Una donna tra due mondi: Anna Bises Vitale
Massimo Ricci ci accompagna nella vita di una donna che ha attraversato il Novecento
Una storia come tante, quindi diversa da tutte le altre. Quella di Anna Bises abbraccia due sponde dell’Oceano: inizia a Roma, nella comuità ebraica della Capitale, approda in Argentina in cerca di salvezza dall’odio razziale e torna in Italia restando intrecciata a quella di tanti altri ebrei italiani rimasti in Sudamerica, dove avrebbero conosciuto altri fascismi, altri tormenti, altre torture: quelle perpetrate dalla dittatura dei generali alla fine degli anni Settanta e inizio degli Ottanta. La vita di Anna è anche una storia di amicizia al femminile, che sopravvive alla distanza, alimentata negli anni da esperienze e affetto. Tutto è raccontato da Marcella Filippa, storica e saggista, impegnata nell’analisi e nella conoscenza delle donne del Novecento in “Anna “Anna Bises Vitale. La narratrice” per le edizioni Aras.
Nata a Roma il 30 settembre 1928, figlia di Enrico Bises, avvocato, e Lea Foà, Anna all’inizio del 1939 con tutta la famiglia emigra in Argentina, dove nel 1950 a Buenos Aires sposa Lancillotto (detto Lallo) Vitale, dal quale ha tre figli: Marcello, Alida e Micaela. Nel 1964 rientra in Italia, a Torino con il marito e i figli. Marcello morirà giovanissimo in un incidente stradale. E’ stata per vent’anni presidente dell’Archivio Terracini e, nello stesso tempo, componente del consiglio della comunità Ebraica di Torino per quattordici anni.
La sua è una adolescenza spezzata dalla leggi razziali, seguita da un’emigrazione che piano a piano restituisce ordine alle cose. La decisione ed il desiderio di tornare non lenisce il dolore per il distacco da un legame altrettanto stretto con quello che si lascia nella nuova patria. Le sue amiche, Marisa, Vera e Nora. “Ricordano tutte un viaggio in Patagonia a Bariloche, in montagna, circondate dalla catena delle Ande, intorno ai 15 anni. Un’esperienza avventurosa, quarantotto ore di treno in carrozza coi sedili di legno datata anni Venti”. Poi la lunga e fedele amicizia. Nel 1976 Poco dopo la morte del figlio Marcello, Anna verrà a sapere della scomparsa dell’amico del figlio Luis Epelbaum e dei suoi due fratelli uccisi dai militari in quanto oppositori al regime.
“A proposito dei desaparecidos – ricorda Anna – io posso dire che ne ho conosciuti personalmente almeno trenta. Non li hanno presi perché ebrei, questo lo sappiamo. Li hanno trattati peggio, li hanno torturati di più quando si accorgevano che erano ebrei. Quello dalle testimonianze è provato, Dal cognome quando ti torturavano: vedevano se eri ebreo e allora caricavano, prendevano in giro”. Nel 1976 il fascismo colpisce anche l’amica Vera. Poco più di un mese dopo la scomparsa di Marcello, scrive Filippa, “l’amata figlia Franca scompare a Buenos Aires, come tanti altri giovani che sognavano un mondo migliore, Una intera generazione falciata dalla morte brutale e insensata. Per Vera nessuna tomba su cui piangere. Una foto molti anni dopo la ritrae davanti al mare nell’atto di lanciare fiori, E’ quello simbolicamente il cimitero di tanti giovani come sua figlia. Il corpo d Franca è stato lanciato da un aereo. Aveva solo 18 anni”. Anna e Vera saranno per tanto tempo ognuna di esse la madre del figlio morto. Solo quello e nient’altro che quello. Un fardello, uno zaino carico di dolore. Anna incontrerà le madri di Plaza de Mayo, vedrà la sua amica accanto alle altre madri esporre la foto della figlia. Di Franca accanto a quella del nonno, morto ad Auschwitz.