Ebreo e di sinistra, non rinuncio al dialogo
Ariel Dello Strologo, consigliere comunale a Genova e presidente dell’Associazione dei giuristi ebrei, racconta a Riflessi la posizione scomoda di chi, a sinistra, difende le ragioni di Israele senza smettere di cercare il dialogo, combattendo pregiudizi e riconoscendo i diritti altrui
Ariel, pochi giorni fa si è svolto a Palazzo Ducale a Genova un incontro sulla guerra in corso fra Israele e Hamas. Tu hai partecipato: qual è stata la tua impressione?
La giornata del 18 dicembre scorso è stata segnata non solo per quel che è accaduto la mattina a Palazzo Ducale, ma anche perché nel pomeriggio c’è stato un altro incontro pure questo molto intenso. L’iniziativa del mattino nasce da un’iniziativa del Movimento 5 stelle di Genova, e del suo coordinatore Stefano Giordano, mosso da una sincera volontà di provare a fare qualcosa in controtendenza rispetto alla polarizzazione in corso. Si voleva cioè costruire un’occasione di confronto avendo l’obiettivo, più che di recriminare e accusare l’altro, di immaginare il futuro, sperando naturalmente che questa guerra finisca il prima possibile. L’iniziativa ha visto il coinvolgimento poi della parlamentare europea Tiziana Begin cosicché è stata fatta propria dall’unione europea, come iniziativa non partitica. L’obiettivo infatti era quello di coinvolgere le scuole con la partecipazione in presenza di due classi liceali e da remoto di tutte le altre scuole che ne hanno fatto richiesta.
Chi ne ha fatto parte?
L’incontro è stato organizzato con una prima parte dal taglio storico, affidata a un paio di docenti universitari dell’Università di Genova, e poi con una seconda parte dedicata alle testimonianze palestinesi e israeliane. Hanno così parlato un ex membro dell’Olp che vive in Italia da cinquant’anni; un giovane medico palestinese specializzando a Genova e che ha la sua famiglia a Gaza; i rappresentanti dell’associazione Pace in Palestina; e Angelica Edna Calò Livne e suo marito Yehuda Livne, kibbutznikim di Sasa, arrivati appositamente da Israele. Quanto alla mia presenza, sono stato chiamato a partecipare principalmente in quanto presidente dell’Age, l’associazione giuristi ebrei.
Come si è svolto l’incontro?
Naturalmente eravamo consapevoli che ci sarebbe stata da gestire una forte tensione, e che ci saremmo aspettati da buona parte degli interventi molte accuse al governo israeliano. La prima parte è stata a mio avviso la più debole: chi è stato incaricato di effettuare la ricostruzione storica del conflitto israelo-palestinese, infatti, mi è sembrato più preoccupato di evidenziare le responsabilità e le colpe di Israele e dell’intero movimento sionista. Si è arrivati così anche a immaginare per il futuro la soluzione sostenuta da Ilan Pappé, teorizzando uno Stato unico senza alcuna caratterizzazione identitaria, né ebraica né palestinese. L’ho trovato un auspicio poco rispondente con la realtà, perché credo sia un errore chiedere a ebrei e palestinesi, soprattutto oggi, di rinunciare alla propria componente identitaria. Al contrario, la parte dedicata alle testimonianze è stata molto più sorprendente, anche perché ben preparata in precedenza.
L’obiettivo era quello di un confronto fra chi oggi si trova suo malgrado su posizioni opposte. Tutti hanno ragionato cercando di immaginare una soluzione che abbia al centro la necessità di risolvere la grave sofferenza che oggi vivono i cittadini israeliani, da sempre sotto minaccia dei razzi e degli attentati terroristici di Hamas, e naturalmente dei palestinesi stessi, oggi vittime della occupazione della Cisgiordania e della tragedia dei bombardamenti israeliani a Gaza. Molto netta qui è stata la condanna di ogni violenza terroristica palestinese realizzata sia il 7 ottobre sia nelle settimane successive e la richiesta di liberazione degli ostaggi. Naturalmente i toni sono stati forti, ma se mi sforzo di essere ottimista, devo dire di aver colto anche l’assenza di un pregiudizio aprioristico e cieco verso l’altra parte.
