Più studio della storia e meno pregiudizi per i giovani di sinistra
Daniele Nahum, consigliere comunale a Milano, descrive le difficoltà di spiegare le ragioni di Israele nella sinistra di oggi
Daniele Nahum, visto il tuo ruolo di consigliere comunale a Milano, comincerei questa intervista nel chiederti un giudizio sulle dichiarazioni della scorsa settimana della dottoressa Basile, la quale, prima di scusarsi, aveva accusato la senatrice Liliana Segre di rammaricarsi solo per le morti dei bambini israeliani a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma non per i bambini palestinesi morti a Gaza a seguito della reazione militare d’Israele.
Io credo che abbiamo assistito a qualcosa di incredibile. Credo che quelle parole, poi ritrattate, nascano da un serio problema legato al pregiudizio antiebraico. Accusare la senatrice Segre di non provare compassione per i bambini palestinesi, quando è sempre stata chiara nel descrivere il proprio dolore per la morte di qualsiasi bambino, significa voler strumentalizzare la realtà e implicitamente avallare l’idea che gli ebrei siano preoccupati solo delle vittime israeliane e non di tutte le vittime. È evidente infatti che l’accusa era pretestuosa, ma non casuale.
Cosa intendi?
Liliana Segre era stata molto netta, solo pochi giorni prima, durante le la celebrazione del Giorno della memoria al Binario 21, nel denunciare il rischio di una comparazione fra Auschwitz e quel che accade a Gaza. Il rischio infatti è che tale equiparazione, senza alcun fondamento storico, alimenti l’antisemitismo. Per questo credo che il mio amico Luciano Belli Paci abbia fatto benissimo ad annunciare querela.
A parte questo episodio, oggi a Milano che aria si respira?
Da settimane Milano è tappezzata da scritte antiebraiche, che equiparano il dramma di Gaza a un genocidio e, come temeva la senatrice Segre, definiscono gli ebrei come i nuovi nazisti.
A tuo avviso gli ebrei hanno ragione a sentirsi in pericolo?
In oltre quarant’anni che vivo in questa città non avevo mai percepito un antisemitismo così forte. Soprattutto negli ultimi mesi, il clima ostile agli ebrei si percepisce chiaramente. Le scritte di odio nei nostri confronti sono ben visibili in città, è il sintomo di qualcosa che riemerge. Siamo nella fase in cui le ragioni di Israele sono completamente dimenticate, e dove il sionismo diventa un’idea e un pensiero del tutto paragonato al razzismo, senza conoscerne né le origini nè gli ideali, che lo rendono un movimento nato negli anni del Risorgimento italiano e ispirato direttamente agli ideali del socialismo, su cui si fonda lo Stato d’Israele.
Questi mesi di guerra hanno sollecitato anche la reazione dei partiti politici italiani a esprimersi. Come giudichi la posizione assunta dal governo e, più in generale, dalla destra?
La risposta è complessa perché, da un lato, la destra si colloca da tempo su posizioni filo israeliane, anche per evitare di fare i conti col proprio passato. Io mi domando, al riguardo, perché una leader come Giorgia Meloni, che oggi gode di un grande consenso, e ha un’età che non la collega direttamente al passato del suo partito, non riesca ancora a compiere un passo fondamentale, quello di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia. Si tratta infatti di un simbolo a cui sono legati dei nostalgici ma che andrebbe rimosso, perché ad esso sono affezionati personalità impresentabili, come il presidente del Senato, che rivendica il busto del duce in casa. Credo che il presidente La Russa sia ormai una macchietta politica, il che mi preoccupa, perché bisognerebbe avere rispetto per le istituzioni, e tuttavia una figura come la sua dimostra di non voler fare i conti con la propria storia. Dall’altro lato, sulla gestione del conflitto in corso, credo sinceramente che il governo stia tenendo una posizione equilibrata, e perciò giusta. La riflessione amara che posso fare, piuttosto, è come ci saremmo comportati noi se fossimo stati al governo.
