Dalla guerra di Gaza Israele sta ottenendo solo incertezze

Janiki Cingoli, decano del giornalismo italiano, spiega a Riflessi la situazione politica e militare a oltre sei mesi dall’inizio della guerra più lunga combattuta da Israele

Qual è la situazione sul campo oggi a Gaza?

Janiki Cingoli, già Presidente CIPMO (Centro Italiano Pace in Medio Oriente), è analista Huffington Post, esperto Medio Oriente.

Non mi sembra variata granché rispetto ad alcune settimane fa, quando l’avevo definita una guerra di attrito. Attualmente le brigate dell’esercito israeliane impegnate a Gaza sono due e mezza, quindi una ridotta presenza militare, concentrata particolarmente nell’area di Khan Yunis, con operazioni rivolte a eliminare le sacche di resistenza di Hamas (rilevante in particolare quella rivolta all’ospedale di Al Shifa, dove sono stati uccisi o arrestati centinaia di miliziani che vi si erano nuovamente rifugiati), e anche per impedire che Hamas torni ad infiltrarsi nel nord di Gaza. Quanto a Rafah, le operazioni durante il periodo del Ramadan sono state minime, ad eccezione del grave incidente occorso nei confronti degli operatori della ong WCK. [l’intervista è stata redatta alla vigilia del ritiro di Idf dal sud di Gaza, n.d.r.]
La risoluzione dell’ONU, votata alcuni giorni fa con l’astensione degli Stati Uniti, che imponeva un cessate il fuoco a Israele, contestualmente alla liberazione degli ostaggi, ha avuto effetti sulle scelte del governo israeliano?

Gli Usa si sono astenuti nel voto per la risoluzione Onu sul cessate il fuoco a Gaza

La risoluzione è stato chiaramente un segnale inviato a Israele, ma occorre tener presente che essa richiedeva un cessate al fuoco per il periodo del Ramadan, cioè fino a domani. Sostanzialmente aveva l’obiettivo di impedire un aumento imprevedibile dell’escalation militare durante questo mese, che in effetti è trascorso senza grandi operazioni militari, ad eccezione dei casi che indicavo prima, e fortunatamente anche senza gravi incidenti sulla
Spianata delle Moschee a Gerusalemme. Naturalmente, oltre alla risoluzione, ha contato molto la pressione crescente degli Stati Uniti verso Netanyahu. La scorsa settimana i media israeliani e americani hanno dato conto di una telefonata intercorsa tra Biden e Netanyahu, in cui il primo ha minacciato la possibilità concreta di cambiare le politiche dell’amministrazione USA nei confronti di Israele, nel caso in cui questo non avesse preso misure immediate, verificabili e operative a favore della popolazione civile di Gaza. L’effetto è stato la convocazione del Consiglio di Gabinetto, organismo più allargato rispetto a quello di Guerra,
che ha deliberato di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire un maggiore afflusso di beni, e di fare di tutto per evitare ulteriori incidenti.
La situazione della assistenza alla popolazione civile di Gaza è così migliorata?

la scorsa settimana 7 volontari delal ONG World Central Kitchen sono stati uccisi dall’esercito israeliano. Idf ha riconosciuto l’errore, destituendo 2 ufficiali

Mi sembra che resti intatta la questione dei una distribuzione efficiente dei beni alimentari, come dimostrato anche dei tragici incidenti accaduti nel corso della distribuzione del cibo alla popolazione, con oltre cento morti e feriti nella calca. Israele non vuole provvedere direttamente alla distribuzione del cibo, e i clan locali sono stati più volte minacciati da Hamas, che in alcuni casi è arrivata anche a uccidere dei loro capi. Quanto all’UNRWA, Israele ha più volte manifestato la sua totale sfiducia nei confronti di tale organizzazione.
Una delle accuse che viene mossa ad Israele e di voler affamare di fatto la popolazione di Gaza quasi provocando una carestia, come forma di pressione nei confronti di Hamas per la liberazione degli ostaggi.