E per quanto riguarda te, Angelica e Yehuda?
Da parte mia, ho aderito all’iniziativa come presidente dell’Age. L’ho fatto perché mi interessava molto poter parlare con i giovani della degenerazione antisemita che si registra ormai così diffusamente fra i filopalestinesi. Quando mi è stato rivolto l’invito, ho però precisato come fosse necessario avere una controparte israeliana e gli organizzatori hanno subito manifestato grande interesse e disponibilità. È per questo che ho contattato Angelica e suo marito Yehuda, che vorrei ricordare dirige nell’alta Galilea una scuola professionale che ha una forte componente non ebraica, comprensiva di arabi, drusi e circassi. Durante l’incontro ho sottolineato come sia importante l’uso delle parole e come invece ci si abitui purtroppo troppo velocemente a un linguaggio che, per difendere le ragioni del popolo palestinese, si lascia andare a una deriva fortemente antisemita, nelle strade, nelle università e nelle scuole. Angelica e Yehuda hanno invece spiegato la complessità della realtà sul campo, e di come Israele non sia riconducibile a un pensiero unico. Hanno così descritto il movimento di protesta contro il governo attuale, e hanno raccontato il loro impegno che dura da anni nella costruzione di momenti di dialogo, per la costruzione di una pace concreta tra ebrei e palestinesi.
E per quel che guarda gli studenti presenti?
Angelica come sai è una vera performer e anche questa volta è riuscita a coinvolgere i giovani presenti, per mezzo di una mini animazione attraverso cui ha spiegato il suo modo di fare teatro e in tal modo costruire un dialogo di pace. Naturalmente le hanno fatto domande esplicite, che mostravano la sensibilità di questi giovani prevalentemente a favore dei palestinesi, però non ci sono state manifestazioni di radicalità e non si è mai negato il diritto dell’altro a parlare.
C’è stato poi un altro incontro, svolto al pomeriggio.
Sì. Questo secondo incontro è nato da una sollecitazione che nei giorni precedenti avevo ricevuto dai responsabili locali e nazionali di Arci. C’è in loro, infatti, una forte preoccupazione per quanto il mondo dell’associazionismo cattolico e in generale di sinistra, compresi i movimenti studenteschi di protesta, sta vivendo, ossia una forte radicalizzazione tutta spostata sulle ragioni palestinesi, che arriva a negare radicalmente ogni diritto di Israele alla sua stessa esistenza. Ragionando attorno a questo problema, è sorta la necessità anche qui di creare uno spazio di dialogo e di confronto. Visto l’arrivo in Italia di Angelica e di Yehuda, ho così proposto di realizzare un incontro con i rappresentanti di questo mondo associativo, cui hanno partecipato anche molti ebrei genovesi e simpatizzanti per Israele.
E cosa è successo?
Credo che l’incontro sia andato oltre le previsioni, visto anche che è durato più di tre ore, con momenti di discussione anche molto duri. E tuttavia, anche stavolta, alla fine le ragioni del dialogo si sono fatte strada, riuscendo a smorzare qualsiasi pregiudizio e ostilità. Siamo usciti da questa riunione turbati, ma lo stesso tempo con la consapevolezza che questa sia la strada da portare avanti, quella che fa crescere il dialogo.
Qual è in definitiva il giudizio che dai della giornata del 18 dicembre?
Ritengo che sia importante valorizzare ciò che di positivo è stato raggiunto, ossia la creazione di uno spazio di dialogo nessuno certo pensava che sarebbe stato facile, perché il confronto è stato vero e, come ha detto Angelica, però impegnativo. Si è confermata la necessità che noi ebrei non dobbiamo mai abbandonare il tavolo del confronto, anche se certo, in tempi duri come questi, sarebbe una tentazione naturale. Farlo significherebbe tuttavia lasciare piena visibilità a chi attacca senza spirito critico e senza conoscenza storica Israele e gli ebrei. Per questo, per quanto a volte sia duro, credo che si tratti di un percorso necessario.
Più in generale, qual è il tuo giudizio sulla situazione che stiamo vivendo?