È allora scontato che ti chieda come giudichi la politica estera del Partito democratico.
Purtroppo complessivamente negativa. Sia sulla questione Ucraina, che per la guerra a Gaza, registro incertezze e qualche passo falso. Per quel che riguarda l’aggressione della Russia credo che occorra tenere la barra dritta a sostegno dell’Ucraina. Per quel che riguarda invece la guerra a Gaza, riconosco che l’ultimo documento elaborato dal partito (la mozione sul medio oriente, n.d.a.) sia frutto di un buon equilibrio, e tuttavia mi sembra che in molte dichiarazioni pubbliche i rappresentanti del Partito democratico si dimentichino le ragioni di Israele. Io sono d’accordo a un cessate il fuoco che favorisca la liberazione degli ostaggi, ma mi pare che venga dimenticato il tema politico, ossia il futuro di Gaza, che è evidente non può prevedere più la presenza di Hamas. Comprendere le ragioni di Israele significa capire che, fino a quando Hamas intenderà rimanere a Gaza, sarà inevitabile un intervento militare. Anche se certo tale intervento deve realizzarsi nel pieno di rispetto del diritto internazionale.
Che giudizio dai dell’operato del governo israeliano?
Il mio giudizio è pessimo. Credo che Netanyahu sia attualmente una sciagura per Israele e per il popolo ebraico. Non solo per aver tragicamente sottovalutato il rischio Hamas, come si è dimostrato il 7 ottobre, ma anche per aver sottovalutato in tutti questi anni la situazione in Cisgiordania, e aver consentito la costruzione di nuovi insediamenti, un fatto del tutto controproducente agli interessi di Israele. Per non parlare dei finanziamenti pervenuti in modo abbondante in tutti questi anni nelle casse di Hamas, che il governo di Netanyahu ha sempre permesso. Si è trattato di una serie di errori incredibili, ma non sono stati gli unici. Dobbiamo infatti ricordare gli oltre 9 mesi di protesta contro la riforma della giustizia. Netanyahu ha provocato una lacerazione molto forte all’interno della democrazia israeliana, con una riforma folle che, come effetto collaterale, ha avuto anche quello di indebolire la capacità militare di Israele. Ricordo al riguardo una delle massime di Churchill, secondo cui per combattere il male assoluto occorre innanzitutto rafforzare le strutture democratiche del paese. Netanyahu si è mosso in direzione esattamente opposta.
Tuttavia, va considerato anche l’assenza di un interlocutore per Israele.
Sì. In Occidente si è sempre soli di puntare il dito contro Israele, visto come l’unica causa del conflitto con i palestinesi. Occorre invece evidenziare che il popolo palestinese è governato a Gaza da un’organizzazione terroristica, Hamas, e in Cisgiordania da una organizzazione, la ANP, dimostratasi da anni totalmente inaffidabile.
Vorrei tornare ora a parlare in particolare di alcune reazioni che, nel Partito democratico, si sono registrate in queste settimane. Di recente un’iniziativa dei Giovani democratici di Milano avrebbe voluto far incontrare allo stesso tavolo una serie di figure il cui giudizio preconcetto contro Israele è noto. Anche grazie alla tua reazione l’iniziativa è stata poi annullata, non però senza polemiche.
Rimango molto stupito dalla totale impreparazione che, tra molti giovani del Partito democratico, si registra in tema di politica estera. Certo, capisco l’irruenza dei vent’anni, quando siamo giovani è naturale occupare posizioni più spinte e rifiutare le mediazioni. Tuttavia registro dichiarazioni così radicali come non ne avevo mai sentite. Sono posizioni che mi preoccupano, e che vedrei meglio all’interno di altre organizzazioni, come Potere al popolo o nei centri sociali. Assistiamo cioè a una preoccupante regressione della capacità di analisi politica.
Si tratta di una posizione generale?
