapporto non violento verso il creato, così spesso oggetto di violenza e ingiustizia, e quindi l’impegno alla costruzione di un mondo pacifico, per evitare la fine del creato stesso.
La guerra in Ucraina è entrata nel secondo anno, mentre quella che si combatte a Gaza tra Israele ed Hamas ha già superato il terzo mese. Qual è la posizione espressa dalla Chiesa sull’attacco di Hamas del 7 ottobre a Israele?
Siamo purtroppo sempre più in un mondo violento e di guerre. Mi sembra che la posizione della Chiesa su quanto avvenuto il 7 ottobre nel sud di Israele sia stata espressa più volte sia da papa Francesco che dal presidente della CEI, il cardinale Zuppi. Ecco le parole del papa al Corpo diplomatico: “Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Palestina e Israele. Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio. Ripeto la mia condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo: in questo modo non si risolvono le questioni tra i popoli, anzi esse diventano più difficili, causando sofferenza per tutti”. E il Cardinale Zuppi ha ribadito la sua condanna di quanto avvenuto il 7 ottobre proprio durante l’Assemblea Generale dei vescovi italiani a novembre. È anche vero che la Chiesa e il Papa non cessano di chiedere che si arrivi immediatamente a un cessate il fuoco per la liberazione degli ostaggi israeliani e per soccorrere e proteggere la popolazione palestinese di Gaza. È chiaro che non si può non auspicare e impegnarsi che torni la pace lì e ovunque nel mondo.
Oggi in molte parti del mondo i cristiani sono soggetti a forti limitazioni, in alcuni casi a vere persecuzioni. Nel Medio Oriente, l’unico paese in cui il numero della popolazione cristiana è aumentata negli ultimi anni è Israele. Come giudica lo stato del dialogo tra cristianesimo e Islam?
La Chiesa Cattolica ha sempre cercato di tenere aperta la porta del Dialogo con tutti, anche con coloro che sembrano in genere più refrattari. Del resto, se vogliamo vivere insieme, si deve sempre cercare di aprire porte che permettano di ascoltarsi e parlarsi. Con la comunità di Sant’Egidio ho seguito le lunghe trattative del processo di pace in Mozambico, concluse con la firma della pace il 4 ottobre 1992 dopo anni di guerra. La pace richiede la pazienza del dialogo per tessere fila di relazione, ricostruire la fiducia tra persone che per anni si sono combattute e odiate.
Certo, non si può negare che oggi è un momento difficile per le situazioni oggettive di guerra, ma anche perché a volte troppo facilmente rinunciamo a percorrere la via del dialogo per le nostre chiusure e pregiudizi, e ovviamente anche per la fatica che questo richiede. Nel nostro Paese, ma in genere, il dialogo con l’Islam, pure nelle sue differenze, continua attraverso scambi, incontri, visite. Lo stesso papa Francesco nei suoi viaggi non manca di incontrare esponenti del mondo islamico. Ma anche a livello locale si cerca di favorire la possibilità di dialogare e compiere gesti che permettano una convivenza pacifica e fraterna. Il documento firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar Ahmad el Tayeb il 4 febbraio 2019 sulla “fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza comune” è certamente una tappa fondamentale di questa relazione.
Alcune dichiarazioni e prese di posizione all’interno della Chiesa cattolica hanno registrato la reazione dell’Assemblea rabbinica italiana. Qual è la posizione della Chiesa in merito al conflitto a Gaza, oggi?
Come ho detto, la ferma condanna di quanto avvenuto il 7 ottobre nel Sud di Israele ad opera di Hamas è stata ribadita più volte. E su questo non si può certo minimizzare né attenuare le responsabilità. Sì, a volte nella complessità delle differenti sensibilità dei cristiani alcune parole sembra abbiano messo in questione il fermo giudizio di condanna espresso dalla Chiesa. Certo la Chiesa Cattolica non può non richiamare quanto detto dal Papa ed essere preoccupata per la situazione difficile e sofferta che si è creata a Gaza, che si riversa sui civili ed ha conseguenze drammatiche sull’intera popolazione. Credo sia legittimo essere portatori di questa preoccupazione, condivisa dalla comunità internazionale.
