Vi racconto un po’ della mia vita: la laurea magistrale (Master of Sciences, 1976-78) e il ritorno a Roma

Rav Gianfranco Di Segni conclude il racconto dei suoi anni giovanili: dopo Francia e Israele, ecco il ritorno a casa

Gianfranco, fino ad ora ci hai raccontato del diploma triennale nella puntata precedente, raccontaci ora della tesi del Master.

l’Hadassah Medical Center, oggi

Scelsi di farla al Laboratorio di Virologia molecolare, al Dipartimento di Microbiologia, all’Hadassah Medical School a Ein Karem, alla periferia di Gerusalemme, sotto la guida del prof. Raymond (Ray) Kaempfer. Per qualche motivo che non ricordo bene, forse incompatibilità di orari con altri corsi, non avevo seguito il suo corso di Biologia molecolare, quindi non lo conoscevo bene. Poi sentii un bel seminario di Ray Kaempfer al Dipartimento di Genetica, dove parlò di ricerche molto interessanti, e scoprii che era un professore molto quotato e famoso. Così decisi di chiedergli di fare la tesi da lui. Se ben ricordo, lo incontrai in ascensore alla Hadassah, dove al terzo anno del B.Sc. andavo per seguire i corsi di Microbiologia. Lui mi aveva notato al seminario che aveva dato a Genetica e mi chiese che ne pensassi. Colsi la palla al balzo, gli dissi (ovviamente) che il seminario era stato molto interessante e che avrei voluto parlargli riguardo alla tesi. Mi tenne diverse ore per raccontarmi delle sue ricerche, mi fece vedere il laboratorio e diede le sue numerose pubblicazioni, e alla fine mi disse che mi accettava a lavorare da lui. Credo che la sua decisione positiva fu dovuta anche al fatto che io, come lui, ero europeo. E così iniziò la mia immissione reale e ufficiale nel mondo della ricerca, dopo quel primo periodo estivo dell’anno precedente a Genetica.

un giovane rav G. Di Segni nel 1978

Oltre a me c’erano altri due studenti che svolgevano la tesi da Ray, Haim Rosen e Sarah Epstein (poi Knoller, la “Micòl” dei Finzi-Contini a Reznik), e una tecnica di laboratorio (Ruth Israeli). Fu Ruth che sgrezzò il mio ebraico parlato. Due anni passati quotidianamente nella stessa stanza fecero sì che il mio discorrere divenisse più fluente e con meno accento straniero. (Qualche anno fa ho fatto un devar Torà sulla parashà al Tempio italiano a Gerusalemme e qualcuno ha detto a mio figlio Jacov: “Ma parla bene tuo padre in ebraico!”. Evidentemente in genere chi viene dall’Italia parla l’ebraico con accento maccheronico). Nel secondo anno del Master venne un’altra tesista, Rivkah Gonsky, americana e religiosa (erano così pochi i religiosi che quando lo sono mi piace ricordarlo). Eravamo un bel gruppo affiatato. Quando partii a fine dicembre 1978 per tornare in Italia, dopo aver concluso il Master, mi regalarono un LP di Arik Einstein della serie Eretz Israel ha-yeshanà weha-tovà (“La vecchia e bella Terra di Israele”). Dietro scrissero una dedica in ebraico: “… perché tu non ti dimentichi che hai un posto in cui tornare…”.

la dedica per il rav

“In quel posto” non ci sono tornato stabilmente (per ora), ma i miei tre figli ci sono andati: due di loro (Ariel e Micol), con le loro rispettive famiglie, vivono ormai fissi a Gerusalemme. L’altro (Jacov), dopo nove anni di studi rabbinici in yeshivà e in kollel in Israele, è tornato in Italia con la sua famiglia per lavorare in ambito rabbinico-comunitario.