aiuti umanitari ai confini di Gaza

Direi che l’atteggiamento di Israele in questi mesi di guerra è stato ondivago. Vi sono stati miglioramenti nei quantitativi affluiti, ma si sono registrate anche una serie di distorsioni e di incongruenze, che sono culminate con gli incidenti cui mi riferivo prima. La gestione e la distribuzione degli aiuti alimentari non è certo risolta e non credo che lo sarà a breve.
Perché?
È un problema collegato a quello di chi si deve far carico dell’amministrazione civile di Gaza. Il problema è se sia opportuno o meno utilizzare quelle migliaia di persone che costituiscono i quadri impiegatizi a Gaza e che oggi di fatto sono nell’impossibilità di lavorare. È possibile fare affidamento sugli impiegati civili, i medici, gli infermieri, le levatrici, e sulle stesse forze di polizia locale, che operavano a Gaza prima del 7 ottobre? È evidente infatti che non è in alcun modo pensabile una totale sostituzione di tale personale con altro di fiducia. A Gaza vi erano 50.000 impiegati di Hamas, più altri 40.000 che dopo il colpo di Stato del 2007 hanno continuato ad essere pagati dall’Autorità Palestinese pur senza recarsi al lavoro, e che potrebbero essere lo scheletro di una nuova amministrazione civile, con le necessarie scremature. Fino adesso Israele ha mostrato più volte di non riuscire a fare una netta distinzione fra personale civile e personale militare, la conseguenza è l’enorme difficoltà a gestire la distribuzione degli aiuti a Gaza ed in prospettiva di assicurare la sua amministrazione locale.

i funerali dei militari iraniani uccisi nel consolato a Beirut la scorsa settimana

Dopo l’attacco al consolato iraniano di Beirut della scorsa settimana, pur non rivendicato
da Israele, ma attribuito con certezza allo Stato ebraico, quanto è probabile un’estensione
del conflitto?
Certo si tratta di un ennesimo atto di “guerra in mezzo alle guerre” (war between the wars). Esso fa seguito a una serie d’altre azioni molto penetranti, come l’uccisione di scienziati iraniani, o il boicottaggio delle strutture di ricerca iraniane. che hanno caratterizzano da anni il rapporto fra Israele e l’Iran. Il problema è che stavolta l’attacco è avvenuto ad una sede diplomatica, quindi giuridicamente in territorio iraniano. Si tratta da questo punto di vista di un salto di qualità. Da giorni le ambasciate israeliane di tutto il mondo sono in massima allerta, e per alcuni giorni sono rimaste chiuse. È difficile al momento prevedere se e quale sarà la reazione della Repubblica islamica. Né può escludersi una rappresaglia nei confronti di basi americane in Iraq e in Siria, o un allargamento del conflitto con Hezbollah.

miliziani di Hezbollah

Come giudichi la strategia militare di Israele fino a questo punto?
Non si comprende bene la sua logica complessiva. L’obbiettivo di una vittoria totale su Hamas,
sbandierato da Netanyahu, è chiaramente irraggiungibile. L’organizzazione islamica ha mantenuto almeno i due terzi dei suoi effettivi militari sui 30.000 stimati, ma li ha dispersi in piccole cellule terroristiche conducendo azioni di guerriglia mirate. Le perdite israeliane dopo il 7 ottobre ammontano oramai a 600 caduti. I capi di Hamas si nascondano nel dedalo dei tunnel, ben protetti dallo scudo degli ostaggi. L’altissimo numero delle vittime palestinesi, oltre 32.000, per circa i due terzi civili, ha isolato Israele nel mondo, facendo impallidire il ricordo degli orrori del 7 ottobre. Lo stesso rapporto con gli USA si è deteriorato, a cominciare da quello con Biden. Tra gli ultimi episodi, l’annullamento, dopo l’approvazione della risoluzione al Consiglio di Sicurezza, della missione di esperti israeliani a Washington per discutere della possibile operazione a Rafah, che poi invece è stata riconfermata. Ma i rappresentanti americani hanno decisamente ribadito la loro contrarietà, per la mancanza di garanzie per la popolazione civile, ed anche per il rischio di deterioramento delle relazioni con l’Egitto. In sintesi, quella israeliana mi pare una tatticalizzazione della strategia, manca un orizzonte politico complessivo, e soprattutto una riflessione sul day after il conflitto, su come sarà possibile gestire Gaza, sul possibile ruolo dell’Autorità Palestinese, e di come inserire l’iniziativa diplomatica in un quadro di stabilizzazione regionale, che consenta la ripresa del processo di normalizzazione con i sauditi e lo stesso Qatar, nell’ottica di un processo verso una possibile situazione a due stati.

