29 novembre 1947: come nacque Israele
Claudio Vercelli ricostruisce su Riflessi le premesse, le motivazioni e le forze contrapposte che portarono alla nascita dello Stato ebraico
La matassa
La matassa, ad onore del vero, è aggrovigliata. Ossia, assai meno lineare di quanto non possa apparire ad uno sguardo superficiale. Quando nacque Israele? Il 14 maggio 1948, con la solenne Dichiarazione d’Indipendenza, atto in sé comunque unilaterale, in quanto prodotto della parte ebraica, oppure in altro momento, quindi anche per volontà di terzi?
La questione non è di mera lana caprina.
Non è solo una questione di date. Senz’altro la proclamazione dell’indipendenza sanzionò la presenza sulla scena internazionale del nuovo soggetto politico. E tuttavia essa costituiva più un punto di arrivo che non di partenza. Poiché uno Stato esiste non solo in virtù delle forze e delle energie sulle quali può contare ma anche grazie al riconoscimento internazionale. Così – per capirci, tra i molti esempi possibili, i paragoni e le similitudini – per l’Italia del 1861. Se poi all’esistenza di fatto di una comunità politica invece si accompagna, nel corso del tempo, un lungo, ripetuto e persistente processo di delegittimazione (“non avete diritto di esistere, siete una società ed un Paese abusivi”), allora la questione delle fonti sulle quali basare non solo il riscontro materiale, ma anche il fondamento politico e civile della propria esistenza di fronte al mondo intero, diventa imprescindibile. In quanto non si è accetti solo se si afferma di esserci ma anche perché gli altri da noi arrivano ad accettarci.
Israele, ad oggi, continua a vivere, suo malgrado questa ambivalenza tra il riuscire ad essere una nazione compiuta, estremamente sviluppata, ed il non essere riconosciuta da una parte della comunità internazionale.
Detto questo, per essere chiari da subito, va precisato che nessuno Stato, nel presente così come nel tempo trascorso, necessita per esistere di un qualche atto, gesto, documento, presa di posizione che siano precedenti ad esso stesso e che, soprattutto, costituiscano il prodotto della sola volontà di terzi. Il fondamento di qualsiasi Stato indipendente, infatti, è nella sua stessa indipendenza. La quale è il risultato di una scelta, comune e condivisa, di singole volontà che si trasformano, nel corso del tempo, da intenzione in fatto concreto. Anche in presenza di molte opposizioni. Interne e internazionali. Se guardiamo alle vicende della nascita delle società politiche contemporanee – ad esempio agli Stati Uniti, specchio di tante altre esperienze – avremo allora un netto riscontro di ciò.
Le nostre righe servono quindi a chiarirsi le idee, nel limite del possibile, su cosa certi atti della comunità internazionale implichino rispetto ai conflitti della storia. Molto per coloro che se ne avvantaggiano. Assai poco, invece, per quanti non ne beneficino o non me siano capaci di giovarsene concretamente. Per una tale ragione, allora, questi atti sono una volta per sempre invalidabili? La risposta non può che essere negativa.
Poiché in storia non esiste la “par condicio”. In quanto questi possono coniugare sia un principio di giustizia che di necessità. In questo caso, è da considerarsi “giusto” quanto incorpora in sé l’occorrenza storica, ossia il riconoscimento di uno stato di cose per il quale non è più derogabile una scelta. Ed è invece “necessario” ciò che si attaglia all’effettiva condizione delle forze in campo.
Traduzione: Israele aveva ragione di nascere poiché, nella coscienza dei contemporanei, era al medesimo tempo risultato di un percorso storico e suo orizzonte a venire. Nessun provvidenzialismo in tutto ciò ma, piuttosto, il riconoscimento politico che qualcosa era definitivamente maturato, ossia una società ebraica che aveva le sue ragioni di esistere come soggetto indipendente. Senza nulla togliere ad altri ma, al medesimo tempo, senza vedersi togliere alcunché.
Poste queste premesse, rimane la storia. Quella dei fatti. Che sono sempre complessi, ossia mai riducibili ad un unico indice.
Una risposta
Pregiatissimo professore, dal 1918 al 1948, periodo in cui dalla dominazione ottomana dei territori di Israele si passo al protettorato britannico, alcune fonti dicono che la popolazione ebraica in Israele passò da centomila a più di cinquecentomila persone. Questo un poco contrasta con la scarsa propensione del governo britannico alla migrazione nel territorio da parte degli ebrei. Mi potrebbe chiarire come mai ci fu questo aumento della popolazione se chi amministrava i territori tendeva ad evitarlo? Grazie e buon lavoro