Il processo che porta alla libertà, secondo Rav Kook
A Pesach festeggiamo la nostra liberta: ma chi è veramente libero?
Uno dei temi fondamentali di Pesach, uno dei momenti fondanti all’interno della nostra esperienza religiosa, è senza dubbio quello della libertà.
I riti di Pesach, familiari a tutti noi, ci permettono di riflettere ogni anno su questo aspetto centrale nella nostra vita e in quella del popolo ebraico. Per questo volevo presentare alcune idee di uno dei principali rabbini del ‘900, Rav Avraham Yitzchak ha-Kohen Kook (1865-1935), che fu il primo rabbino capo ashkenazita ai tempi del Mandato britannico, dal 1921 sino alla sua morte.
Rav Kook fu una figura centrale, perché pose le fondamenta a livello spirituale per la nascita dello Stato di Israele. La redenzione della terra di Israele faceva difatti parte, nella sua visione, del processo di redenzione spirituale del popolo ebraico. Rav Kook fu un pensatore originale e profondo, capace di coniugare efficacemente la tradizione ebraica con la filosofia, la mistica, la poesia e le scienze, rispondendo alle domande filosofiche della sua epoca.
La riflessione di Rav Kook su Pesach è estremamente articolata.
In questa sede sarà possibile fornire solamente alcuni spunti sul tema della libertà, all’epoca idea controversa, perché se da una parte richiamava l’aspirazione alla libertà nazionale propria del sionismo, dall’altra veniva invocata dai liberi pensatori per liberarsi dal giogo della Torà e delle mitzwot.
Mentre parte dell’ortodossia si opponeva istintivamente all’aspirazione di libertà sionista, Rav Kook riteneva che il desiderio di indipendenza nazionale si coniugasse bene con la Torà.
I Chakhamim, in un brano estremamente noto (Pirkè Avot VI, 2), sostengono paradossalmente che solo chi studia la Torà, e più in generale è sottoposto al servizio divino, sia veramente libero. Questa affermazione ci indirizza a una riconsiderazione del concetto di libertà.
È evidente che la libertà di Pesach non sia costituita dalla semplice indipendenza politica, dal momento che il popolo ebraico, per la maggior parte della sua storia plurimillenaria, non ha avuto la possibilità di beneficiarne. Se la principale connotazione della libertà fosse questa, in molte tristi circostanze non avrebbe avuto senso celebrare Pesach.
Rav Kook crede che la differenza fra uno schiavo e una persona libera non sia rappresentata dalla sua sola posizione sociale. È possibile, infatti, imbattersi in uno schiavo illuminato, il cui spirito è libero, così come è possibile trovare un uomo libero con la mentalità dello schiavo.
La vera libertà per Rav Kook è quella che permette all’individuo, così come alla nazione nel suo insieme, di rimanere fedele alla propria essenza interiore, all’immagine divina di cui è portatore. Ciò ci permette di capire che la nostra vita ha valore e significato. Le emozioni che prova chi ha la mentalità di uno schiavo sono quelle che derivano non dalla sua essenza, ma da ciò che è buono e attraente agli occhi di altri. Se non fosse stato per il dono della Torà, che ha intriso di libertà la nostra anima, il popolo ebraico sarebbe rimasto oppresso nel duro esilio, acquisendo infine la mentalità dello schiavo.
Le azioni che compiamo a Pesach secondo Rav Kook assumono un significato particolare nella nostra ricerca della libertà.
Mangiare la matzà è senz’altro logico, perché questo cibo ha una propria connessione con l’uscita degli ebrei dall’Egitto, ma in che modo l’eliminazione del chametz, che è un aspetto fondamentale nella nostra osservanza di Pesach, dovrebbe migliorare la nostra comprensione della libertà? Che cos’è il chametz? Il lievito è una sostanza estranea che viene aggiunta all’impasto, modificandone le caratteristiche.
Rav Kook menziona una famosa espressione della Ghemarà in massekhet Berakhot (17a). “Signore del mondo! È chiaro che desideriamo compiere la tua volontà. Ma cosa ce lo impedisce? Il lievito che è nell’impasto”.
L’istinto malvagio viene paragonato al lievito, che provoca una “fermentazione” all’interno della nostra anima. La distruzione dei cibi lievitati simboleggia la rimozione di tutte le influenze e i vincoli estranei, che ci impediscono di realizzare le nostre aspirazioni a livello spirituale. Il raggiungimento della libertà rappresenta quindi un obiettivo alla portata di ciascuno, a patto che sia in grado di rimuovere gli impedimenti che gli sbarrano la strada.
Nella visione di Rav Kook la libertà è una qualità innata dell’anima che può trovare la sua naturale espressione. Nel momento in cui il popolo di Israele si accingeva ad uscire dall’Egitto, le forze estranee esercitavano un’influenza nefasta, che rischiava di mettere a repentaglio la liberazione di Israele. In quei frangenti l’emancipazione del popolo ebraico era tutt’altro che scontata. Non c’era solo in gioco la liberazione dalla schiavitù egiziana, si trattava di liberarsi dalla cultura idolatrica con la quale gli ebrei era stati in contatto per centinaia di anni.
Questo modello non si riferisce solo a quel momento storico, ma secondo Rav Kook era rilevante per gli anni in cui viveva, quando il popolo ebraico doveva liberarsi dalle influenze delle culture con le quali si era trovato in contatto in secoli di esilio fra le nazioni. Rav Kook infatti considerava la storia ebraica un processo di emancipazione progressiva dalla schiavitù, fisica e spirituale. L’uscita dall’Egitto, il ritorno dall’esilio babilonese, la storia di Chanukkà, il sionismo, non sono altro che le tappe di questo cammino verso la libertà. Pesach quindi rappresenta un momento per riflettere sulla nostra identità ebraica, non solamente come un ricordo del passato, ma anche come fonte di ispirazione per il presente e per il futuro.
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Una risposta
Rav Kook, il “ Rav del Benè Akiva”!!