 

Ray aveva l’aria giovanile (e lo era, 36 anni), scattante, sempre in movimento (fino all’anno scorso, si faceva decine di chilometri al giorno in bicicletta). L’avevo visto girare nei corridoi a Virologia molecolare dove seguivo uno dei corsi. Pensavo che fosse un masterando del Direttore, il prof. Yechiel Becker, e solo dopo quel seminario a Genetica capii che era un prof pure lui. Quando lo raccontai a Ray, mi disse: “Il problema è che anche Yechiel pensa che io sia un suo masterando…”.

il giovane gruppo di laboratorio dell’HMC. Si riconosce un giovanissimo rav Di Segni

Ray e la moglie Miep sono ebrei olandesi (Ray è anche kohen). La famiglia di lui, nato a L’Aia nel ’40, era amica di quella di Anna Frank e in diverse foto in cui c’è Anna si vede anche Ray bambino di 1-2 anni. Ray dice di essere uno degli ultimi ancora in vita ad avere avuto un contatto diretto con Anna. Per tre anni, dal ’42 al ’45, il piccolo Ray dovette nascondersi in diversi posti, separato dai genitori, per non essere catturato dai nazisti a caccia degli ebrei. Quando stavo nel suo laboratorio non ci parlò mai di quel periodo. Lo iniziò a fare pubblicamente solo una decina di anni fa, all’Auditorium della Hadassah, davanti a 500 colleghi e studenti (fra questi ultimi, c’era anche mia figlia Micol).

Sarah Epstein

Nell’estate 2010, mentre ero di ritorno da un congresso di genetica molecolare a Vancouver, feci apposta scalo ad Amsterdam per andare a trovare Ray e Miep (spesso passano lì le vacanze estive), e Miep mi accompagnò a visitare la casa-museo di Anna Frank. Con loro sono tuttora in contatto: Ray è venuto varie volte a Roma per progetti di ricerca insieme a ricercatori italiani (e continua a farlo) mentre io, nei miei viaggi in Israele, sono spesso andato a trovarlo, a casa o in laboratorio. Recentemente, in occasione della milà di mio nipote Yair Dror (figlio di mia figlia Micol), Ray e Miep sono venuti al Tempio italiano di rechov Hillel (per inciso, anche Micol si è laureata in Biologia a Gerusalemme e ha conosciuto Ray non solo come mio capo d’allora ma pure come docente negli anni in cui lei ha studiato e ha fatto la tesi alla Hadassah).

Haim Rosen

Prima di fare la aliyà nel 1974, Ray aveva lavorato a Boston all’MIT dove nel 1965 aveva conseguito il Ph.D. con Boris Magasanik, un illustre microbiologo ebreo ucraino di Kharkov (che ora tutti sanno dov’è). Magasanik a sua volta era stato portato all’MIT da Salvador Luria, fra i tanti scienziati ebrei italiani che dovettero fuggire dall’Italia a causa delle persecuzioni fasciste. Luria era stato allievo di Giuseppe Levi, il padre di Natalia Ginzburg, Maestro di ben tre premi Nobel (da Guinness dei primati): Luria nel 1969, Renato Dulbecco nel ’75 e Rita Levi-Montalcini nel ’86

Qual era l’argomento della tua tesi di Master?

Riguardava il controllo dell’espressione dell’informazione genetica contenuta nel DNA, in particolare il controllo della “traduzione” dell’RNA messaggero in proteine (col Covid, ormai tutti sanno – si fa per dire – cosa sia l’mRNA). Mi occupai fra l’altro anche della beta zero-talassemia, una grave malattia ereditaria dell’emoglobina che, come dice il nome, è diffusa nei paesi del Mediterraneo e le cui basi molecolari non erano ancora ben conosciute (oggi si sa tutto o quasi). Dovevo verificare se la forma presente in Israele fra gli ebrei curdi fosse simile, nella sua patogenesi molecolare, a quella trovata nella zona di Ferrara le cui modalità erano state da poco ipotizzate e sembrava fossero legate al controllo della traduzione. Questa fu la mia prima pubblicazione scientifica, uscita sull’Israel Journal of Medical Sciences del 1978, e vedeva la collaborazione di biologi (Ray e io) e medici (fra cui Gabriel Cividalli, di origine italiana, nato a Firenze). Non ero così entusiasta che uscisse su un bollettino nazionale, anche se quello era un numero speciale che avrebbe avuto maggiore diffusione, ma fui comunque contento che la mia prima pubblicazione scientifica fosse legata a Israele.

Ray Kaempfer, bambino, con Anne Frank

Dalla tesi del Master svolta alla Hadassah ricavai poi altri due lavori, su diversi aspetti del controllo della traduzione dell’mRNA, pubblicati su note riviste internazionali. Per un lavoro durato poco più di due anni, potevo ritenermi soddisfatto.

Oltre agli studi, che ci puoi dire della tua vita in quel periodo?

(continua a pag. 2)

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