Dopo la sentenza della Corte costituzionale l’Italia non può più tirarsi indietro
Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale, commenta per Riflessi la recente sentenza della Corte costituzionale sui risarcimenti per crimini nazisti: ecco perché il ristoro dovrà essere tempestivo e integrale
Professor Scovazzi, la Corte costituzionale con la sentenza n. 159 del 2023 si è pronunciata sul divieto ex lege di aggredire direttamente i beni tedeschi in Italia per il risarcimento dei crimini nazifascisti commessi in Italia. Come giudica la pronuncia?
La sentenza va letta attentamente. Innanzitutto, conferma la precedente sentenza n. 238 del 2014 e cioè che non c’è immunità degli Stati per quanto riguarda i crimini di guerra e contro l’umanità. Aggiunge però che, per quanto riguarda il procedimento di esecuzione, vale un’altra regola di diritto internazionale, che distingue tra i beni che possono essere oggetto di esecuzione e quelli che, al contrario, non possono essere oggetto, perché destinati a fini pubblici; qui la Corte dà per acquisita questa regola e anche noi dobbiamo accettare la sentenza. In terzo luogo, la Corte afferma che ci deve essere un bilanciamento tra le esigenze della tutela giurisdizionale (articolo 24 della Costituzione), che valgono anche per il procedimento di esecuzione, e i vincoli internazionali dello Stato. Questo bilanciamento è costituito dal Fondo ristori, istituito con decreto-legge n. 36 del 2022. Il Fondo costituisce per la Corte un giusto bilanciamento tra le esigenze della tutela delle vittime di un crimine di guerra, e quelle dell’immunità degli Stati. Qui a mio parere c’è il “cuore” della sentenza, la parte più importante.
In cosa consiste?
Il punto centrale è quello in cui la Corte afferma che il creditore ha diritto di ricevere un pagamento pieno. Quello che il d.l. n. 36 chiama “ristoro” – espressione in realtà poco chiara – diventa ora un vero e proprio diritto a un pagamento pieno; sussiste quindi un diritto soggettivo pieno, senza condizioni, a ottenere il risarcimento del danno già liquidato dalla sentenza passata in giudicato. A pagare tale risarcimento è l’Italia, al posto della Germania.
Perché è così importante questo chiarimento?
Quello che ci dice la Corte costituzionale è che lo Stato italiano non può “giocare” sui ristori. Non è più possibile immaginare né un pagamento parziale né un pagamento ritardato. Ora sappiamo che occorre un pagamento integrale di quanto liquidato dalla sentenza.
C’era qualche dubbio al riguardo?
La mia impressione è che “il gioco” che la Corte intende evitare è quello di un pagamento, a conti fatti, parziale e ritardato. Ebbene, questo gioco viene ora escluso radicalmente dalla Corte costituzionale, perché se l’Italia non pagherà o pagherà in modo parziale andrà contro la sentenza n. 159 della Corte, che, ripeto, riconosce il diritto a un risarcimento integrale.
Lei vede una continuità fra quello che aveva detto la Corte nel 2014 e quello che ha affermato nel 2023?
La sentenza n. 238 del 2014 non affrontava il problema dell’esecuzione, si limitava ad affermare che non vi era immunità della Germania davanti al giudice di cognizione. Nel 2023 la Corte ha invece affrontato se fosse possibile avviare l’esecuzione sui beni di uno Stato. È ovvio, ad esempio, che se c’è una nave da guerra tedesca in un porto italiano non si può fare un’esecuzione su quella nave. Direi, tutto sommato, che le sentenze si occupano di due aspetti diversi della stessa vicenda. Semmai, ho notato una certa difformità tra quello che dice la Corte e quando affermato dal legislatore con il d.l. n. 36 del 2022.
E cioè?
Per la Corte il d.l. n. 36 del 2022 è in continuità con gli Accordi di Bonn del 1961 (con cui la Germania aveva pagato 40 milioni di marchi all’Italia per rifondere le vittime di guerra, n.d.r.). Tuttavia, gli accordi di Bonn sono due. Ebbene, mentre per la Corte il Fondo ristori si giustifica in base all’Accordo per gli indennizzi a favore dei cittadini italiani “colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste”, se si legge il d.l. n. 36 si vede che, invece per il Governo e, poi, il Parlamento la giustificazione del Fondo sta proprio nell’altro Accordo, relativo “alle questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario”. Insomma, sembra esserci una difformità, che non mi so spiegare, tra quello che sostiene la Corte e quello che aveva sostenuto il legislatore. Anche perché l’Accordo citato dalla Corte parla di risarcimento per cittadini italiani vittime dei nazisti “per ragione di razza, fede o ideologia”, mentre sappiamo che la maggior parte degli italiani furono deportati perché alla Germania serviva forza lavoro.
Torniamo alla questione dei risarcimenti. Il Fondo è capiente per 61 milioni. Se la somma dovesse dimostrarsi insufficiente, secondo lei ci sarebbe l’obbligo da parte dello Stato di aggiungere nuove risorse?
