A Torino l’ebraismo italiano parla di giustizia
Si inaugura oggi a Torino il progetto UCEI “Art. 3: diversi tra uguali”, con un confronto tra Daniela Dawan e Gherardo Colombo, moderati da Massimo Giannini. Riflessi ne ha parlato con Dario Disegni
Dottor Disegni, Torino, grazie alla collaborazione della Comunità ebraica, ospita la prima tappa del progetto “Art. 3: diversi tra uguali”, promosso dall’UCEI sui temi dell’uguaglianza, in occasione dei 75 anni della Costituzione. Come ha reagito la Sua Comunità all’idea di fare da apripista del progetto?
La Comunità ha accettato veramente con grande compiacimento – e, se posso dire, anche con una punta d’orgoglio – la scelta dell’UCEI e del MEIS di partire da Torino per questo percorso così importante, che ho avuto modo di annunciare pubblicamente lo scorso 23 marzo in occasione dell’annuale marcia dei ragazzi delle Scuole torinesi e delle Autorità cittadine in ricordo di Emanuele Artom, il giovane intellettuale partigiano ebreo massacrato dai nazifascisti per riaffermare quei valori di uguaglianza e di libertà scolpiti come pietre miliari nella nostra Costituzione. Ritengo che l’iniziativa nelle principali città del Paese, in cui il MEIS organizzerà anche laboratori didattici per bambini dai 6 agli 11 anni, possa più che opportunamente stimolare una seria riflessione e un confronto su questi principi fondamentali. E penso che partire da Torino in questo percorso virtuoso per la coscienza civile della Nazione rappresenti un riconoscimento nei confronti della città di Emanuele Artom e di Primo Levi, che può essere sinceramente considerata all’avanguardia nella difesa dei valori democratici e dei diritti di tutti i cittadini.
A Torino parleremo di diritto e di giustizia, che solo apparentemente coincidono. Spesso, infatti, le leggi approvate dal sovrano, o dal parlamento, sono profondamente ingiuste, come testimoniano le leggi razziali del 1938. Che effetti ebbe la persecuzione antiebraica a Torino?
Anche a Torino l’Ebraismo pagò un prezzo altissimo alla persecuzione fascista. Pensiamo all’espulsione di docenti e studenti da scuole e Università, alla cacciata dai luoghi di lavoro o dalle professioni liberali nel 1938, preparando il terreno in un gruppo di cittadini isolati e indeboliti alla deportazione nei campi di sterminio dopo l’8 settembre 1943, che colpì quasi 750 Ebrei torinesi – di cui solo una trentina i sopravvissuti – in una Comunità che contava circa 3.500 persone. Soltanto nell’Università di Torino furono 58, tra docenti e personale amministrativo, e 10 nel Politecnico gli espulsi: tra questi il grande storico Arnaldo Momigliano, i giuristi Cino Vitta e Giuseppe Ottolenghi, i matematici Guido Fubini Ghiron, poi riparato negli Stati Uniti, e Gino Fano; il docente di architettura Gino Levi Montalcini, fratello di Rita; i medici Davide Giuseppe Diena, ordinario di patologia, e Silvio Segre,
assistente alla clinica delle malattie mentali, poi deportati e assassinati nei campi di sterminio. Il Rettore dell’Università dell’epoca, Azzo Azzi, addirittura prima ancora delle leggi razziali aveva già provveduto a stilare l’elenco dei docenti e del personale “di razza ebraica”, in modo da farsi trovare già pronto per le espulsioni. Nel 2018, nell’80° anniversario della promulgazione delle infami leggi razziste, l’Università, il Politecnico e gli ordini professionali hanno finalmente cominciato a fare i conti con questo orrendo passato: l’Università con una mostra dal titolo “Scienza e vergogna” nel palazzo del Rettorato e con la scopertura di una lapide con l’elenco di tutti i 58 docenti e addetti espulsi, posta accanto a quella di Francesco Ruffini, uno dei pochi docenti che rifiutarono il giuramento di adesione al fascismo. Analogo lavoro è stato fatto dall’Ordine degli ingegneri e da quello degli avvocati: quest’ultimo ha promosso l’apposizione su una parete del Tribunale di Torino di una lapide in memoria dei 54 avvocati ebrei cacciati. Si può dire che sia stata finalmente fatta una, seppur tardiva, meritoria opera di riparazione, cui la Comunità ebraica ha attivamente collaborato per ristabilire una memoria cancellata o edulcorata e banalizzata. Infine, un altro lavoro importante è quello scaturito dall’analisi dei sequestri dei beni ebraici attingendo all’archivio dell’EGELI, conservato negli archivi della Compagnia di San Paolo. il progetto “Dalle case le vite” ricorda le vicende umane delle vittime; da esso si è poi sviluppato un progetto in collaborazione fra la Fondazione 1563 della Compagnia di San Paolo e il MEIS: “Remembr-House”, che ha vinto un bando europeo, utilissimo per la didattica della Shoah nelle scuole.
Torino fu uno dei centri di maggiore opposizione al fascismo, con la nascita della prima cellula del gruppo di Giustizia e Libertà, in cui molti furono gli ebrei protagonisti (cito, ad esempio, Leone Ginzburg, Carlo Rosselli, Carlo Levi, Vittorio Foa, Sion Segre Amar). Cosa è rimasto di quella tradizione e di quell’approccio alla giustizia nella sua comunità?
