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2 giugno 1946: la libertà ritrovata, tra amnesie e continuità

Abbiamo chiesto ad Alberto Cavaglion* di parlarci della Festa della Repubblica da una prospettiva particolare: quella degli ebrei italiani che ritornavano alla libertà.

Gentile professore, con il referendum di 75 anni fa il nostro Paese si metteva alle spalle la guerra, il ventennio della dittatura fascista e anche l’epoca monarchica decidendo per la Repubblica. Ci può spiegare che Italia era quella uscita dalla guerra?

L’Italia esce dalla guerra completamente distrutta, incerta del suo stesso domani. Non sono soltanto le macerie dei bombardamenti, i lutti, le memorie lacerate, che feriscono lo sguardo dei sopravvissuti, ma sono le incertezze politiche, le difficoltà di trovare una nuova classe dirigente che non sia compromessa dal fascismo. Appena si riesce a guardare in faccia la realtà riappaiono le divisioni del periodo anteriore all’avvento del regime: la divisione fra laici e cattolici, le divisioni interne ai partiti di sinistra, la debolezza di una terza via che riuscisse a incunearsi fra i due partiti maggiori. Il clima, in breve, che Carlo Levi descrive con maestria nel libro che forse è il suo capolavoro, L’orologio

Tra tanti lutti e tragedie, la guerra anche da noi aveva infierito sugli ebrei. Prima le leggi razziali, poi la persecuzione e le deportazioni nazifasciste.  In che condizioni era l’ebraismo italiano il 2 giugno del 1946?

L’ebraismo italiano vive una tragedia interna terribile, bene documentata oggi dalle fonti archivistiche anglo-americane, che testimoniano la grande difficoltà che l’ebraismo incontra nei primi anni a ritrovare se stesso. Il caso di Roma, che fu liberata per prima dagli Alleati, ma è costretta a fare i conti con la tragedia nella tragedia che fu il caso-Zolli, è molto indicativo. S’aggiunga poi l’urgenza della solidarietà, il problema dei superstiti di Auschwitz, che cercano prima un sostegno nelle comunità del nord, o meglio in quello che rimaneva delle comunità del nord Italia, poi un imbarco nei porti italiani per raggiungere quello che era in procinto di diventare lo Stato d’Israele.

Da quel voto nacque anche l’assemblea costituente, che poi scrisse la Costituzione, in vigore dal 1° gennaio 1948. Anche agli ebrei fu riconosciuta piena uguaglianza. Eppure la storia dei risarcimenti di guerra fu lunga e piena di incomprensioni, per così dire (qui il nostro articolo sulle benemerenze). Perché così tanta resistenza a riconoscere il diritto dei perseguitati a riavere i loro beni o il loro posto di lavoro?

La questione dei risarcimenti di guerra non è tanto significativa quanto invece è il problema della discussione interna su quale avrebbe dovuto essere il ruolo delle comunità ebraiche nell’Italia repubblicana, un tema questo su cui si parla di rado e che invece subito parve fondamentale agli ebrei americani e inglesi che, per esempio, “rifondano” la Comunità di Roma o meglio cercano di rifondarla non sui principi concordatari del 1929 e poi dell’art. 7, ma su basi di libere associazioni come in Inghilterra e negli Stati Uniti. È a mio giudizio molto indicativo che a fronte delle lentezze con cui furono abrogate le leggi del 1938 non vi fu da parte delle comunità analogo zelo nel chiedere l’abolizione della legge del 1930 firmata con il Duce.

Il voto del 2 giugno non determinò neppure un’immediata cancellazione del passato. Negli apparati dello Stato – penso ad esempio alla magistratura – molti furono i sostenitori del regime che restarono nei ranghi. A cosa si deve questa amnesia della memoria?

Prevalse il senso della continuità, più che di amnesia della memoria (concetto che vale a caratterizzare la lunga fase di silenzio intorno al 1938 e alla specificità della Shoah, silenzio che perdura almeno fino al 1961 e al processo Eichmann), a prevalere è il desiderio, si potrebbe dire la volontà di ripartire senza scossoni dal punto dove si era rimasti, passando sotto silenzio il consenso dato al regime. Di nuovo torna in nostro soccorso la letteratura e la passeggiata di Geo Josz nel racconto di Bassani, Una lapide in via Mazzini. Il professore di liceo fascista che diventa comunista, i compagni di scuola che insultavano dopo l’esclusione del 1938 che lo salutano con sorrisini di convenienza.

Per concludere, è possibile fare un rendiconto per gli ebrei italiani? Ci sono studi su quale fu la loro scelta prevalente al voto referendario? Il tradimento subito dal loro paese fu del tutto ricucito il 2 giugno?

Non conosco studi sull’esito referendario visto dal mondo ebraico, presumo non vi siano state differenze rispetto all’esito generale del voto, con prevedibili distinzioni regionali e generazionali per esempio nel Piemonte. Non dimentichiamo che nel giugno 1940, allo scoppio della guerra, ma due anni dopo le leggi sulla razza, dalle testimonianze in nostro possesso risulta che molti appartenenti alla generazione che aveva combattuto nella Grande Guerra, diciamo all’incirca i “padri” della generazione più giovane che poi entrerà nella lotta partigiana, vedono nella guerra del 1940 un pericolo per la patria e concepiscono la guerra fascista come una difesa “risorgimentale” della nazione in pericolo. Una male intesa idea di nazione e di nazionalismo aveva purtroppo contagiato la generazione dei padri, generando di riflesso quella frattura fra padri e figli che è tipica dell’intera società italiana alla vigilia dell’8 settembre 1943.

* Professore di storia dell’ebraismo all’Università di Firenze. “Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni”, Add editore, la sua ultima recente pubblicazione.

Una risposta

  1. L’intervista al Professor Cavaglion e’ davvero interessante e meritevole di attenta lettura – Ho trovato straordinariamente appropriati i riferimenti letterari aL racconto di Bassani e Carlo Levi – Infine credo che meriti un approfondimento la lentezza dell’ebraismo italiano nel chiedere l’abrogazione delle Intese con il fascismo del 1930

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