nello screenshot diffuso da Idf, la distruzione di un tunnel a Gaza

La politica interna di Israele è in movimento: come vanno attualmente le cose nel
Consiglio di Guerra?
Il Consiglio di Guerra è stato istituito dopo il 7 ottobre. Esso comprende il Ministro della Difesa Gallant (Likud), Gantz (National Unity), e come osservatori Dermer, Ministro per gli affari strategici, del Likud, e Eisenkot di National Unity, oltre ovviamente a Netanyahu. In queste settimane abbiamo visto più volte Netanyahu in minoranza, perché Gallant si è progressivamente spostato sulle posizioni di Gantz: sul negoziato per gli ostaggi, sulla possibilità di utilizzare quadri civili dell’ANP a Gaza, sulla questione degli aiuti alimentari, sulla questione dirimente della coscrizione dei giovani ebrei ultraortodossi.

Mohamed Moustafa è il nuovo premier del governo dell’ANP in Cisgiordania

La scorsa settimana a Gantz ha chiesto elezioni anticipate a settembre. Che possibilità ha
la proposta di essere accolta da Netanyahu?
Oggi la situazione politica israeliana è di fatto bloccata. La richiesta di Gantz testimonia la sua crescente difficoltà a restare nel Consiglio di Guerra, data la situazione di paralisi in cui versa. L’ingresso nel governo di unità nazionale lo ha premiato nei sondaggi, che oggi gli danno fino a 30 seggi nel prossimo Parlamento. I partiti che appoggiavano i precedenti governi Bennett-Lapid potrebbero contare, nel caso che si andasse a votare, su una maggioranza di circa 68 seggi sui 120 della Knesset. Il problema tuttavia è che non è sufficiente che il governo vada sotto in qualche singola votazione, o anche che venga approvata una mozione di sfiducia nei suoi confronti. La legge israeliana prevede la sfiducia costruttiva, con la presentazione di una maggioranza e di un governo alternativi.

Benny Ganz (a destra) e Gadi Eisenkot

Nell’attuale Knesset Netanyahu può contare sul blocco di destra di 64 seggi, uscito dalle elezioni di fine 2022. Mentre i partiti che appoggiavano i governi Bennett-Lapid hanno 51 seggi. Anche sommando i 5 seggi dei deputati arabo-israeliani della Joint List, si arriverebbe a 56. Anche una mozione per lo scioglimento anticipato della Knesset avrebbe difficoltà a passare, perché il blocco dei partiti di destra è abbarbicato al potere. Ciò nonostante, il governo israeliano è sempre più fragile e diviso, soprattutto per la questione della coscrizione militare degli gli ultraortodossi.

Lapid e Bennet qando erano al governo

Di che si tratta?
La Corte Suprema ha bocciato ogni ulteriore rinvio riguardo la proroga dell’esenzione dei giovani ultraortodossi che studiano nelle Yeshivot, mantenuti con sussidi statali, e con il 1° aprile questi finanziamenti cesseranno, e questi giovani dovrebbero essere richiamati. Gallant ha dichiarato che non presenterà alcuna proposta che non abbia prima l’approvazione di Gantz e di Eisenkot. Al contrario, gli ultraortodossi hanno dichiarato di non accettare la coscrizione: c’è chi ha minacciato un’emigrazione di massa dallo Stato ebraico, o chi ha dichiarato che il contributo degli ebrei ultraortodossi a questa guerra è quello di pregare per chi combatte. È evidente che simili posizioni non incontrano il favore dell’opinione pubblica, tanto più che ai riservisti è stato chiesto di tornare anticipatamente al fronte e di prolungare il periodo di servizio attivo, anche perché si teme sempre un’escalation a nord con gli Hezbollah. Questo può essere un punto su cui il governo potrebbe cadere: laddove i partiti ultraortodossi, lo Shas, sefardita, e Degel Ha Torah, aschenazita, che insieme hanno 18 seggi, facessero venire meno il loro appoggio al governo per opporsi alla coscrizione obbligatoria, si aprirebbe la crisi. Ma è difficile che si arrivi a questo, e che questi rinuncino al flusso di finanziamenti alle loro istituzioni che la partecipazione al governo gli assicura.

Aryeh Deri, leader si Dhas, con il premier Netanyahu

Questa guerra a tuo avviso segna anche il termine della parabola politica di Netanyahu?
Io penso sia arrivato al termine della sua traiettoria politica, e in maniera ingloriosa. Ma lotta disperatamente per restare al potere fino alla scadenza naturale del 2026, anche se pare difficile. Ma i guasti che può continuare a produrre possono essere devastanti. Oggi è difficile immaginare chi governerà Israele nel prossimo futuro. Certamente Netanyahu ha molti rivali all’interno del Likud, fra cui Gallant, la cui popolarità è crescente; però il problema, ripeto, è capire se si andrà ad elezioni anticipate. La maggioranza è chiaramente logorata, e tuttavia il blocco di destra è consapevole che un voto anticipato significherebbe perdere il potere, e per molti anche un seggio in Parlamento. Pensa a Ben Gvir, o a Smotrich, o agli ultra religiosi. Questa certezza certamente è un incentivo a rimanere uniti.

Ben Gvir

Quali sono le prospettive per uscire da questa guerra?
Nell’immediato bisogna vedere come procederà il negoziato in corso per la liberazione degli ostaggi. In una prima fase si tratta per il rilascio, delle donne, anche soldatesse, dei bambini, dei malati. L’offerta di Israele è di rilasciare 400 detenuti palestinesi in cambio. Al momento Hamas tira le trattative per il lungo. La questione è che Sinwar, nella sua lucida follia, è un acuto conoscitore della realtà israeliana, che ha imparato a studiare nei molti anni trascorsi in carcere. Il suo obiettivo si è realizzato: voleva attirare Israele nella trappola di Gaza e ci è riuscito. Il risultato è che oggi la guerra ha prodotto oltre 30.000 vittime, di cui 2/3 civili, come ammette anche l’IDF.
Una volta che si sarà raggiunta questa prima fase, cosa potremmo aspettarci?

nuove proteste in Israele contro il governo

La trattativa riguarderà il rilascio degli uomini e dei militari. Qui l’esito è ancora più incerto, perché occorrerà comprendere quante migliaia di prigionieri Israele sarà disposto a concedere per ottenere indietro gli ostaggi. Ma la pressione dell’opinione pubblica sta montando, come dimostrano le ultime dimostrazioni cui hanno partecipato oltre 100.000 manifestanti. E si sta saldando il fronte della protesta per il rilascio degli ostaggi con quello contro l’esenzione degli ultraortodossi.
E a seguire cos’altro ci si può aspettare?
L’altra questione è la fine delle operazioni militari. È evidente che l’obiettivo di Netanyahu, la vittoria totale su Hamas, non c’è e non ci potrà essere. Certo, Hamas può essere sconfitto sul terreno militare, e alcune suoi battaglioni sono stati eliminati. Ora è in ballo la possibile operazione su Rafah. Ma Hamas eviterà lo scontro frontale, puntando su una guerriglia endemica di lunga durata. Il problema è che Hamas è una ideologia, per quanto aberrante, che punta all’eliminazione di Israele, e come tale ha ormai permeato profondamente la società palestinese, non solo a Gaza: un ultimo sondaggio dimostra come anche a Ramallah, in Cisgiordania, la popolarità di Hamas è molto cresciuta.
L’Europa può giocare un ruolo?

il parlamento europeo

Mi pare manchi una risposta unitaria, se non le dichiarazioni solo formali di Borrell. Non c’è un consenso per l’opposizione paesi est europei. E così le iniziative di Macron, al Consiglio di Sicurezza per il cessate il fuoco, e in Libano per evitare l’escalation con Hezbollah; di Sanchez, per il riconoscimento di uno Stato palestinese; o della stessa Meloni, che vuole evitare un’azione a Rafah pur esprimendo solidarietà a Israele, procedono in ordine sparso. Quanto alla sinistra italiana, Elly Schlein è ondeggiante: condanna il 7 ottobre, chiede il cessate il fuoco, però è muta sul boicottaggio delle università israeliane, e sulle manifestazioni studentesche anche filo Hamas; ciò malgrado le pressioni di Sinistra per Israele. Forse vuole rincorrere i movimenti e ha timore della concorrenza dei 5 stelle.

il segretario di Stato USA, Blinken, in un viaggio in Qatar, a colloquio col primo ministro qatarino

Per tornare alla guerra: non è possibile immaginare un assetto definitivo e pacifico per
Gaza?

Qui si tocca il tema forse più complicato, ossia il futuro governo di Gaza. A chi spetta? Potrebbe essere la ANP, se si riuscirà a rianimarla. Il tentativo di formare il nuovo governo da parte di Abbas, nominando un suo uomo di fiducia, Moustafà, appare già precario, perché L’Egitto e il Qatar hanno mandato segnali di scontento per la scelta fatta. Il problema reale a me sembra la necessità di una ricomposizione fra Hamas e Fatah, perché un governo che escludesse una delle due parti non sarebbe mai accettato dall’altra. Tutto questo richiama più in generale la riforma dell’Olp. Si tratta di un processo di ricomposizione voluto fortemente da Egitto e dal Qatar, ma certo poco accettabile per Israele. Insomma, oggi la situazione, non solo militare, ma anche politica, è di estrema complessità e difficoltà.

Cingoli con Shimon Peres

Dunque, che prospettive si hanno per Israele?

Ho l’impressione che dovremo prepararci a un lungo periodo di instabilità, che forse neppure il prossimo governo israeliano sarà in grado di risolvere. Occorrerebbe una visione politica strategica da parte del governo israeliano, che punti a una soluzione di medio periodo credibile e al rilancio della stabilizzazione regionale, puntando al raggiungimento di relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita e, forse, anche con il Qatar, nell’ottica di una soluzione a due stati della questione palestinese.

lo scorso 5 aprile il presidente Herzog ha completato un Sefer torah scritto in nome della pace (tra coloro che hanno partecipato alla stesura, anche Zelensky)

Purtroppo oggi questa non è la politica del governo israeliano. Assistiamo a un orizzonte politico di scarso respiro, in cui prevale la politica del giorno per giorno.

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Una risposta

  1. Collegando l intervista di Olmert su rai tre,questa intervista di cingoli ,l intervista a Edgar keret e le parole dinGossnan nel libro
    Appena uscito ” la pace e’ l unica strada”
    Abbiamo una visione completa di Israele assai diversa da quella che pensavamo.
    Nella situazione attuale ci troviamo di fronte ad un paese lacerato tra profonde e lontane divergenze ognuna delle quali va
    Verso una strada sua lontana e spesso divergente da quella che avevavamo ipotizzato.
    OLMERT HA DUCHIARATO CHE NON ESISTE UN PROGGETTO POLITICO DA PARTE DEL GOVERNO ISRAELIANO E CHE QUESTO IMPEDISCE DI AFFRONTARE QUELLO CHE E SUCCESSO IN UNA
    PROSPETTIVA DI ACCORDI TRA ISRAELE E PALESTINESI CHE DIVENTI UN MODO DI POTER VIVERE E CRESCERE IN ARMONIA.
    LE FRANTUNAZIONI SEMBRANO CO.NE QUELLE DEI TERREMOTI.
    MOLTISSIMI israeliani sono impauriti ,demotivati perché non era questo il paese per cui hanno sempre lottato.
    Personalmente lo sgomento e il dolore e’ tanto se ricordo i sogni di coloro che andarono in Israele per creare un paese diverso..e rimasto un sogno?

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