Netanyahu e Gallant a processo: cosa rischiano?
La Corte Penale internazionale ha chiesto l’arresto per il premier israeliano e l’ex ministro della difesa. Ne abbiamo parlato con Giorgio Sacerdoti, esperto di diritto internazionale
Giorgio, che cos’è la Corte penale internazionale?
La CPI è un tribunale penale permanente istituito da un trattato internazionale negoziato a Roma nel 1998, da cui il nome “statuto di Roma”. L’idea base è di fornire alla comunità internazionale un tribunale permanente, sulla scia dei tribunali speciali istituiti a Norimberga per giudicare i crimini nazisti o, più di recente, per giudicare i crimini commessi nella ex Jugoslavia, in Ruanda, in altri paesi africani. L’obiettivo è quello di punire i responsabili di gravi crimini internazionali commessi in quanto rappresentanti di uno Stato. Gli imputati presso la Corte possono essere dunque capi di Stato, capi di governo, capi militari. Essi devono essere accusati di gravi violazioni del diritto umanitario e del diritto di guerra. Pensa alle stragi di civili, alle torture generalizzate, alla violenza in situazioni ingiustificate. Fino alla nascita della CPI non c’era modo di perseguire i vertici degli Stati autori di tali crimini. Insomma, la Corte penale internazionale nasce per limitare l’uso della violenza nelle relazioni internazionali, non solo in caso di guerre o di guerre civili.
Qual è la competenza della CPI?
Poiché è nata da un trattato internazionale, separato da quello dell’ONU, ha competenza nei riguardi dei 130 stati firmatari. Tutti i paesi europei, buona parte dei paesi africani, asiatici e sudamericani hanno firmato il trattato e quindi sono vincolati ad esso. Le grandi potenze, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, o l’India, invece non hanno sottoscritto il trattato perché non amano ingerenze nella propria politica, e quindi non sono soggette ad esso. Ci sono poi altri Stati, come Israele, o l’Iran, che neppure hanno firmato il trattato.
Finora l’attività della Corte penale internazionale che risultati ha ottenuto?
In passato ci sono stati casi eclatanti, come ad esempio il presidente del Sudan, o capi di bande paramilitari in Congo, che sono stati soggetti a ordini di arresto. Ricordiamo poi tutti il processo ai leader serbi Milosevic e Karadzic da parte del Tribunale penale per la ex-Iugoslavia dopo che erano stati arrestati. Attualmente la CPI ha emesso un ordine di arresto nei confronti di Putin, e da ultimo nei confronti di Netanyahu e Gallant (sono caduti quelli verso i vertici di Hamas, poiché uccisi, anche se pende quello per Dief, che non è certo sia morto, n.d.r.). L’iniziativa può nascere da denunce presentate alla Corte, o anche d’ufficio, in caso di fatti notori. Laddove il procuratore presso la Corte penale internazionale, ufficio oggi ricoperto dall’inglese Khan, ritenga che ci siano gli elementi che facciano sospettare seriamente la commissione dei reati indicati dal trattato di Roma, può chiedere alla Corte di emettere un mandato di arresto. Il mandato è necessario perché la Corte non processa mai in contumacia, ossia in assenza degli imputati.
In quale struttura viene eseguito l’ordine di arresto?
Finché è in corso il processo, la Corte si avvale di un istituto penitenziario temporaneo messo a disposizione dall’Olanda, visto che la sede della Corte è presso l’Aja. Una volta che si arriva a una sentenza definitiva, saranno poi i singoli Stati membri a dover offrire la disponibilità ad accogliere la persona condannata nelle proprie carceri.
Se Israele non è membro dello statuto di Roma, perché la Corte ha potuto emettere un ordine di arresto nei confronti del capo del governo e del ministro della difesa nello Stato ebraico?
La Corte giudica persone che siano cittadini degli Stati aderenti al trattato, oppure che siano responsabili di crimini commessi nel territorio degli Stati membri.
Gaza può essere considerato territorio di uno Stato membro?
Alcuni anni fa il procuratore della CPI chiese ad una apposita commissione di pronunciarsi sul tema. La commissione, formata da tre persone, decise a maggioranza che la Palestina sotto l’amministrazione dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) può essere considerato uno Stato, e che nel suo territorio rientri anche Gaza. La decisione è stata contestata a livello internazionale, per esempio da Israele; tuttavia credo che essa non possa essere cambiata, dal momento che anche l’ONU ha riconosciuto alla Palestina lo status di membro osservatore. Dunque, questo ha consentito di procedere nei confronti di Netanyahu e Gallant, dal momento che sono accusati di aver ordinato la commissione di crimini nel territorio di uno Stato membro.
Di cosa sono accusati?
