La prevenzione è una difesa fondamentale contro il tumore al seno
Ottobre è il mese della prevenzione. Alain Gelibter* spiega l’importanza di un controllo costante per la tutela delle donne, soprattutto in alcune comunità ebraiche
Grazie allo screening e alla maggior consapevolezza delle donne, la maggior parte delle neoplasie della mammella è diagnosticata in fase iniziale, quando il trattamento chirurgico può essere più spesso conservativo e la terapia adottata più efficace. Per questo, da tempo Ottobre è il Mese Internazionale della Prevenzione del Tumore al Seno. Iniziative di sensibilizzazione si tengono ogni anno in tutta Italia, con l’obiettivo di informare la popolazione sui fattori protettivi e sugli strumenti migliori per effettuare una diagnosi precoce per contrastare questa patologia.
Il 20 ottobre sono stati presentati i dati relativi alle nuove diagnosi per tutte le neoplasie. In particolare, nel 2020, in Italia, sono state stimate circa 55.000 nuove diagnosi di neoplasia della mammella nelle donne. Circa 150 nuove diagnosi al giorno. Grazie allo screening oncologico, la maggior parte dei tumori può essere diagnosticata in fase iniziale, rendendo così le terapie molto più efficaci e risolutive. La prevenzione resta dunque il migliore alleato per contrastare l’insorgenza di questa patologia.
Quali sono i comportamenti e quali le possibilità della popolazione nel ridurre il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria?
Esistono due tipi di prevenzione, quella primaria, in cui cerchiamo di ridurre il rischio attraverso una rivisitazione dei nostri comportamenti. In particolare, mantenendo un peso nella norma, svolgendo regolarmente attività fisica, evitando il fumo ed il consumo di alcolici e adottando una alimentazione sana ed equilibrata. Esiste poi una prevenzione secondaria che si attua aderendo ai programmi di screening nell’intento di ottenere una diagnosi quanto più precoce. I programmi di screening oncologico nazionale prevedono la possibilità di eseguire gratuitamente la mammografia ogni due anni per tutte le donne di età compresa tra 50 e 69 anni di età. In alcune Regioni è stata adottata l’estensione dello screening a donne tra 45 e 49.
La popolazione di religione ebraica ha qualche rischio particolare?
Oramai sappiamo che la popolazione di origine ashkenazita ha una più elevata possibilità di sviluppare nella propria vita una neoplasia della mammella e dell’ovaio rispetto alla popolazione generale. Tale possibilità è stata correlata ad una alterazione genetica quale la mutazione dei geni BRCA-1 e BRCA-2. Pertanto la popolazione ashkenazita, sia negli Stati Uniti che in Israele, è seguita in maniera più stretta per l’elevato lifetime-risk di sviluppare una neoplasia della mammella o dell’ovaio. In Italia invece è in corso uno studio, coordinato dall’ Università Sapienza di Roma, sulla comunità ebraica romana e sefardita, per valutare se c’è un rischio supplementare e se vi sono alterazioni simili a quelle riscontrate nella popolazione ashkenazita, nelle donne affette da neoplasia della mammella o dell’ovaio.
Quale il rapporto tra la SARS CoV-2 ed i programmi di screening per le maggiori neoplasie ed in particolare per la mammella?
Indubbiamente l’epidemia da SARS-Cov-2 ha indirettamente interessato tutte le patologie, tra cui anche quelle gravi, comprese le neoplasie. In particolare, lo scenario determinato dall’epidemia da SARS-CoV-2 ha causato un rallentamento nell’attuazione dei programmi di screening per le maggiori neoplasie, tra cui quelli della Mammella. Ciò ha determinato una riduzione delle diagnosi precoci di molte patologie. In particolare, per la mammella, la riduzione di mammografie di screening ha comportato la diagnosi in una fase della malattia più avanzata.
È possibile quantificare questo ritardo?
Complessivamente sono stati eseguiti circa 2 milioni e mezzo di screening in meno. La paura del contagio, di recarsi in ospedale e di avere contatti ravvicinati in ambiente ospedaliero, ha avuto un peso determinante sulla partecipazione ai programmi di prevenzione. Come riportato dall’ONS (Osservatorio nazionale screening) la riduzione degli esami è stata pari al 45,5% per lo screening colorettale (-1.110.414 test), al 43,4% per quello cervicale (-669.742), al 37,6% per le mammografie (-751.879). I mesi di ritardo sono stati pari a 5,5 per lo screening colorettale, a 5,2 per quello cervicale e a 4,5 per le mammografie. Sono state stimate anche le diagnosi mancate: oltre 3.300 per il tumore del seno!!
Si può fare qualcosa per recuperare questo ritardo?
Per favorire il recupero dei programmi di screening e delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, il Ministero della Salute ha stanziato un finanziamento straordinario di circa mezzo miliardo, mettendolo a disposizione delle singole Regioni. È chiaramente solo l’inizio, visto che nei prossimi anni serviranno altre risorse atte a recuperare il tempo perduto, per poter permettere diagnosi sempre più precoci.
Cosa possiamo dire, in conclusione, sulla prevenzione del tumore al seno?
Possiamo dire che la prevenzione è l’arma più importante a nostra disposizione nel prevenire alcune patologie oncologiche, in particolare quelle della mammella. Pertanto è importantissimo attuare personalmente comportamenti salutari ed aderire ai programmi di screening provenienti dalle singole Istituzioni.
*medico oncologo del Policlinico Umberto I. Si occupa di immunoncologia, terapie mirate e medicina personalizzata.