“Sono una piccola ape furibonda”.
Carla Di Veroli aveva scelto questo verso di Alda Merini per descrivere se stessa nel suo profilo Twitter e paradossalmente in queste cinque parole era riuscita a concentrare una vita e un impegno difficili da riassumere in altro modo.
Carla se ne è andata all’improvviso, a pochi giorni dal suo compleanno e questa fine lascia senza parole soprattutto chi la conosceva, anche solo per averla incontrata qualche volta.
Fuori da qualunque retorica, come era lei del resto, si può dire che Carla era una persona buona e sincera, salda e leale, che ha pagato tutte le sue scelte a caro prezzo; era il prototipo della combattente e infatti fino all’ultimo si è battuta per ciò in cui credeva maggiormente, il diritto di esistere degli ebrei e di Israele.
La sua educazione inizia in una famiglia molto impegnata politicamente: era nipote di un partigiano del Partito d’azione, figlia di due perseguitati razziali e soprattutto nipote dell’unica donna ebrea romana tornata dalla deportazione del 16 ottobre 1943, Settimia Spizzichino, di cui aveva raccolto l’eredità morale.
Attiva sia nella nostra Comunità sia nella politica romana (è stata assessore PD nel suo Municipio a Roma),era una vera combattente, che non ha mai accettato compromessi, senza paura e senza tentennamenti, anche a prezzo della sua incolumità fisica.
Con la sua presa di distanza dal partito che era stato la sua casa per lunghissimi anni, Carla era riuscita a dimostrare che anche oggi, in un mondo governato dai social, in cui tutte le verità sembrano stare o da una parte o dall’altra, essere di sinistra non vuol dire automaticamente essere contro Israele e che noi ebrei abbiamo l’obbligo di prendere le distanze dal fascismo di ieri e di oggi, senza se e senza ma.
Di questa lezione dovremmo tutti fare tesoro.
Al figlio, di cui era molto orgogliosa e che ha dato la migliore risposta possibile agli antisemiti costruendo la sua vita in Israele, va il nostro abbraccio.
Ci mancherai, Carla, molto. Che la terra ti sia lieve.