Sostanzialmente di due reati: aver consentito la commissione di stragi nei confronti di civili non necessarie secondo le esigenze belliche e l’aver ostacolato l’afflusso di generi di prima necessità a Gaza, fino al punto di mettere in pericolo la vita delle persone.
Sono stati accusati anche di genocidio?
No. Il genocidio, di per sé, non è un reato di competenza della CPI, perché la convenzione internazionale che lo vieta, firmata nel 1948, obbliga gli Stati e non riguarda le singole persone fisiche. Nel caso uno Stato sia accusato di genocidio, a giudicarlo non sarà la CPI, ma la Corte internazionale di giustizia (CIG), cioè il tribunale dell’ONU, anch’esso con sede all’Aja. Il Sudafrica ha denunciato presso la Corte internazionale di giustizia Israele per genocidio, e il procedimento è attualmente in corso.
Torniamo all’ordine di arresto per Netanyahu e Gallant: gli Stati membri hanno l’ordine di eseguirlo?
Avendo firmato il trattato, tutti gli Stati firmatari si sono obbligati ad eseguirlo. Dunque, teoricamente, se Netanyahu venisse in Italia, o in un qualsiasi altro paese firmatario del trattato, dovrebbe essere arrestato. Naturalmente escludo che il premier lascerà il suo paese per recarsi in uno Stato firmatario del trattato di Roma. C’è però da considerare che la Francia ha posto un altro problema giuridico: il diritto internazionale prevede che i capi di Stato godano di una immunità piena, che li sottrae anche dal dover scontare delle pene. Poiché Netanyahu è capo di governo, gode di tale immunità internazionale. Dunque, si pone il problema se quanto previsto dal trattato di Roma possa prevalere su una regola generale che riguarda tutti i capi di Stato. La Mongolia, ad esempio, quando alcuni mesi fa ospitò Putin, rifiutò, benché firmataria del trattato di Roma, di arrestarlo sostenendo che, in quanto capo di Stato, l’immunità di cui godeva lo sottraeva dall’ordine di arresto.
Se Netanyahu venisse in Italia, l’arresto e l’estradizione sarebbero dunque automatici?
Direi di no. Il nostro paese ha un sistema articolato di giurisdizione, in cui la magistratura ha un potere di iniziativa ben definito. Ragionando in termini teorici, se Netanyahu sbarcasse in Italia, sarebbe necessario che una qualsiasi Procura della Repubblica si attivasse per adempiere all’ordine della CPI. Non basta. Per arrivare ad un’effettiva estradizione, occorrerebbe comunque la pronuncia di una Corte di Appello. Infine, va sempre ricordato che in materia di estradizione è prevista anche la partecipazione il ministro della Giustizia, che ha un potere discrezionale. Si potrebbe così arrivare a una effettiva estradizione solo al termine di un iter procedurale definito e complesso.
Ritieni l’ordine di arresto giustificato?
Innanzitutto occorre precisare che, per il Trattato di Roma, laddove un’autorità giurisdizionale nazionale avvia un procedimento nei confronti di un capo di Stato o di governo, per gli stessi fatti per i quali la CPI sta indagando, allora quest’ultima deve attendere la fine del procedimento interno. Nel caso in esame, mi sembra tuttavia che nessuna indagine sia stata avviata dai giudici israeliani, e dunque questo argomento non può essere utilizzato. Venendo al merito delle accuse, c’è chi ha accusato la CPI del cosiddetto doppio standard, ossia di trattare Israele in maniera peggiore che altri Stati, dove le violazioni del diritto umanitario sono quotidiane. Si è fatto ad esempio il caso dell’Iran. Tuttavia occorre ricordare che l’Iran non è un paese firmatario del trattato di Roma, e che dunque le continue e gravi violazioni del diritto umanitario compiute all’interno del proprio territorio non possono essere perseguite dalla CPI. Quanto ad Israele, uno Stato sicuramente democratico, si trova oggi in una situazione molto complicata. Benché noi non possiamo valutare gli elementi che hanno portato all’ordine di arresto, che, come ogni indagine penale, sono in buona parte coperti da segreto, le immagini che da 15 mesi arrivano da Gaza, e il numero dei civili morti certamente alto, nonché l’aver ostacolato, secondo quanto riferiscono fonti americane, in alcuni momenti il rifornimento di generi di prima necessità, suscita dubbi e preoccupazioni.
Io credo che la risposta al terribile attacco del 7 ottobre fosse non solo necessaria, ma anche pienamente legittima. Il problema, dopo oltre un anno di guerra, è comprendere se ci troviamo di fronte a un eccesso di legittima difesa, che come tale non è consentito. È, questa, in generale una situazione molto frustrante per tutti noi, che da un lato siamo convinti della piena democraticità di Israele, e dall’altra assistiamo a un’azione bellica che in tutti questi mesi non è riuscita neppure a ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani.