Definire l’antisemitismo

A Pisa un incontro per capire la relazione tra antisemitismo e antisionismo: ne abbiamo parlato con una dei curatori

Professoressa Ferrara degli Uberti, quali sono le ragioni di questo primo incontro organizzato dall’Università di Pisa su antisionismo e antisemitismo?

Carola Ferrara Degli Uberti, dopo 6 anni in Inghilterra, insegna oggi all’Università di Pisa

Si tratta di un ciclo che proseguirà poi il 30 aprile, organizzato da me e dal prof. Arturo Marzano, principalmente perché ci sembra che in Italia finora si sia sempre parlato molto poco di questi temi e in generale dei tentativi di definire che cos’è l’antisemitismo, nonché dei possibili vantaggi ma anche dei possibili rischi insiti nell’adozione di una definizione standard di antisemitismo. La definizione dell’IHRA, che è stata adottata da governi e parlamenti e anche dal governo italiano, nonché da diverse istituzioni accademiche, non ha suscitato in Italia lo stesso vivace dibattito che si è sviluppato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Ci è sembrato che nel nostro paese la ricezione della dichiarazione IHRA stia avvenendo in modo statico, senza dibattito pubblico, se non all’interno di cerchie molto ristrette di studiosi/e.

Quali rischi si corrono in tal modo?

Bucarest, 2016: l’IHRA approva la dichiarazione contro l’antisemtismo

Il tema della definizione di cosa sia l’antisemitismo è cruciale. Anche l’università di Pisa ha adottato la definizione IHRA nel gennaio 2019 ma, come dicevo, senza che ci sia stato un dibattito né all’interno del corpo docente né all’interno del corpo studentesco. È per questo che abbiamo pensato di organizzare due incontri, rivolti principalmente agli studenti, proprio perché possano essere introdotti a questo argomento che è estremamente complesso, ma naturalmente che aperti a colleghi, colleghe, e speriamo anche a un pubblico più ampio.

Come si svolgeranno i due incontri?

Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC, sarà uno dei partecipanti alla tavola rotonda

Hanno caratteristiche diverse. Il primo incontro, che si terrà domani, giovedì 16 febbraio, è una tavola rotonda, quindi non è strutturato come un convegno, con relazioni lunghe, ma come una conversazione fra studiosi. Il nostro intento è mettere a confronto opinioni anche molto diverse sulla questione, a partire da un giudizio sulle definizioni di antisemitismo date da due testi: la definizione dell’IHRA e la JDA (Jewish Declaration on Antisemitism, n.d.r.). Una volta introdotto il tema, seguirà una conversazione in cui si confronteranno i nostri interlocutori, partendo come detto da posizioni diverse. Il secondo incontro si terrà invece il 30 marzo con altre caratteristiche, perché ospiteremo il prof. Seth Anziska, che insegna alla UCL (University College London, n.d.r.), uno studioso molto importante che ha pubblicato un volume fondamentale “Preventing Palestine. A Political History from Camp David to Oslo” (Princeton University Press, 2018) e ha partecipato credo a quasi tutti i dibattiti sul tema delle definizioni di antisemitismo che si sono svolti nel Regno unito, negli Stati Uniti e in Israele. Anziska è uno degli estensori della JDA; è stato anche il presidente coordinatore del working Group nominato dall’Academic Board della UCL proprio sul tema dell’antisemitismo e del razzismo e quindi è una persona con una grandissima esperienza. A Pisa terrà una lezione cui seguirà un dibattito.

Seth Anziska

Come è stato scelto il panel di interventi di domani?

Pensiamo che sia un fattore di interesse far dialogare interlocutori con idee e competenze diverse, pur restando nell’ambito degli specialisti del tema.

Significa che non tutti sono d’accordo sulla dichiarazione IHRA di antisemitismo?

