Un anniversario conteso
Qual è il significato che gli Usa danno alla ricorrenza dell’11 settembre, a 20 anni dall’attacco più grave mai subito nei propri confini?
Come si prospettano le celebrazioni del 20° anniversario dell’11 settembre? Concerti e manifestazioni sono promossi in varie città, non soltanto quelle che – come Philadelphia o Washington – furono direttamente colpite all’epoca da uno dei più catastrofici crimini provocati dal terrorismo. Qualcosa fa tuttavia supporre che questo importante anniversario trascorra in tono minore.
Durante i lunghi mesi di pandemia, il Museo e Memoriale Nazionale dell’11 settembre inaugurato a New York dieci anni fa, sul terreno precedentemente occupato dalle torri gemelle, e divenuto ben presto una delle maggiori attrazioni turistiche della città, ha dovuto restare chiuso e privarsi di una buona parte del suo personale, registrando un deficit di 18 milioni di dollari, a dispetto dei ricavi molto soddisfacenti degli anni precedenti. Del resto, la stessa complessa struttura architettonica di questo museo, realizzata dall’architetto israelo-americano Michael Arad sulla base di specifiche delineate da Daniel Libeskind, richiede ingenti spese di manutenzione. Il museo ha poi riaperto con forte limitazione delle presenze. Si è deciso per l’11 settembre di celebrare in questa sede una cerimonia più sobria, con la oramai tradizionale lettura ad alta voce dei nomi delle vittime a cura di familiari e amici, ma annullando lo speciale concerto originariamente previsto, nonché l’allestimento di una mostra specifica oltre a quella permanente, già molto significativa.
Il drammatico susseguirsi di eventi collegati al ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan di certo non aiuta ad esaltare il valore eroico e patriottico del sacrificio perpetuatosi vent’anni fa. È inevitabile constatare come le reazioni politico-militari innescate da quell’attacco non abbiano sortito affatto gli effetti desiderati.
Tuttavia, da almeno dieci anni, gli anniversari e le iniziative programmate per segnalarli al grande pubblico sono stati oggetto di serie contese riguardo al significato e al valore della memoria che si intende tutelare.
Forte delle sue specifiche competenze storiche e antropologiche e della sua inveterata esperienze nella gestione di musei sulla storia ebraica e sulla Shoah in importanti metropoli americane, il direttore esecutivo del National Memorial Museum di New York, Alice Greenwald, aveva dedicato, fin dall’inizio del suo incarico nel 2006, grande attenzione agli innumerevoli nodi critici da sciogliere e ai desideri di familiari, sopravvissuti ed esperti, consultati a centinaia.
Questo complesso progetto museale assumeva al tempo stesso la funzione di sacrario adibito a conservare resti delle vittime e di alcuni loro averi, luogo archeologico, istituzione commemorativa ed educativa. Con grande tenacia e lucidità, Greenwald aveva affrontato e risolto, ad uno ad uno, interrogativi e polemiche sorti intorno alle difficili scelte da compiersi. Mostrare in foto i volti degli esecutori e l’orrore della tragedia significava dar pubblicità alle azioni dei terroristi o registrare storicamente i fatti anche per le generazioni future? Esibire oggetti recuperati di proprietà delle vittime inermi significava violare la loro privacy, infliggere loro un’ulteriore violenza o restituirne concretamente la memoria? Perfino la singolare collocazione del museo a 20 metri di profondità sotterranea dove si trovavano le fondamenta delle torri gemelle, poteva essere ritenuto oltraggioso nei confronti delle vittime.
I musei non possono semplicemente considerarsi contenitori sistemati una volta per tutte. Nuove esigenze e domande emergono nel corso del tempo. Nel 2019 si aggiunse ad esempio una nuova area commemorativa dedicata a onorare quanti morirono nelle operazioni di salvataggio o di ripulitura di quella zona tanto intossicata.
Polemiche innescate già prima della realizzazione del museo sono proseguite espandendosi ben oltre quella data. Se da un lato la stampa ufficiale esaltava il senso di unità patriottica e l’eroismo dimostrato anche dai primi soccorritori, d’altra parte molte voci cominciarono a levarsi contro quella che si riteneva una visione parziale e distorta della storia, incapace di approfondire il quadro geopolitico globale che condusse agli avvenimenti dell’11 settembre, o di spiegare le differenze fra Islam e islamismo.
Diversi parenti e congiunti di persone perite negli spaventosi schianti di quella giornata rifiutano di considerare i loro cari come eroi caduti nel corso di azioni patriottiche, convinti invece che si debba semplicemente ritenere la loro terribile fine come una tragedia che li ha sottratti all’affetto familiare. Molti hanno condannato l’apertura di un negozio di souvenir entro il complesso museale. Mentre è apparso legittimo e commovente osservare le foto esposte di tutte le vittime, si è trovato di dubbio gusto l’intento di far rivivere momento per momento la sequenza degli eventi di quel giorno. E certamente quella tragedia è una delle più ampiamente documentate e visualizzate dei nostri tempi, la cui registrazione è stata diffusamente spettacolarizzata attraverso i mass media fin dal suo verificarsi. Ci si è lamentati che le commemorazioni non prendessero in considerazione le ulteriori vittime derivate dalla guerra al terrorismo e dalle azioni militari condotte in Afghanistan ed Iraq, nonché le discriminazioni sfociate in forme di islamofobia all’interno degli Stati Uniti.
Negli anni, manifestazioni di protesta hanno ritenuto più opportuno includere nelle celebrazioni il ricordo dei soldati americani caduti in Iraq o in Afghanistan, ritenuti coinvolti nella stessa tragica vicenda, ma anche puntare il dito contro le crudeltà e le violenze esercitate in nome di quella orribile tragedia, dalle forze armate statunitensi.
La direzione del Museo di New York e la Greenwald in particolare sono stati accusati di mantenere una sorveglianza troppo rigida su quanto si dice o si scrive riguardo all’11 settembre sulla base della documentazione conservata nel museo stesso, laddove questo controllo viene giustificato dal comitato esecutivo in nome del rispetto delle vittime, al fine di evitare indebiti sfruttamenti della loro vicenda. Il documentario “Outsider”, che dovrebbe uscire in questo periodo, a cura della coppia Rosenbaum e Yonder, ha inteso mettere in luce le contestazioni e le controversie emerse in seno al consiglio di amministrazione del museo, espresse principalmente dal precedente “direttore creativo” Michael Shulman. La critica più pungente che ne emerge è indirizzata contro una visione ritenuta pacificante, acritica e scarsamente politica della storia e della memoria di una tragedia che è invece totalmente immersa in un contesto politico di vasta portata.
Come è noto anche in Italia, una serie televisiva curata da Spike Lee per HBO solleva un nuovo polverone di polemiche, utilizzando le interviste e il materiale raccolto anche come cassa di risonanza per tante infondate teorie complottiste sui presunti autori dell’atto distruttivo dell’11 settembre. Fu proprio il successo di quelle teorie cospiratorie a preparare il terreno per le campagne di disinformazione diffuse in internet da Qanon e dal movimento no-vax.
Ci si può chiedere su queste basi se questo imminente anniversario contribuirà a rinfocolare contestazioni e accuse già in atto nei confronti della gestione militare difensiva degli Stati Uniti e del presente governo e se il trauma, indubbiamente subito dal paese all’epoca, sia stato un collante sufficiente a unificare in un afflato patriottico la sua popolazione, in assenza di una effettiva condivisione di valori.
4 risposte
Brava Annalisa! Analisi attenta ed interessante! Grazie
Non avevo idea dela quantità e complessità delle questioni irrisolte legate a questo memoriale. E alla memoria in generale.
Grazie Annalu !
Estrememente chiaro e puntuale. Uno scritto che non semplifica la complessità dell’argomento, come spesso avviene. Anche chi è informato troverà qualcosa che non aveva collegato all’11 settembre e alla sua memoria
Articolo molto interessante. L’autrice è la stessa Annalisa Di Nola che ho frequentato a Roma tanti anni fa? Direi di sì. In ogni caso complimenti per l’articolo.