Anime in cerca
Il recente libro di Roy Chen attraversa il tempo e lo spazio, dalla Gran Bretagna a Israele, dal Marocco alla Spagna, alla ricerca dell’identità ebraica
Un teatro shakespeariano che a tratti gioca nella commedia e più spesso naviga nella tragedia e travolge nella follia del Macbeth. Talvolta ricorda altri drammi del bardo immaginandoli rappresentati nel Globe Theatre del South Bank londinese con gli attori che entrano in scena dai banchi del pubblico mentre questo è spettatore e interprete della scena stessa. Una sospensione che cattura tra realtà e finzione ma tutto dal sapore e dallo spirito ebraico, sia esso quello degli shtetl orientali o quelli del moderno Israele. Teatro letterario o letteratura che torna al teatro come massima interpretazione della vita.
Del resto Roy Chen, giovane autore israeliano, di teatro si nutre e fa nutrire. Quest’opera, la prima in italiano, è un continuo riflesso e riflessione su tutte le anime che evidentemente lo scrittore sente di avere dentro di sé e quindi di aver vissuto. Come tutti noi anche se non ci facciamo caso. Si legge nella copertina del libro ANIME (Giuntina, 334 pagine, 19 euro) che la famiglia paterna di Chen arrivò in Palestina nel 1492 dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, il ramo materno dal Marocco nel XX secolo.
Un nonno gioielliere, una nonna hostess poliglotta, l’altro avo pescatore e l’altra nonna analfabeta con la sapienza indiscussa del cuore. Un groviglio dove non può che nascere talento e virtuosismo, grandi speranze e fervori arditi ma anche frenate dettate da ataviche sconfitte, dalle quali il rifugio da sempre è nel sovrannaturale, tra i demoni e le anime morte che tornano e vengono in cerca di pace o di nuova vita.
Reincarnazioni vere? immaginate soltanto? Alla fine l’importante è che non possono non far parte di questo affascinante affresco di 400 anni di un’anima ebrea alla ricerca della verità, di quella quella quiete che è nella fine del conflitto e della propria storia. E’ invenzione, è il diario di un pazzo corretto dalla figura della madre che poi lo asseconda per evitarne il suicidio ? E’ la verità di un’anima protetta dalla stessa madre per evitare che possa impazzire ? Che importa.
Le anime sono quelle incarnate dal protagonista, siamo noi nella realtà, appellati come tali nel corso del testo, sono tutti quelli che sono stati, sono ora o saranno.
Del resto la verità è opinabile. L’uomo non è tanto ciò che fa quanto ciò che dice, diceva Saramago per significare come il linguaggio, la parola, impegnasse l’uomo, il suo essere in modo puntuale, più dell’azione che può essere solo istintiva. E il compianto Javier Marias, morto nei giorni scorsi, che dal teatro del genio di Stratford upon Avon ha tratto i titoli dei sui libri forse più belli: ‘Domani nella battaglia pensa a me’ e ‘Un cuore così bianco’, entrava e usciva dalla finzione e dalla realtà, anzi nel suo caso dalla verità e dalla bugia, per dire che la vita è ciò che è, ciò che è stata ma nell’essere ciò che è sono state ugualmente determinanti le bugie come le verità. L’esistenza si dilunga in quello che sarà, ma anche quello che potrebbe essere e quello sarebbe potuto essere. Una bugia in chi la riceve come verità ne determina reazioni che altrimenti non ci sarebbero state e quello che ne scaturisce è comunque verità. “Se il bugiardo è talentuoso, la storia non farà che migliorare” scrive con l’ironia che attraversa tutto il libro Roy Chen, ricordando come quando da bambino si usava dire Zol zayn a lign, abi se shaynt “ben venga una bugia , ma che sia brillante”.
Ma non tutto è bugia e non tutto é ironico. Nel libro c’è spazio per tutta la sofferenza e tutta solitudine e il disastro di questi 400 anni di storia ebraica fino all’attuale situazione di una vita sospesa a Giaffa. “Prendete il quartiere più incasinato della vostra città, buttateci dentro due popoli in conflitto, aggiungeteci un pizzico di immigrati e metteteli ad abitare in un edifico vecchio di sessant’anni che nessuno ha mai ristrutturato. Se salite per le scale fatiscenti (non c’è l’ascensore) fino al quarto piano e bussate alla porta (il campanello non funziona) forse, aprirò. Circa 2000 anni fa Erode diede Giaffa in dono a Cleopatra, oggi Cleopatra pretenderebbe un rimborso”. E che sia finzione o realtà questa reincarnazione dell’anima resta comunque un inno alla vita che torna e tornerà sempre fossimo noi o altri ad indossarla nelle varie epoche del mondo.
“Da 400 anni stai vivendo, e se aspetti ancora quattro ore vedi come inizia un nuovo giorno e non sarà il tuo ultimo. Non è neanche la tua ultima vita, tutto quello che hanno detto alla televisione sono stupidaggini, hai fatto molto bene a romperla. E’ meglio senza. Chissà, forse così torneremo a leggere libri”.