Nel dibattito accademico c’è chi è contrario a un’adozione di quella definizione perché la ritiene troppo limitativa del dibattito e del diritto di critica. In primo luogo si teme che, come accaduto già in diverse occasioni negli USA e nel Regno Unito, la definizione venga evocata strumentalmente per bloccare il dibattito su alcuni temi difficili e controversi, che almeno nelle università dovrebbe rimanere il più possibile aperto. Al contrario, c’è chi difende la dichiarazione IHRA perché ritiene che allo stato delle cose sia la più utile a fare chiarezza, e dunque ne sostiene una sua adozione massiccia e generalizzata. Dobbiamo anche considerare che gli ambiti accademico e scolastico, che ruotano intorno alla formazione, hanno caratteristiche particolari che vanno tutelate.

Senza voler anticipare la discussione di domani, possiamo provare a tracciare una differenza fra antisemitismo e antisionismo?

la sede UCL, a Londra

Si tratta di due concetti molto diversi, ma spesso con confini difficili da tracciare. Sappiamo infatti che se è legittimo criticare Israele, spesso dietro certe critiche si nascondono forme di antisemitismo. È appunto per tracciare una differenza, che si è cercato di intervenire con le definizioni di IHRA e JDA. Nel nostro incontro vorremmo discutere questa differenza. Direi che sicuramente parliamo di antisemitismo quando ci troviamo davanti ad atti o azioni ostili, che colpiscono gli ebrei in quanto tali, andando quindi oltre la critica a Israele, a prescindere che la critica parta da sinistra o da destra. L’antisemitismo colpisce con atti o parole persone che vengono identificate, a torto o a ragione, come appartenenti all’ebraismo. Mi rendo conto che è una definizione forse non sufficientemente determinata, che resta necessariamente varia, e questo è uno dei termini della questione che proveremo ad esaminare. Una confusione di base nasce spesso dalla frettolosità con cui si sovrappongono, talora anche in interventi pubblici, ‘ebreo’ e ‘israeliano’, come se si trattasse della stessa cosa.

Queste forme velate di antisionismo e antisemitismo che si nascondono spesso in una critica radicale a Israele hanno un orientamento politico determinato?

Direi che sicuramente c’è una tradizione che viene da sinistra o da una certa sinistra, che appunto utilizza delle argomentazioni antisioniste e antiisraeliane anche molto virulente e in cui si rischia talvolta di varcare il confine fra l’antisionismo, la critica legittima Israele e l’antisemitismo. Ciò però non vuol dire che questo tipo di operazioni appartenga solamente a una certa sinistra. C’è infatti una dimensione trasversale del fenomeno che ha radici complesse.

Torniamo all’interno dell’università. Il fenomeno del BDS trova spazio soprattutto nel mondo anglosassone; a lei risulta che c’è un’espansione del BDS nel mondo accademico?

l’università di Pisa

Io oggi sono incardinata presso l’università di Pisa, ma ho insegnato per sei anni a Londra e quindi vengo da quell’esperienza in cui sicuramente la situazione è molto diversa rispetto a quella italiana. All’interno dell’università nella quale ho insegnato c’è stato un dibattito molto acceso, sia all’interno del corpo docente, sia all’interno del corpo studentesco, sulla questione della possibile adozione della definizione IHRA da parte dell’ateneo, un dibattito durato mesi presso l’equivalente del nostro Senato accademico, che ha visto il coinvolgimento di tantissimi colleghi ma anche degli studenti e delle associazioni studentesche. Fra i punti caldi della discussione c’era anche il diverso giudizio sul movimento BDS da parte della definizione IHRA e della JDA.

Qual è la situazione in Italia al riguardo?

Quello che registro in Italia è sostanzialmente un generale silenzio, la mancanza di dibattito pressoché totale, se non all’interno di ristrettissime cerchie di studiosi, interessati per via della loro attività di ricerca, divulgazione e insegnamento. Tutto ciò mi sembra molto limitante, perché in realtà questi temi toccano tutti e tutte noi. Questa è una differenza che vedo profondissima con la mia esperienza britannica.

Come se lo spiega?