Le tensioni che a volte si sono registrate, hanno inciso sulla Giornata del dialogo ebraico cristiano che si tiene ogni anno nel mese di gennaio?
Non potevano non incidere, ma, come ho ribadito più volte ad amici delle comunità ebraiche italiane, non si poteva rinunciare a una giornata che deve proprio portare alla mutua conoscenza e comprensione, come se il dialogo fraterno tra noi non fosse mai esistito e si potesse cancellare. Tra l’altro questa giornata esprime proprio quanto la Chiesa Cattolica dell’Italia tenga in considerazione il valore e la necessità di essere in una relazione fraterna con le comunità ebraiche, visto che è l’unica Chiesa cattolica di un Paese che la celebra da ben 35 anni!
Un altro strumento per rafforzare il dialogo tra ebraismo e cristianesimo è nato di recente: la rivista “Avinu”, diretta da Massimo Giuliani, in cui ebrei e cristiani scrivono in nome di un “padre comune”. Lei partecipa al comitato di redazione della rivista. Ci può descrivere le ragioni alla base del progetto?
Le ragioni nascono proprio della necessità di non far morire ogni strumento che renda possibile a cristiani ed ebrei che sono in Italia di condividere riflessioni e attenzioni che nutrano il nostro essere parte di un Paese, le cui radici si nutrono anche del patrimonio di fede e di cultura dell’ebraismo e del cristianesimo. Si tratta di una necessità di dialogo che soprattutto oggi si impone, ma anche della scelta di continuare a mantenere viva nel nostro Paese una cultura umana e spirituale che può solo arricchirlo.
Quest’anno il Giorno della Memoria cade in un momento in cui l’antisemitismo, a causa della guerra, sembra cresciuto: nelle scuole, nelle università, nei social. Qual è a suo avviso la risposta più adeguata a combattere il pregiudizio antiebraico?
La crescita dell’antisemitismo non solo è inaccettabile, ma purtroppo è lo specchio di un mondo che ha sempre bisogno di cercare una causa dei suoi malanni e delle cose che non vanno, invece di assumersi le proprie responsabilità e di impegnarsi personalmente ad affrontarle. Sono convinto che la risposta sia la conoscenza e l’educazione. Vedo tanta ignoranza e soprattutto la mancanza di vergogna e di ribellione davanti al dramma della Shoà. Vedo che tra gli insegnanti di religione cattolica, come tra molte altre realtà della Chiesa cattolica, ci si impeghi a “ricordare” quei tragici eventi e a renderli un monito per il presente. Ricordo solo che in tutte le città dove è presente la Comunità di Sant’Egidio, non solo in Italia, si ricorda ogni anno, in giorni appropriati secondo il luogo, la deportazione e lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale. Certo, non dobbiamo rinunciare a questo e siamo chiamati ad essere voce dei testimoni e sopravvissuti ancora rimasti tra noi!
Nel prossimo appuntamento del ciclo “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica”, il 12 febbraio, rav Benedetto Carucci Viterbi e il Rettore Armand Puig i Tarrech si confronteranno sul tema “Unità nella differenza”. A suo giudizio, cosa è necessario per rafforzare il dialogo tra ebrei e cristiani?
Forse dovremmo aiutarci reciprocamente e comprendere maggiormente che siamo necessari l’uno all’altro nella nostra innegabile differenza, ma anche in tutta quanto ci unisce, conoscendoci di più e chiedendoci qual è il significato dell’esistenza e della fede dell’altro per la nostra stessa esistenza, visto che siamo parte di un’unica grande famiglia umana. Come scrive rav Jonathan Sacks c’è sempre dignità e ricchezza nella differenza, e questa ognuno la deve scoprire e valorizzare per il suo particolare ed anche per il mondo.