Gérard Journo. Dieci vite in una. Romanzo ispirato alla vita di una ballerina del Crazy Horse.

in questa e nelle altre immagini, la partecipata serata di presentazione del libro di Gerard Journo al Pitigliani

Le occasioni generano occasioni. Su qualcuno, invero non su molti, la clausura da Covid ha avuto un benefico effetto. Fra questi, Gérard Journo che imbattendosi su una chat in un’opera d’arte che lo incuriosisce, si  addentra nella vita della sua proprietaria ricostruendola in un romanzo.

La scorrevole narrazione porta alla luce l’esistenza di una persona dalla grande personalità ma allo stesso tempo destinata, in mancanza di eredi, all’oblio per mancanza di ulteriori spettatori tanto nel senso reale quanto in quello  metaforico. E’ la vita di una donna realmente vissuta tra Budapest, Parigi e Roma in bilico tra la Storia, quella con la S maiuscola, e la quotidianità delle scelte personali. La narrazione di fatti, più o meno romanzati, ci conduce verso la definizione dei differenti contesti  come in una passeggiata per luoghi che anche l’Autore (fuggito da Tripoli a Roma, e ha frequentato a lungo la parte di famiglia stabilitasi a Parigi), dimostra di conoscere a fondo anche per le suggestioni che essi producono.

Ed è proprio l’aspetto auto identificativo con l’io narrante che si percepisce nella narrazione. Dal primo estraniamento causato da eventi di fortissimo impatto emotivo – le persecuzioni anti ebraiche in entrambe le situazioni – alla volontà e la capacità di adattamento e di superamento delle difficoltà e incertezze. Journo non ha paura di far esprimere i sentimenti che portano un essere umano all’amore, al fare e al ricevere complimenti che talvolta possono sembrare superflui e forse falsi. Non ha paura nemmeno dell’amore stesso. La figura della sua protagonista mostra una forte carica di attaccamento agli individui – di entrambi i sessi – incontrati nel corso della propria vita senza che, allo stesso tempo, nasconda il dolore e l’isolamento conseguente all’allontanamento dagli stessi.  Esprime la forza necessaria per poter accettare le relazioni umane per quello che sono nonostante la consapevolezza che esse si potranno dimostrare poi del tutto contingenti e, dunque, temporanee.

Forse non è un caso, ha osservato Journo interpellato telefonicamente (più avanti l’intervista completa) che, come la protagonista,  molti ebrei tripolini fuggiti da una situazione di pericolo abbiano deciso di non procreare: non fare figli permette di non radicarsi, di rimanere in una situazione di precarietà e di maggiore disponibilità al cambiamento che è, apparentemente, una delle condizioni per essere pronti ad ogni evenienza. Ma il libro è tutt’altro che triste, è pieno di vita: delle dieci che promette il titolo … della modella che si scopre per gli artisti, della ballerina che al Crazy Horse danza al suono della musica, dell’attrice in un film non rimasto negli onori della storia, fino a quella che la mette al centro di un romanzo, sono tutte parti di quella ricerca di significati che rendono una  vita degna di essere vissuta e dove l’arte, come per l’Autore, è al centro di essa.

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La redazione di Riflessi ha rivolto alcune domande a Gérard Journo

Gerard Jouno

Gerard, come mai l’idea di un romanzo?

Ho sempre scritto raccontini, da quando avevo trent’anni. Inizialmente mi ero fatto influenzare dalle epigrafi di Marziale, corte storielle acute e divertenti su avvenimenti che mi accadevano o ai quali assistevo. Poi ho iniziato a scrivere raccontini sulla mia infanzia a Tripoli, cercando di trasmettere la sensibilità e ingenuità del bambino che ero stato. Il romanzo è nato come una scommessa con me stesso, se ero capace a scrivere una storia con un inizio e una fine.

È il tuo primo romanzo, e sta registrando un ottimo successo, te lo aspettavi?

Mi sono molto emozionato quando ho sentito i primi commenti. Mi sono imbarazzato quando persone che stimo moltissimo mi hanno confessato che non riuscivano a smettere di leggere fino all’ultima riga. Non so se è un successo ma il fatto che sia stato apprezzato mi ha dato grande soddisfazione.

Il romanzo attraversa luoghi dell’Europa ebraica, raccontando di fughe e persecuzioni, insomma tratta temi prettamenti ebraici: hai avuto qualche autore come riferimento?

Gerad con sua moglie, Elisabetta Fiorito (al centro)

In sessantuno anni di vita ho letto molto di autori ebrei o di romanzi sul tema, ma se devo essere sincero l’unico libro al quale posso aver tratto ispirazione e il canovaccio da “Le memorie di Adriano” della Yourcenar.

In casa non sei però il primo autore, perchè tua moglie Elisabetta si è già cimentata anche lei con successo: più complicità o rivalità sulla pagina scritta tra voi due?

Anche mio padre z”l scrisse un libro di memorie: “Il ribelle” edito da Le Lettere di Firenze, con prefazione di Miriam Mafai. Mia moglie è la vera scrittrice di casa, è lei che mi corregge inizialmente le bozze e mi spinge a scrivere, perché le piace il mio stile. Ci sosteniamo e consigliamo, alcune volte discutiamo ma ciò è molto stimolante.

I lettori possono attendersi nuove scritture da parte tua?

Sono un imprenditore, amo il mio lavoro che mi da moltissime soddisfazioni, se avessi tutto il tempo per dedicarmi alla scrittura sarebbero pronti già altri due libri e uno solo ancora solo immaginato. Il prossimo sarà la raccolta dei miei raccontini. Poi ci sarà un avvincente giallo che si svolgerà in una Libia diversa da come la conosciamo oggi. E un terzo che racconterà la storia degli ebrei in Romania.

 

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