Il caso Mortara letto da vicino: ecco il Memoriale del bambino ebreo rapito dalla Chiesa

Marco Cassuto Morselli pubblica le pagine scritte da Edgardo Mortara, che rivivono una delle esperienze più dolorose dell’ebraismo italiano moderno

Marco, come è nato il progetto di pubblicare il Memoriale di Edgardo Mortara?

Morselli Marco
Marco Cassuto Morselli è scrittore e presidente dell’Associazione di amicizia ebraico-cristiana

L’anno scorso Rapito, il pluripremiato film di Marco Bellocchio, ha riportato all’attenzione internazionale il caso Mortara. Ci è sembrato opportuno riproporre il Memoriale che gli viene attribuito, e che in taluni ambienti è ritenuto presentare “la vera voce” di Edgardo. In realtà il Memoriale è un testo drammatico: nella dolorosa vicenda vissuta da Edgardo e dalla sua famiglia si incarna il dramma del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questa nuova edizione si propone di rileggere il testo tenendo conto dei sostanziali mutamenti che si sono prodotti nella Chiesa cattolica nei confronti dell’ebraismo. Molti dei giudizi formulati da don Mortara erano coerenti con l’insegnamento della Chiesa del suo tempo, che da secoli e secoli ribadiva la condanna del popolo ritenuto deicida e vedeva sé stessa come il nuovo Israele che si era sostituito a un vecchio Israele ormai decaduto. Ai lettori del Memoriale va ricordato che tali posizioni, come altre riguardanti la modernità in generale, non sono più sostenibili alla luce dei recenti sviluppi del Magistero.

il Memoriale è pubblicato da Marietti

È stato facile accedere al testo?

Negli archivi dei Canonici regolari lateranensi non è stato finora ritrovato il manoscritto autografo del 1888, né a Roma né a Oňate dove Mortara lo avrebbe scritto. Quello che abbiamo è un dattiloscritto redatto in spagnolo in terza persona, risalente agli anni ‘30 del secolo scorso, e forse anche a dopo. Questo solleva dubbi sull’autorialità del testo in nostro possesso, almeno in tutte le sue parti.

Che arco temporale occupano queste pagine?

Marianna Padovani tra i figli Riccardo ed Edgardo Mortara

Mortara ricorda il battesimo, il rapimento, gli anni di formazione nel collegio dei Canonici, fino alla decisione, difficile dire quanto libera, di non tornare in famiglia e di entrare nell’ordine religioso che lo aveva accolto. Dopo il 1870 egli viene mandato all’estero e, tranne un breve periodo, non farà più ritorno in patria. Predicherà in nove lingue, in Europa e in America, raccontando la storia del bambino ebreo salvato da Pio IX. Ma la vera voce del bambino rapito urlava dentro di lui e al ritorno da questi viaggi Edgardo/don Pio era costretto a letto in gravi crisi di prostrazione psico-fisica. La sua lunga vita si conclude in una canonica belga, pochi mesi prima dell’invasione nazista.

Paolo Pierobon (Pio IX) ed Enea Sala (il piccolo Edgardo) nel film di Marco Belloccchio “Rapito”

Quanto è attendibile il contenuto del Memoriale?

Le pagine del Memoriale devono essere lette con attenzione e messe a confronto con altre fonti. Va notato per esempio che il suo battesimo non può evidentemente basarsi su ricordi personali dal momento che all’epoca avrebbe avuto sei mesi, egli riporta quanto gli è stato raccontato da altri, e che in più punti differisce da quanto emerso durante il processo a padre Feletti, l’inquisitore di Bologna. Nel paragrafo La separazione avrebbe potuto ricordare il suo dramma di bambino strappato ai genitori, il loro dolore e la disperazione. Invece egli afferma che la Chiesa aveva il dovere e l’obbligo ineludibile di farsi carico dell’educazione religiosa del bambino. Scrive così: «Edgardo non ricorda di aver pianto molto» (dalle lettere della madre risulta che era disperato). Più avanti il ricordo è ancora più attenuato: «Nel momento più scottante della tragica e dolorosa separazione dei suoi genitori, egli non si lamenta, non piange, non oppone la minima resistenza».

il libro di Vittorio Messori

 In passato anche Vittorio Messori si era occupato di Edgardo Mortara e del suo Memoriale: che differenza c’è tra quella edizione e quella da te curata?

Nell’edizione italiana del 2005 (riproposta in traduzione americana nel 2017) tutta la problematicità e drammaticità di questo documento scompaiono, avvolte in un’atmosfera apologetica. L’antigiudaismo e antisemitismo presenti nel testo – il giovane Mortara aveva diligentemente imparato ciò che gli veniva insegnato – sono riportati senza la minima presa di distanza critica, e questo avviene 40 e 50 anni dopo Nostra Aetate. Il che fa riflettere sulla effettiva recezione degli insegnamenti conciliari, in settori non marginali della Chiesa cattolica.

Tu sei anche presidente dell’Amicizia ebraico cristiana. A proposito: di questi tempi come va il dialogo?

la rappresentazione del rapimento di Edgardo Mortara nella tela di Oppenheimer

Come è noto, stiamo attraversando tempi difficili. C’è chi ha parlato di mancanza di empatia, in molti prevale la delusione per il fatto che le Chiese non riescono a fare da argine all’odio ormai dilagante. L’antisionismo cristiano ha una storia quasi bimillenaria, a fronte di pochi decenni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato d’Israele. La sofferenza palestinese viene ascoltata dall’interno della Chiesa, non così la sofferenza israeliana. Il papa ha fatto sapere che parla tutte le sere con il parroco palestinese di Gaza, ma evidentemente non c’è nessun parroco israeliano con cui possa parlare. Quando ci si identifica con una delle parti si perde la capacità di svolgere una mediazione tra le parti.

Pensi che la lettura delle memorie di una figura così controversa possa aiutare il dialogo?

La famiglia Mortara del film “Rapito”

Ciò che aiuta il dialogo è l’affrontare le pagine dolorose della lunga storia delle relazioni ebraico-cristiane senza rinfocolare vecchie polemiche ma anche senza arroccarsi in anacronistiche apologie. Ebrei e cristiani non devono avere timore di ricercare insieme la verità storica. Inoltre con il Concilio Vaticano II e i documenti successivi sono stati enunciati alcuni punti fermi, sui quali non si torna indietro: si tratta di essere coerenti con quei principi. Nella Comunità ebraica di Roma sono ancora presenti memorie familiari del periodo del Ghetto, quando il rumore di una carrozza che entrava suscitava il terrore, porte e finestre venivano sbarrate e i bambini nascosti per evitare che fossero portati via. Nel Codice di diritto canonico è ancora presente il canone 868 §2: «Il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori». Elèna Mortara Di Veroli da anni porta avanti la sua battaglia perché tale canone venga abrogato.

E il mondo cattolico che ne pensa?

il libro di Elèna Mortara dedicato alla vicenda Mortara

Anche molti cattolici lo considerano un residuo del passato, di quando si sosteneva nulla salus extra Ecclesiam, una norma non più coerente con i principi di Nostra Aetate, con il riconoscimento che «la prima alleanza non è mai stata revocata» (Giovanni Paolo II, Magonza 1980) e con quanto affermato da Benedetto XVI nel 2018: «Una missione agli ebrei non è prevista e non è nemmeno necessaria. È vero, Cristo ha inviato i suoi discepoli in missione presso tutti i popoli e tutte le culture, per questo il mandato della missione è universale – con un’eccezione: la missione agli ebrei non era prevista e non era necessaria semplicemente perché solo loro, tra tutti i popoli, conoscevano il ‘Dio sconosciuto’».

La Chiesa ha espresso una posizione ufficiale sul rapimento di Edgardo Mortara?

Che don Franco Bergamin, abate generale dei Canonici regolari lateranensi, abbia accettato di scrivere una postfazione al volume, è evidentemente un fatto positivo. Egli tra l’altro scrive: «Decostruire l’antigiudaismo cristiano non costituisce un pericolo per il cristianesimo, ma, al contrario, è una via di purificazione da quel peccato che ha provocato molto dolore agli ebrei e all’ebraismo e, allo stesso tempo, ai cristiani e al cristianesimo, in quanto ha allontanato il cristianesimo dalle sue radici ebraiche […] Mi auguro di aver dato il mio piccolo contributo a quel lavoro di correzione dell’insegnamento del disprezzo che la Chiesa, con il Concilio Vaticano II e con i documenti successivi, ci ha chiamati a portare avanti con coraggio e determinazione».

 Per chi conosce la storia di Edgardo Mortara resta sempre il pensiero delle lacerazioni interiori che prima un bambino e poi un adulto, ha potuto vivere dopo essere stato rapito dalla sua famiglia. È possibile per il lettore comprendere questo stato d’animo attraverso la lettura del Memoriale?

un’immagine del Concilio Vaticano II (1962-1965)

Nella ricostruzione apologetica della vicenda, Edgardo è un bambino felice e don Pio un convinto predicatore e missionario. Nella realtà abbiamo un bambino disperato e un sacerdote combattuto tra l’amore per la famiglia, in particolare per la madre, e le verità di fede che gli erano state insegnate. È questo Edgardo/Pio che deve essere liberato dalla falsa immagine che è stata costruita su di lui, e restituito a tutta la sua drammatica complessità esistenziale e religiosa. Le verità che gli erano state insegnate non erano vere: gli ebrei non sono il popolo deicida, l’alleanza con Israele non è mai stata revocata, Yeshua/Gesù non è venuto per abolire la Torah e le miṣwot. Si riconosca che coloro che hanno allontanato un figlio d’Israele – Edgardo come tanti altri – dalla Torah d’Israele hanno sbagliato.

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