Mi sembra di sì. Se infatti la sentenza n. 159 riconosce al creditore un diritto pieno e non condizionato da fattori esterni, il risarcimento non deve essere condizionato alla capienza del Fondo: se il Fondo diventa incapiente deve essere integrato. Tenga infatti conto inoltre che il risarcimento va liquidato entro 180 giorni dalla domanda: poiché le domande non possono essere presentate tutto lo stesso giorno (dipendono infatti dal momento in cui si ottiene una sentenza che accerta il diritto a ottenere il ristoro), è da escludere che l’Italia possa applicare il criterio “primo arrivato o meglio servito”, ossia che si risarciscano i primi e poi gli ultimi rimangano senza nulla: questo, ripeto, andrebbe contro la sentenza della Corte costituzionale. Questa fa sì che un risarcimento negato da parte dalla Germania non possa essere sostituito da un risarcimento ritardato e incerto da parte dell’Italia.
Quindi da adesso non ci saranno problemi a liquidare i risarcimenti?
Non è detto.
Perché?
Mi limito ad osservare quello che è accaduto finora. Il d.l. n. 36 prevedeva che l’Italia adottasse un decreto attuativo per liquidare i danni entro 180 giorni, cioè entro il 28 ottobre 2022. Di fatto il Governo lo ha adottato il 28 giugno 2023 (in Gazzetta Ufficiale il 1° luglio 2023), ossia con 246 giorni di ritardo sui 180 previsti. Cosa vuol dire questo? Che forse si tende a ritardare il risarcimento? Non solo. Se si va a leggere il decreto attuativo, ci si accorge che ancora oggi non possono essere presentate le domande, perché si attende un modello da compilare, che deve essere emanato dal Ministero dell’economia e che sarà pubblicato sul sito di tale ministero. Se la vicenda non fosse tragicamente dolorosa, avremmo qui un aspetto farsesco: 426 giorni non sono stati sufficienti per fare un modulo! Quindi: la legge rinvia a un decreto, che a sua volta rinvia a un modello, che ancora non c’è. Il timore è che vi sia un ritardo di tutto l’iter sine die.
Nell’intervista rilasciata a “Riflessi” all’indomani della istituzione del Fondo, lei aveva espresso molte critiche su tale meccanismo. Mantiene ancora le sue perplessità?
Avevo espresso molti dubbi sul sistema messo a punto dal legislatore proprio perché il rischio era quello del “primo arrivato meglio servito”. Oggi, come interpretato dalla sentenza dalla Corte, credo però che il Fondo possa funzionare in modo adeguato. È chiaro infatti ormai che i creditori non possono più essere “lasciati a mani vuote” dall’Italia, e che dovranno avere un risarcimento integrale; la sentenza elimina alcune perplessità, esclude che si possano verificare risultati “strani”, come un esaurimento del Fondo è esaurito o una “gara” tra creditori a chi arriva per primo. Sarebbe ora assurdo che lo Stato trovasse il modo per negare ancora il diritto delle vittime a essere liquidati.
Da quel che si capisce dai processi in corso per ottenere la condanna della Germania, sentenza necessaria per poi accedere al Fondo, sembra che lo Stato si opponga in più modi. Come giudica questa linea?
È chiaro nella sostanza il desiderio dello Stato di pagare il meno possibile, anche se non lo può dire; quindi, cerca di trovare alcuni motivi per non adempiere. Non entro nella questione delle eccezioni formali, come il difetto di notifica, che non dovrebbero costituire ostacoli insormontabili. Mi preoccupa semmai l’eccezione di prescrizione del diritto. L’Italia, infatti, non ha mai ratificato la Convenzione sulla non applicabilità di limiti di prescrizione ai crimini di guerra e crimini contro l’umanità, adottata in sede di Nazioni Unite nel 1968. Certo, si può anche rinunciare alla prescrizione, però mi pare di capire che lo Stato italiano non ne abbia intenzione. Quindi, per superare tale eccezione, occorre sostenere che, in base al diritto internazionale generale, i crimini di guerra e contro l’umanità sono imprescrittibili.
Le segnalo una notizia di pochi giorni fa: la Commissione affari costituzionali del Senato all’unanimità ha scritto una lettera di protesta ufficiale al Mef perché non ha ancora risposto alla richiesta di informazioni su come stessero andando i giudizi civili in corso.
Come ho già indicato prima, inerzie e ritardi possono costituire un grave problema in questa vicenda.
Un’ultima domanda. Alla base del Fondo c’è la scelta fatta dallo Stato italiano, di pagare i danni per crimini commessi dalla Germania. Ci troviamo di fronte a una “ragion di Stato” che rischia di deludere il diritto delle vittime?
Il meccanismo del Fondo non mi sorprende. Penso si debba tenere conto della realtà. È un dato di fatto che la guerra è stata iniziata dall’Italia a fianco della Germania nazista fino al 1943, condividendone le politiche aggressive: quindi una responsabilità morale per quanto avvenuto c’è anche da parte dell’Italia. Non sono perciò colpito dal fatto che l’Italia figuri, nello stesso tempo, come vittima e responsabile e risarcisca dei danni estremamente gravi subiti da italiani e causati dalla Germania, perché c’è una corresponsabilità, almeno fino al 1943. Non solo. Io penso che l’Italia debba pienamente pagare per i crimini di guerra che gli italiani hanno commesso in altri paesi: ad esempio, in Grecia, nella ex-Jugoslavia, in Etiopia. Ogni Stato che commette crimini che ledono un individuo ha una responsabilità ed è quindi tempo che tutte le vittime della follia degli Stati rimaste senza risarcimento abbiano giustizia. Non è questione di Italia o di Germania, ma di un modo corretto di intendere il rapporto tra Stato e individuo.
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