Sto leggendo in questi giorni alcuni libri sugli anni 70 e sulla nascita del terrorismo in Italia. Naturalmente non voglio fare alcun paragone fra quel periodo e oggi. Tuttavia mi colpisce il rischio odierno di una deriva del movimento studentesco universitario, che si esprime nei casi più radicali nella negazione delle ragioni dell’altro e nella chiusura di ogni forma di dialogo per sostenere esclusivamente le ragioni del popolo palestinese. Ecco, pensando a quel passato lontano, rimango convinto che sia fondamentale tutelare nella società un costante presidio democratico e istituzionale, per escludere qualsiasi tentazione di ritornare a una situazione che abbiamo già conosciuta e che non vogliamo rivivere.
Tu sei anche il rappresentante dell’opposizione nel consiglio comunale di Genova, essendo stato candidato sindaco dal centrosinistra nelle ultime elezioni. Da ultimo ti sei avvicinato al gruppo del Partito democratico, anche se non sei iscritto. Per un ebreo che si riconosce nei valori della sinistra, in una situazione come questa, è ancora possibile poter operare e riconoscersi?
Comprendo benissimo la tentazione, che spesso è anche la mia, di voltare le spalle a chi ci manifesta la propria rabbia, il proprio pregiudizio, il proprio antisemitismo. Tuttavia, ritengo che, per quanto sia duro e difficile, non dobbiamo mai rinunciare a perseguire il dialogo. Dobbiamo anzi essere capaci non solo di essere di partecipare a tali incontri, ma di essere organizzatori di eventi in cui si possa dare spazio alle nostre parole e alle nostre ragioni. Per quel che riguarda il Comune di Genova, dove oltre a me siede nelle file della maggioranza un altro ebreo, Chicco Di Veroli, nonché, nel PD, un consigliere di religione islamica, dal 7 ottobre ad oggi molti documenti sono stati approvati e tutti sempre all’unanimità. In essi si è portata avanti una linea che difende il diritto di Israele di esistere e di difendersi con quella dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Su tale linea il PD genovese si riconosce in maniera solida e così l’intero consiglio comunale, ad eccezione di una isolata minoranza vicina al movimento no vax, filo russo e anti atlantico.
Insomma: c’è ancora spazio oggi per un ebreo italiano a sinistra?
A volte faccio anche io molta fatica a riconoscermi in questo spazio. E tuttavia, mai come adesso credo che ci sia necessità di operare per rafforzare il confronto democratico. Per far questo naturalmente è importante avere consapevolezza del tempo che stiamo vivendo, ma anche di come siamo arrivati ad oggi. Ritengo cioè che sia fondamentale non tralasciare mai una corretta ricostruzione storica della vicenda. E che occorra avere consapevolezza di quanti in Israele da sinistra lottano per dare maggiore umanità ai governi del paese. Credo insomma che anche gli ebrei italiani possano ritagliarsi uno spazio politico a sinistra: è lo spazio in cui si difendono fino in fondo i diritti di Israele e degli ebrei, ma al tempo stesso in cui non si dimentica che c’è un popolo, quello palestinese, che da tempo soffre per non avere ancora un proprio Stato libero e indipendente. A noi ebrei italiani naturalmente non spetta il compito di risolvere la questione; ma sono convinto che dobbiamo batterci contro ogni radicalizzazione che tenda a negare nella sinistra italiana quei valori in cui mi riconosco, basati sul confronto. La mia posizione è chiara: mi batto perché gli ebrei possono esprimersi liberamente e perché si difendano le ragioni di Israele; al tempo stesso non smetterò di dialogare e di ascoltare le ragioni degli altri perché a tale dialogo credo che anche noi ebrei non ci dobbiamo sottrarre.
2 risposte
Rimaniamo e diffondiamo la storia.
Ma è dura con chi approfitta di un momento in cui tutto il peggio viene sdoganato.
Kadima!
La prima parte un po debole mi sembra riduttivo, chi ha curato l’analisi storica, docenti universitari ??? pare abbiano messo sul banco degli imputati solo Israele, uno stile soft propal.Si è aperta in questo modo poco piacevole.