Per fortuna no. Pochi giorni fa si è tenuta l’assemblea metropolitana del PD. Devo dire che fra le persone che hanno superato i cinquant’anni si registra in genere un grande equilibrio di giudizio. È soprattutto tra i giovani invece che ascolto posizioni più estreme, in cui parole come genocidio o apartheid sono state sdoganate per essere utilizzate contro Israele. È come se si volesse cancellare il faticoso percorso fatto negli ultimi anni a sinistra, inaugurato da Giorgio Napolitano e proseguito da Piero Fassino, Emanuele Fiano e tanti altri, un percorso che ha come destinazione la realizzazione di due Stati per due popoli.
Le posizioni che tu stai descrivendo certo non sono d’aiuto alla ricomposizione di una lunga e dolorosa frattura fra gli ebrei italiani e la sinistra.
Hai ragione. Mi è capitato di dirlo ai nostri dirigenti nazionali: c’è in corso una lacerazione fortissima fra il mondo ebraico, il Partito democratico e la sinistra in generale. Io stesso sono testimone di molte persone che oggi non voterebbero il Partito democratico proprio per questa ragione. Naturalmente, credo che la gravità di questa frattura non vada valutata solo in termini numerici. Gli ebrei italiani sono infatti da sempre una piccola minoranza nel nostro paese, e tuttavia la divisione è un peso notevole sul piano culturale e ideale. In questo il Partito democratico ha una grande responsabilità. Gli ebrei italiani hanno contribuito molto ha fondare la Repubblica italiana, già negli anni della Resistenza. Credo perciò che questa frattura, preoccupante e incomprensibile, debba essere ricucita.
Qualcuno potrebbe domandarti cosa se hai davvero margini per poter agire sul piano politico.
Il Partito democratico ha attraversato, sulla questione mediorientale, ondate diverse. Negli anni della segreteria di Matteo Renzi la posizione era nettamente filo israeliana, poi questa posizione è stata mantenuta da figure come Piero Fassino, Emanuele Fiano, Lia Quartapelle, e molti altri. Adesso c’è una maggiore difficoltà. Quanto a me, posso ricordare che grazie anche alla mia attività subito dopo il 7 ottobre il Comune di Milano ha deciso di esporre la bandiera di Israele a Palazzo Marino, certo anche per mezzo di una mediazione con tutte le anime del consiglio, comprese quella cattolica e pacifista, che ha portato ad esporre anche la bandiera della pace. In generale ti rispondo che lo spazio per una voce critica credo di essermelo ritagliato più volte in questi anni. Certo, si fa fatica, non lo nego, e ultimamente più volte mi sono sentito in difficoltà. Tuttavia resto convinto che sia importante che nei partiti ci siano diverse opinioni.
A tal riguardo, circa cinquant’anni fa fu istituita l’associazione Sinistra per Israele, che oggi vede Emanuele Fiano suo segretario nazionale. Di recente l’associazione è stata rilanciata a Roma, con un primo incontro svolto lo scorso 3 febbraio e con una serie di iniziative già in programma. A tuo avviso ci sono i margini per poter operare nella direzione che indicavi, e rimarginare la frattura fra gli ebrei italiani e la sinistra?
Saluto con favore le iniziative che Sinistra per Israele potrà intraprendere anche a Roma. So che anche tra molti elettori del Partito democratico c’è l’esigenza di veder rappresentare una linea politica più equilibrata, il che significa più attenta a rimarcare le ragioni di Israele. Io credo che dovremmo rappresentare questa posizione sia all’interno del partito che in sede istituzionale. Non dobbiamo dimenticare che Israele è una grande democrazia, con una pluralità di voci all’interno della società israeliana, come dimostrano le tante manifestazioni contro Netanyahu.
Sul piano interno, credo che il Partito democratico, se vuole svolgere un ruolo di rappresentanza del paese, non possa rinunciare a elaborare una politica estera più attenta e critica anche nei confronti del conflitto mediorientale. Questo certo non significa non evidenziare le criticità e gli errori di Israele, ma l’obiettivo di arrivare a due Stati per due popoli passa oggi innanzitutto per la difesa delle ragioni dello Stato ebraico.
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