Il successo di Primo Levi

Primo Levi LAB. A Torino, una casa è un libro appena uscito dall’editore Zamorani che motiva e contiene una proposta.

Ma cominciamo dall’inizio. Alla base di quel testo stanno quindici anni di esperienza del Centro Primo Levi di Torino e la chiara consapevolezza, raggiunta dopo molte verifiche, di quanto sia facile per lo scrittore entrare in relazione con i suoi numerosi pubblici: i ragazzi di età diverse, gli adulti di formazioni e di culture differenti, i lettori di paesi anche molto lontani.

Le ragioni sono molte. Fra le altre il suo essere una delle voci più limpide sulla Shoah – “un solista nel coro” recita il titolo di un paragrafo del libro -, che non pretende di dare ricette, ma ci interroga e ci richiama alle nostre responsabilità. Il fatto poi che la sua opera apre in mille direzioni diverse, che valicano allegramente i confini fra le discipline toccando questioni cruciali del mondo di oggi. E ancora la sua capacità di parlare a tutti grazie al talento del grande scrittore, che sa inventare ogni volta linguaggi originali, per raccontare lo sterminio, i buchi neri o le avventure di Tino Faussone, operaio montatore di strutture metalliche protagonista de La chiave a stella. Senza dimenticare che Levi è rispettato e ascoltato dai più giovani, perché a scuola non è mai stato imposto dai programmi, perché soprattutto loro da lui si sentono presi sul serio visto che li ha sempre considerati i suoi interlocutori principali.

Fabio Levi, storico, è presidente del Centro Internazionale di Studi Primo Levi

E veniamo ora alla proposta, che è quella di rendere quanto più concreta possibile la relazione fra Primo Levi e i suoi pubblici, creando un luogo fisico dove sia possibile incontrare la sua opera e il suo pensiero. Un luogo da costruire a Torino, la sua città, perché i visitatori possano respirare l’atmosfera in cui quell’opera è maturata. Un luogo dove siano possibili forme di interazione e di dialogo, che è il modo migliore per rendere quella relazione quanto più produttiva possibile, e per immaginare strumenti sempre nuovi e più capaci di rispondere alle esigenze degli interlocutori.

Accade spesso di poter visitare le case dei grandi personaggi del passato. Nel caso di Levi probabilmente la sua casa non sarebbe stata il luogo più adatto per rappresentarlo, perché la sua opera, oltre che in quelle stanze, si è formata in tanti laboratori diversi: quello della Facoltà di chimica in cui ha studiato, quello della BUNA di Auschwitz dove è stato internato o quello della SIVA di Settimo dove ha inventato vernici per tutta la sua vita lavorativa.

E’ dunque più opportuno pensare a una casa diversa, a un nuovo LAB, dove tutte quelle esperienze possano essere raccolte, e dove chi è interessato all’opera di Primo Levi possa lui stesso lavorare e mettersi alla prova.

2 risposte

  1. Ottimo articolo, chiaro ed interessante, conciso e propositivo, certamente efficace: fa sorgere nel lettore il desiderio di trovarsi già all’interno della “casa” a Torino, nel LAB dove sentirsi vicini a Primo Levi, guardarlo, conoscerlo, ammirarlo.

  2. Vorrei che fosse una ricostruzione dei suoi luoghi e non una interpretazione come spesso si è fatto con Primo Levi ma la famiglia veglia che ci sia rigore e ciò fa sperar bene

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