Direi che è rimasto molto. Si può dire che gli ideali di giustizia e libertà sono entrati a far parte del DNA della Comunità torinese, composta da poco meno di 800 iscritti, molto acculturati, e intellettualmente molto vivace. La Comunità è permeata anche ovviamente dalla testimonianza e dall’insegnamento di un altro grande ebreo torinese, Primo Levi, a cui la Città e la Comunità ebraica hanno dedicato diversi anni orsono un Centro internazionale di studi, oggi punto di riferimento fondamentale a livello internazionale per chiunque voglia avvicinarsi all’opera e all’insegnamento di questo grande scrittore e testimone.
Ospiti dell’incontro saranno Daniela Dawan, ebrea tripolina oggi giudice di Cassazione, e Gherardo Colombo, che da magistrato indagò, tra l’altro, sulla P2 e su Tangentopoli, e che oggi è Presidente di Garzanti. Che cosa si aspetta da questo confronto tra culture e identità diverse, nel segno della giustizia?
Mi aspetto molto, in quanto si tratta di due personalità di elevata statura giuridica e culturale, che verranno moderati e introdotti da un autorevole giornalista, il Direttore de La Stampa, Massimo Giannini. Mi aspetto quindi un confronto serrato e una discussione sullo stato della giustizia oggi nel nostro Paese, sui diritti inalienabili di tutti i cittadini e, in particolare, come recita l’articolo 3 della Costituzione, sulla pari dignità e sull’uguaglianza. Al tempo stesso, non andrà dimenticato anche il diritto alla diversità, inteso come riaffermazione delle specificità religiose e culturali di ciascuna componente della nostra società, che devono tutte essere salvaguardate, e che nel dialogo possono contribuire all’arricchimento culturale della Nazione.
Gherardo Colombo, prestigioso magistrato nella storia della nostra Repubblica e oggi presidente di una grande casa editrice, con la sua cultura ed esperienza, e Daniela Dawan, avvocato e magistrato – oltre che mia amica di gioventù – che unisce in più un background di formazione ebraica, saranno in grado di dare vita a un confronto avvincente, pensato, come i successivi in un format molto interessante e originale.
La necessità di perseguire la giustizia è uno dei precetti dell’Ebraismo. A Suo avviso, che contributo può dare, anche nel mondo del diritto, il pensiero ebraico alla nostra società oggi?
Sappiamo tutti che l’Ebraismo è fondamentalmente un corpus di leggi, molte delle quali possono dare un contributo di grande valore etico e morale anche all’attuale legislazione dei diversi Paesi.
Penso alle norme a tutela degli stranieri, degli emarginati, dei disabili; alla cura dell’ambiente; alla tutela dei lavoratori. Inoltre, se pensiamo a tutta la normativa sul Giubileo, sull’anno sabbatico e quant’altro, credo che l’Ebraismo contenga insegnamenti molto profondi e di straordinaria attualità. Diceva Yochanan Ben Zakkay: “Se hai studiato molto la legge non vantartene, perché è per questo che sei stato creato”. Mi sembra che sia un’espressione che dia il senso del rapporto degli Ebrei con la legge. Importante è poi quello che è stato detto in occasione della presentazione di questo ciclo alla Corte Costituzionale dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni, quando ha evidenziato che il progetto non vuole affrontare il tema “della Costituzione per gli ebrei”, ma quello “degli ebrei per la Costituzione”. Credo che questo sia un approccio molto significativo: gli Ebrei italiani devono essere partecipi dello sviluppo democratico del Paese. Io credo che, con gli insegnamenti fondamentali etici e morali che ci sono stati trasmessi di generazione in generazione, gli Ebrei siano in grado di portare un contributo importante. Nei secoli essi hanno contribuito con tutto il loro sapere e le loro competenze allo sviluppo della società nella quale vivevano, anche se, come sappiamo, ci sono stati momenti molto bui. In ogni caso, la componente ebraica è sempre stata fondamentale nella costruzione della cultura del Paese ed è parte fondamentale della storia italiana, come il MEIS sta raccontando con la sua vasta attività in campo espositivo, culturale ed educativo.
L’incontro di oggi precede di una settimana la data del 25 aprile; Torino è inoltre Città decorata alla medaglia d’oro alla Resistenza: perché oggi è ancora importante ricordare la festa della Liberazione? E perché lo è in particolare per noi ebrei?
Per noi la risposta direi che è scontata: il 25 Aprile è la data fondante della democrazia della nostra Repubblica, in quanto data della liberazione dal nazifascismo. Se questo vale per tutti i cittadini italiani, noi ebrei lo sentiamo in modo ancora più forte, perché la Liberazione segna la fine del giogo nazifascista che ha prodotto la tragedia della Shoah. Inoltre non dimentichiamo che noi Ebrei celebriamo ogni anno Pesach a pochi giorni di distanza dal 25 Aprile: da millenni ricordiamo in ogni generazione e raccontiamo ai nostri figli e nipoti la liberazione dalla schiavitù e l’uscita dall’Egitto. Nasciamo e viviamo imparando quello che è uno dei principi che resta iscritto nella nostra pelle, nel nostro cuore, nel nostro cervello: per questo a maggior ragione sentiamo anche l’importanza del 25 aprile.
Quest’anno la ricorrenza assume un colore particolare, visto che il nostro Paese è guidato da un governo fortemente conservatore, con radici nella destra post-fascista. A suo avviso il 25 aprile quest’anno sarà un momento condiviso da tutte le forze politiche?
Vorrei dire semplicemente che spero con tutto il cuore che la celebrazione del 25 aprile sia vissuta da tutti, a prescindere dall’appartenenza politica, come la Festa di un Paese tornato libero e democratico e garante dei diritti di tutti i suoi cittadini.
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