In Inghilterra la soglia dell’attenzione, tra i colleghi e gli studenti, è alta; si parla in tanti modi, più o meno utili, dell’antisemitismo. Si registrano incidenti ed episodi di antisemitismo, con denunce da parte di alcuni studenti ebrei che lamentano episodi in cui ritengono di essere stati fatti oggetto di battute o di attacchi verbali. Tutto questo genera un dibattito ampio all’interno di associazioni studentesche e nei colloqui con i docenti, risalendo fino alle più alte cariche dell’ateneo, e si tratta di un dibattito che non è solo teorico ma mira a cambiare la sensibilità, le prassi, le regole dell’interazione. In Italia questo non accade. Di recente ho parlato con la consigliera di fiducia dell’università di Pisa perché ero interessata a capire se – da quando in particolare l’università di Pisa ha adottato la definizione IHRA – si fossero registrati episodi ostili, e se fossero stati denunciati; ma ho saputo che in tutto il periodo in cui lei ha ricoperto questo ruolo non si è mai trovata di fronte a denunce di episodi di antisemitismo, e che non era a conoscenza dello strumento rappresentato dalla definizione. Questo mi ha colpito molto.

gli stadi sono uno dei luoghi in cui maggiori sono i casi di antisemitismo

Non dovrebbe essere un buon segnale?

Il fatto è che purtroppo non possiamo dire che l’antisemitismo a Pisa, o all’interno dell’ateneo, non ci sia; sarebbe bello che questa fosse la realtà, ma temo che le cose stiano differentemente. Nelle grandi università britanniche – come del resto in quelle americane – sia il corpo docente che il corpo studentesco sono molto variegati e l’attenzione al tema delle differenze e dei potenziali conflitti è altissima. Inoltre sono presenti le associazioni studentesche ebraiche e palestinesi, che animano il dibattito e fanno emergere in maniera dirompente i punti di frizione. In Italia questo manca, il che genera una falsa percezione di omogeneità culturale e religiosa – non solo nell’accademia o nella scuola, ma nella società in generale – che rende pigri e fa sottovalutare i problemi. Si tende così a dare per scontato che più o meno si sia tutti “dalla stessa parte”, perché gli studenti sono quasi tutti bianchi, italiani e cresciuti in una qualche forma di cattolicesimo e la differenza che salta agli occhi – o meglio alle orecchie – è al massimo la diversa provenienza regionale. Insomma, è la realtà locale che alimenta una mancanza di consapevolezza dell’esistenza di forme diverse di identità. Tuttavia, come ci mostrano anche i dati più recenti, non siamo affatto una società immune dal pregiudizio antisemita o dal razzismo.  Il dibattito che avremo domani vuole appunto aprire la strada a una riflessione più ampia.

L’incontro all’Università di Pisa si svolgerà giovedì 16 febbraio alle 11.

Per ogni informazione: clicca qui

Per seguire l’incontro: clicca qui

2 risposte

  1. poco concreto…l articolo dovrebbe prima brevemente segnalare le definizioni IHRA e JDA…..Poi dare foto delle posizioni..e del degrado antisemita e o antisionista in Uk ..o Europa..
    infine dare giudizi.

  2. Un articolo positivo, non soltanto per le informazioni che fornisce e per le riflessioni che suggerisce ma perchè pone in risalto la assenza rilevante di un dibattito, di un confronto, di un esame condiviso dei temi dell’antisemitismo e dell’antisionismo all’interno del mondo universitario italiano, sia nel corpo docente che tra gli studenti.
    È molto grave – e comunque significativo – che questi ultimi riservino scarsa ed irrilevante attenzione a tali tematiche, che invece risultano essenziali in un percorso di formazione ed affinamento dei propri ideali, della propria cultura, della propria sensibilità umana.
    Ben vengano, quindi, i convegni, le tavole rotonde, i seminari, occasioni insostituibili per apprendere, per ragionare e per bene agire.

Rispondi a daniele Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter